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SISTO V
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È senz'altro una delle tante leggende
su di lui la notizia secondo la quale il cardinal Felice Peretti si fosse presentato in conclave, curvo e malandato, appoggiandosi alle stampelle, per convincere i colleghi a scegliere in lui una candidatura di passaggio o comunque una persona priva di energia, facilmente dominabile dalla Curia. È certo invece peraltro che brigò per venire eletto e si accordò con l'influente cardinale Ferdinando de' Medici, che si trascinò Luigi d'Este e così la sua candidatura finì per essere ben vista da tutti. Fu eletto all'unanimità il 24 aprile 1585 e incoronato l'1 maggio; assunse il nome di Sisto V.
E sebbene di umili origini adottò uno stemma molto elaborato, con quattro
simboli: tre monti e una stella ed un leone che tiene delle pere (=Peretti).
Ma in cinque anni diede prova della sua formidabile volontà. Nato a Grottammare, nelle Marche, il 13 dicembre 1521, era di umili origini come Pio V e come lui da piccolo aiutò il padre nel lavoro dei campi badando ai maiali. Anche per lui arrivò la persona altolocata che lo tirò fuori dal porcile; uno zio francescano lo fece studiare e lo avviò alla vita ecclesiastica. A nove anni entrava già tra i Minori della vicina Montalto, mostrando subito grandi doti e bruciando le tappe della carriera. Studia a Ferrara e Bologna e s'impone per la sua dialettica nelle complesse questioni teologiche; è ordinato sacerdote nel 1547; ricevuto nel 1548 il dottorato in teologia dall'Università di Fermo, nel 1552 è a Roma per predicare il quaresimale ai Ss. Apostoli: il tono è chiaro, senza retorica, ma fermo e severo nella sostanza: Paolo IV si accorge di lui e lo fa inquisitore a Verona. È inesorabile nella sua severità e non pochi lo criticano anche in seno al suo stesso Ordine; Pio V non può che apprezzarlo senza riserve e lo nomina vicario generale dei Conventuali, vescovo di S. Agata dei Goti nel 1566 e di Fermo nel 1571, e quindi cardinale. Sotto Gregorio XIII il cardinale Montalto, come in genere viene soprannominato, è tenuto lontano dalla Curia; troppo critico nei confronti di certa tolleranza del pontefice verso alcuni aspetti della vita cittadina, seppe frenare il suo temperamento anche quando gli assassinarono il nipote Francesco. Tutti sapevano che l'assassino era il potente nobile Paolo Giordano Orsini, amante della bella moglie del Peretti, Vittoria Accoramboni; ma il cardinale Montalto, convocato da Gregorio XIII per chiedergli come voleva che ci si comportasse, disse di lasciar perdere. Il tempo avrebbe cancellato ogni cosa. Magnanimità o vendetta rinviata? Quando nei giorni del conclave del 1585 i due amanti celebrano il matrimonio, convinti di averla fatta franca, su di loro come un colpo di fulmine si abbatte la notizia che "è arrivato il castigamatti", come dice il Sarazani, e non solo per loro due, perché "tempi scuri, severi e francescani si preparano per il mondanume dedito al vizio, al gioco, ai duelli e al puttanesimo. Addio all'allegria". Cominciò col far sapere che non avrebbe tollerato azioni di banditismo; pena di morte per quanti portassero armi corte e per nobili e ambasciatori che impiegassero il diritto di asilo verso i banditi, ostacolando le azioni di polizia. Per i cardinali c'era la minaccia di Castel S. Angelo. Non erano parole a vuoto; il giorno dell'incoronazione quattro giovani