Il conclave
Il conclave per eleggere il successore di Clemente XIV non poteva non essere burrascoso; lo scontro era ancora tra gli "zelanti" ovvero i "fanatici" del tradizionalismo, che volevano un ritorno alla linea intransigente di Clemente XIII, e i "cortigiani" antigesuiti, legati anima e corpo con gli ambasciatori dei sovrani europei, che facevano a gara a chi era più corrotto. Tutto lungo l'arco di quasi cinque mesi, con liti e insulti che arrivavano fin oltre le porte del conclave, non sempre aperte; e comunque c'era spesso chi stava lì ad origliare, pronto a riferire a... Pasquino.
Vennero fuori infatti "pasquinate" a mucchi sui vari candidati di volta in volta proposti e bistrattati; maligne, nel migliore dei casi, ma perlopiù infamanti. Il capolavoro fu un dramma satirico in tre atti, intitolato appunto Il Conclave del 1774, che metteva alla berlina il fior fiore dei 44 cardinali. Ci fu una reazione a quella grossa burla e il 16 novembre la commissione cardinalizia per l'ordine pubblico ordinò che il libello fosse dato alle fiamme in piazza Colonna. Il cardinale de Bernis riuscì anche a mettere le mani sull'autore, un prete fiorentino, Gaetano Sartori, sbattendolo a Castel S. Angelo; ma i cardinali italiani protestarono perché aveva imprigionato un prete di sua iniziativa, senza autorizzazione del vicario di Roma.
Calmate le acque si raggiunse l'accordo su uno degli "zelanti", con tanto di consenso delle corti; il cardinale Giovanni Angelo Braschi,
58 anni, venne eletto all'unanimità il 15 febbraio 1775. Era stato il cardinale de Bernis a garantire a Luigi XVI che, nonostante facesse parte del gruppo di quelli "da evitarsi", a veder bene appariva "assennato e desideroso della benedizione e protezione dei principi" e come tale non c'era da temere qualche colpo di testa. E su questo aveva ragione; ma quando aggiungeva che "il nepotismo non è da temere" si sbagliava.
Vita
Giovanni Angelo Braschi era nato a Cesena il 27 dicembre 1717 da una nobile famiglia, forse imparentata con i Ghislieri di Pio V; a 17 anni era già laureato in diritto e per la sua esperienza in questo campo il cardinale Ruffo lo aveva preso come segretario nel vescovado di Velletri. A 38 anni soltanto era diventato sacerdote, entrando al servizio dei due ultimi Clemente come tesoriere generale; con le mani in pasta nelle finanze vaticane ebbe così modo di farsi una pratica che gli sarebbe tornata utile da papa. La porpora cardinalizia gli fu concessa da Clemente XIV nel 1773, con il titolo di S. Onofrio, ma non aveva tenuto mai un vescovado; perciò il 22 febbraio fu insieme consacrato vescovo e incoronato papa. Assunse il nome di Pio VI.
Papa
Mise subito in pratica il programma del suo pontificato che, sotto molti aspetti, doveva rievocare il fasto rinascimentale;
a cominciare dall'Anno
Santo, che Clemente XIV non aveva neanche avuto modo di aprire dopo averlo indetto. Il giubileo ebbe un carattere festaiolo,
distaccandosi nettamente dal tradizionale clima penitenziale: dalle luminarie artificiali accese sul Campidoglio alle feste tradizionali,
inclusa la caratteristica corsa dei cavalli "barberi" lungo il Corso. Pellegrino d'onore, l'arciduca d'Austria Massimiliano,
ospite a turno della nobiltà romana tra balli e banchetti sontuosi.
Ma è Pio VI il vero personaggio di questo Anno Santo; per far buona impressione sui pellegrini, nelle uscite ufficiali si faceva
pettinare e impomatare, mettendo in mostra i piedi piccoli e aggraziati. Un vero e proprio Narciso,
come ironizzava Pasquino:
Roma, guarda Pio! Non è pio: guarda che mimo
dalla fluente chioma e dal vezzoso piede!
Era probabilmente irreprensibile la sua dignità cristiana, ma nella sostanza appariva sotto molti aspetti un principe simile
a quello sbeffeggiato dal Parini nel Giorno. S'imponeva comunque proprio nell'aspetto, se lo stesso Goethe
lo definì "la più bella figura di uomo", quando lo vide un giorno officiare nella cappella
Paolina al Palazzo del Quirinale nel 1776 e quando partecipò alle cerimonie dell'Anno Santo
in S. Pietro nel 1778.
E forse proprio questa esteriorità della sua persona aveva suggerito al diabolico de Sade di rappresentarlo nella Histoire de Juliette come un demonio di ateismo, lussuria e crudeltà, costretto a celebrare in S. Pietro delle messe nere per ottenere i favori dell'eroina delle Prospérités du vice. Follie geniali di un ateo convinto, ma anche di un umorista stravagante quale fu appunto il "divino marchese".