pendevano impiccati a ponte S. Angelo perché trovati in possesso di armi. Paolo Giordano Orsini e sua moglie capiscono che non è aria per loro e si trasferiscono a Bracciano; ma anche lì non si sentono al sicuro, perché Sisto V protegge solo la nobiltà deferente, ma che fili anche dritta sulla strada della morale cristiana. Andrà bene per i primogeniti di Orsini e Colonna, eletti assistenti al soglio pontificio, per Roberto Altemps, che diventa duca di Gallese, per Alessandro Sforza, duca di Segni, e per Giuliano Cesarini, duca di Civitacastellana. Paolo Giordano è come un fuori legge e scappa con Vittoria a Venezia e poi a Padova. Morirà per un infezione ad una gamba, scampando all'autorità papale che lo vorrebbe vedere impiccato, mentre Vittoria finirà sotto il pugnale dei sicari di Ludovico Orsini. A Roma s'instaura il regime di polizia, dunque; gli sbirri entrano nelle case dei potenti e basta un sospetto per finire sulla forca. Quelli che si costituiscono non possono sperare di essere graziati, sono ammazzati lo stesso: "Se non si fossero presentati alla giustizia, li avrei presi", è il freddo commento di Sisto V. La condanna a morte venne anche per i "magnaccia" e le madri che prostituivano le figlie. Per le puttane tornarono tempi magri e furono relegate di nuovo in una località chiamata l'Ortaccio; non potevano battere le strade del centro. Pulizia tra i laici, pulizia tra gli ecclesiastici. Nel 1586 porta il numero dei cardinali a settanta e nella bolla del 3 dicembre li paragonerà agli apostoli che fanno corona a Cristo, e gli impone dietro giuramento che daranno la vita per difendere la religione cattolica; e poi niente più cardinali con figli e nipoti, e preferibilmente porporati italiani. Amministratore capace e severo, rafforza il decreto del concilio di Trento contro la simonia e l'accumulazione dei benefici e delle cariche ecclesiastiche. Si afferma una "Chiesa fatta in casa", per dirla con il Sarazani, un "nazionalismo papale romano" nella cui organizzazione Sisto V tiene i piedi in terra per "un governo che preceda la Fede" perché in fondo "il Regno dei Cieli è lontano". E qui s'innesta la concezione nuova, geniale di Sisto V, con il quale il papato dei tempi moderni trova la sua ragion d'essere nell'ordine, nella restaurazione politica, nel rifiuto deciso di una Chiesa esclusivamente evangelica. Tutto questo grazie a Lutero, vera causa del mutamento, "un nemico, quindi, necessario alla reazione", come nota ancora il Sarazani, "perché aveva ben capito l'irreligiosità degli Italiani, levando alta la sua querela soprattutto contro la corte di Roma, appunto perché Roma, con i suoi mali esempi, ci avrebbe ridotti "senza religione e cattivi"". E così "Lutero per Sisto V, come Marx, Lenin e Stalin per Pio XII"; è il "demonio" che giustifica la dittatura pontificia e Sisto giunge a vederlo anche negli eventi miracolosi che sempre pullulavano nel fanatismo plebeo. Come quando, recatosi a vedere un crocifisso che si diceva sanguinasse dalle ferite, presa una scure spaccò l'immagine dicendo: "Come Cristo ti adoro, come legno ti spacco". Ma nel legno furono ritrovate spugne intrise di sangue; era uno dei suoi atti da "bravaccio" da duro, da "papa tosto" come lo vediamo definito nel sonetto del Belli che alludeva a quest'episodio del crocifisso, dal quale ebbe origine il proverbio "Papa Sisto non la perdonò neppure a Cristo" (vedi la pagina relativa alle leggende su di lui).