Pio VI ambiziosamente s'era fatto creare uno stemma con i simboli più nobili dell'araldica: l'aquila, i gigli, le stelle e Borea. E Pasquino gli consigliava:
Rendi all'impero l'aquila,
dei Franchi i gigli al re,
al ciel rendi le stelle:
il resto, o Braschi, a te.
Era un richiamo alla vanità delle cose umane, che il vento di Borea avrebbe portato via con sé, ma Pio VI aveva "pretese di passare ai posteri come mecenate e benefattore", ricorda Bruno Cagli, e non poteva certo dar ascolto alla voce popolare, magari badando ai problemi di fondo della corruzione della classe dirigente, dell'ingiustizia elevata a sistema o della povertà della plebe.
Magnanimo voleva esserlo, ma con chi faceva "corte" al suo spirito principesco; ed ecco l'elargizione di grazie e favori a prelati e nobili accondiscendenti alla sua politica, che tendeva in sostanza a ridare prestigio, ormai più esteriore che altro, allo Stato pontificio.
Pio VI aveva assistito il suo predecessore
Clemente XIV nello sviluppo di un museo per le collezioni papali di statue antiche. Una volta
Papa, ampliò notevolmente il progetto iniziale del museo, che prende oggi il nome da lui
e dal suo predecessore. (Il Museo Pio Clementino comprende il
Cortile Ottagonale con le statue famose dell'Apollo, di Laocoonte e di Hermes).
Ennio Quirino Visconti lo avrebbe illustrato in una monumentale pubblicazione in sette volumi.
Gli stemmi di Pio VI seguono lo schema disegnato da Bernini e Borromini. L'evoluzione dal Barocco
al Neoclassicismo è più evidente nella decorazione e nei dipinti. Il tema del
vento che soffia sui gigli viene usato per decorare scale, porte (vedi lo sfondo-pagina),
soffitti e muri.
Stemmi nel Museo Pio Clementino
Altri stemmi nel Museo Pio Clementino
Obelischi
Erige gli obelischi in Piazza del Quirinale, in
Piazza di
Montecitorio e di fronte alla SS. Trinità dei Monti.
L'obelisco in Piazza di Montecitorio è sormontato da un globo con un rilievo che mostra
il vento che soffia sui gigli.
Sacrestia Nuova
di San Pietro
Sull'antico disegno dello Juvarra, fa edificare la nuova
sacrestia di
S. Pietro. La grande costruzione è piena di riferimenti alla sua persona: il suo stemma mostra
tre stelle e, sotto, dei bianchi gigli che sopportano gli effetti di un forte vento;
il suo motto era Floret in domo domini.
Motto di Pio VI nella Sacrestia di S. Pietro
e affresco che rappresenta
la Sacrestia ai Musei Vaticani
Fuori Roma
Dappertutto Pio VI finanzia opere pubbliche
da firmare col proprio stemma. In Ancona il suo architetto preferito, Giovanni Marchionni,
erige in suo onore negli anni 1787-89 una grande porta ancora chiamata Porta Pia,
anche se durante l'occupazione Francese il suo stemma sarà scalpellato via e la porta
chiamata Porta Francia. La porta di Ancona ricalca uno schema barocco mentre una
sorta di arco trionfale eretto negli stessi anni per celebrare una visita del papa
a Subiaco è definitivamente neoclassico (lo stemma è comunque barocco).
A Subiaco fa costruire la chiesa (e spende un sacco di soldi) e il collegio.
Porta Pia in Ancona (a sinistra) e
Arco Trionfale a Subiaco (a destra)
(Un'altra porta con lo stemma di Pio VI si trova a Valentano)
Il Prosciugamento delle
Paludi Pontine
Pio VI si impegnò nel prosciugamento della piana paludosa tra i Volsci
(Norma e Cori) e il mare; un'opera di bonifica durata dieci anni, che comportò una spesa di un milione e mezzo di scudi d'oro, ma che dette i suoi frutti solo per due raccolti. Sopraggiunsero infatti straripamenti e inondazioni e tornò il pantano; Monti era stato pronto ad esaltare quell'impresa con la sua Peroniade celebrandovi il papa sotto la figura di Giove, ma la lasciò incompiuta, come tale era in pratica rimasta l'opera di bonifica. E dire che nel 1789 il papa era riuscito a ripristinare l'Appia antica con i suoi monumenti nel tratto di 34 miglia verso
Terracina
(che ampliò, e visitò l'area parecchie volte) e con grande fastosità l'aveva inaugurata! Ma aveva ragione Pasquino che riportava il risentimento dei cittadini per quelle spese eccessive, nonché le altre riguardanti la chiesa di Subiaco e la fabbrica della sagrestia di S. Pietro:
Le paludi, Suviaco e la sacrestia,
sono tre coglionerie di vostra Signoria.