Il ristabilimento dell'ordine nello Stato della Chiesa era la premessa a provvedimenti che Sisto V prese poi anche per l'interesse dei sudditi; infatti incrementò l'attività agricola, riuscendo a far prosciugare temporaneamente una parte delle Paludi Pontine. Pane per tutti, anche se la riorganizzazione delle finanze pontificie comportò nuove tasse e gabelle. Ironicamente il Giovagnoli nota che "per ammassare ricchezze per i suoi e per la Chiesa, alla quale morendo egli lasciò un tesoro depositato in Castel Sant' Angelo di cinque milioni di scudi in oro, questo buon papa sottopose a dazio tutti i commestibili, grano, olio, vino, carne, erbaggi, pesce, talché le rendite dello stato che, allorquando egli ascese al soglio assommavano a 1.746.814 scudi, lui morto, erano salite a scudi 2.576.814, sulla fame, sulla miseria, sulla desolazione del popolo". E gli fa eco un dialogo tra Marforio e Pasquino: È un fatto che gli ingenti mezzi finanziari resero possibile l'incremento delle arti e delle scienze in un grande sviluppo edilizio di Roma. Egli infatti rinnovò le risorse idriche della città, restaurando l'acquedotto di Alessandro Severo fino alla "mostra" dell'acqua da lui detta Felice, nel rione Monti: sorsero così nuove case sui colli finora abbandonati, ovvero Esquilino, Viminale e Quirinale.MARFORIO Come si potrà vivere, Pasquino, con le vettovaglie tanto rincarate per le gabelle imposte da Sisto? PASQUINO E chi ti ha detto che si debba vivere sotto Sisto? Un po' per volta non si deve morire tutti impiccati? Ma proprio il quadro urbanistico è quello che mutò radicalmente la città, con sventramenti e creazione di nuove ampie strade che, nelle intenzioni del papa, avrebbero dovuto rendere più facile l'accesso dei pellegrini alle Sette Chiese. Avrebbe desiderato infatti organizzare pellegrinaggi regolari a Roma da tutte le parti del mondo, compresa l'America, convinto della rinnovata concezione in senso cristiano del caput mundi. Ma il tocco nuovo l'offrì l'erezione degli OBELISCHI in piazza del Popolo e davanti alle basiliche di S. Giovanni in Laterano, S. Maria Maggiore e S. Pietro al centro di quella piazza sul cui sfondo svetterà la cupola michelangiolesca, ultimata il 21 maggio 1590. Questi obelischi contribuirono veramente a dare al rinnovato centro della cristianità uno splendore originale.
Da questo caput mundi cristianizzato partì il suo messaggio, nonostante tutto, di pace al mondo intero; non avrebbe mai voluto una guerra tra cristiani. In Francia invece era in atto la guerra dei tre Enrichi e Sisto V mantenne un atteggiamento di prudente attesa. In Inghilterra, una volta che fu giustiziata Maria Stuarda, capì che Elisabetta era veramente grande pur nella sua eresia, e come tale inattaccabile. E dentro di sé avrà pensato che era un peccato che quella regina fosse un "demonio" come Lutero; fosse stata cattolica, ricorda il Pastor, sarebbe stata la sua prediletta. Quando Filippo II punta tutto sull'Invincibile Armada, il papa, per quanto sia dell'idea che solo la guerra possa essere usata con Elisabetta e partecipi ai finanziamenti dell'impresa, in cuor suo è convinto che si sbatterà contro un muro; non ha la forza di credere nei miracoli come Pio V. Su di lui preme la logica di un "sistema" politico che non ammette la preghiera, ma comporta la dura legge della lotta per sopravvivere. E l'Inghilterra sopravvive. Questo papa di ferro non poteva essere stroncato altro che dalla malaria, ma non volle curarsi seguendo i consigli dei medici; si tenne su fino all'ultimo, alzandosi dal letto appena le forze gli tornavano, per controllare personalmente il suo governo. Morì il 27 agosto 1590, mentre su Roma si abbatteva un violento temporale; la gente disse che papa Sisto aveva stretto un patto col diavolo, grazie al quale era salito così in alto e, una volta finito il tempo concordato, il Maligno veniva a prendersi la sua anima nel bel mezzo dell'uragano.
Tracce di Sisto V in giro per Roma Tra le enormi spese per lavori pubblici a Roma, ricordiamo la costruzione del palazzo Lateranense e del Quirinale.
![]() La foto sopra mostra la decorazione del soffitto di due stanze del Palazzo del Laterano (map4 40/H6) che fu ricostruito da Sisto V, che lasciò la sua firma anche all'esterno del palazzo, non solo nello stemma formale sopra l'ingresso ma anche nella decorazione con questo curioso e incredibile leone con rami di pere nella bocca. Una delle ragioni di queste celate tracce di se stesso può essere la sua scarsa fiducia nel genere umano, compresi i papi che l avrebbero seguito. ![]() Infatti qualche volta i papi rimpiazzano uno stemma di un predcessore col proprio anche solo per piccoli interventi o restauri: in tal maniera la decorzione ha maggiori probabilità di sopravvivenza.
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