Nepotismo
Pio VI completò la sua immagine in miniatura di papa rinascimentale, rinnovando il nepotismo, "piccolo" come si addiceva ai tempi, ma pur sempre sostanzioso. D'altronde, notava Pasquino,
Son lauti e rigogliosi di Santa chiesa i paschi
e ci si può ingrassare anche la casa Braschi.
A goderne fu il nipote Luigi, che si costruì quello splendido Palazzo Braschi
su Piazza Navona con i frutti ricavati dai latifondi della temporanea bonifica pontina. Il Belli lo definì in un sonetto l'ultimo miracolo di S. Pietro:
Benché ssan Pietro nun abbotta fiaschi;
E l'urtimo miracolo l'ha ffatto
A ttempi nostri in ner Palazzo Braschi.
Ma il mondo paternalistico e festaiolo di questo papa-principe a livello internazionale era destinato a subire smacchi mortali. Il primo scontro fu con l'Austria: Giuseppe II attuò in pieno tutte le riforme che avevano iniziato a farsi strada negli ultimi anni di governo di sua madre. Dal 1780 il "giuseppinismo" trionfò; l'imperatore sottopose la pubblicazione dei decreti del papa e dei vescovi al suo placet e fece assumere da parte dello Stato l'amministrazione della Chiesa, sopprimendo conventi e seminari.
Pio VI protestò, ma il ministro di Giuseppe II, il Kaunitz, rispose che le disposizioni imperiali non intaccavano i dogmi di fede, erano solo affari interni dello Stato e accusò il papa di gratuita ingerenza.
Incoraggiato dal buon esito dell'operazione, il fratello dell'imperatore, Pietro Leopoldo II, granduca di Toscana, fece le stesse cose intromettendosi ancor più nelle questioni teologiche, vagheggiando una Chiesa
nazionale. E' chiaro che si estendeva a macchia d'olio un dispregio dei diritti della Chiesa di Roma e al limite del suo stesso primato nel mon do cattolico.
Pio VI pensò allora di correre ai ripari; nel 1782 decise di recarsi in visita a Vienna per convincere l'imperatore a sospendere la sua politica
antiecclesiastica. Venne accolto con grandi onori, ma se ne tornò a Roma senza aver ottenuto nulla; e fu una nuova umiliazione del papato. Il Belli ricorda l'avvenimento in un suo sonetto con l'ironia di sempre:
Vorze annà a Vienna a gastigà la boria
D'un re che camminava troppo presto.
Arrivò, ce parlò, je disse tutto;
E, quann'ebbe finito, er Re ttodesco
Dice che j'arispose asciutto asciutto:
"Pio Sesto mio, vatte a ffà fotte, e damme..."
Allora er Papa che conobbe er fresco
Ritornò co la coda tra le gamme.
Fu una "Canossa a rovescio", come rilevò lo stesso Pasquino facendogli trovare scritto sull'inginocchiatoio al ritorno
da quel viaggio deludente: "Ciò che Gregorio VII, il più grande dei pontefici aveva stabilito, Pio VI, l'ultimo dei preti l'ha distrutto".
La visita fu ricambiata dall'Imperatore
a Roma l'anno successivo, ma in incognito, e fu un fallimento diplomatico per Pio VI,
che riuscì solo a stabilire delle buone relazioni personali.
La
Rivoluzione Francese
Ma il colpo mortale il papa lo ebbe con la Rivoluzione francese e il suo astro nascente, Napoleone. Nel 1789 dall'abolizione dei privilegi del clero alla nazionalizzazione dei beni ecclesiastici, dalla libertà di culto alla costituzione civile del clero con vescovi e parroci eletti dal popolo, senza alcuna conferma da parte del pontefice, per Pio VI fu subito buio pesto.
Il suo "breve" che condannava le leggi dell' Assemblea Nazionale Costituente fu bruciato pubblicamente nel maggio del 1791 nel palazzo reale di Parigi tra gli applausi dei rivoluzionari; l'Assemblea legislativa oltretutto il 14 settembre dichiarava territorio nazionale francese i feudi pontifici di Avignone e del contado Venassino. Il papa non ha alcun modo per contrastare la fiumana che si abbatte su di lui.
A Roma arriva anche la propaganda rivoluzionaria con quell'ardente repubblicano che è Ugo Basville; non gli andrà bene. Il 13 gennaio 1793, l'anno fatale del regicidio, i Romani sentono del marcio; prendono a sassate la sua carrozza. Una mano ignota lo pugnala. Pio VI agli occhi dei Francesi diventa il nemico della rivoluzione; va punito al momento opportuno. Se ne occuperà Napoleone nella campagna d'Italia.
Nel 1796 Bologna, Ferrara, Ancona sono nelle mani del giovane generale insieme a due cardinali;
nel Giugno '96 viene firmata una tregua a Bologna
con la perdita di Bologna e Ferrara. Il Papa si unisce ad una coalizione contro la
Repubblica Francese nel tentativo di riottenere queste città ma gli eserciti alleati
vengono sconfitti. Le condizioni per arrivare ad una pace sono pesanti: si va da riparazioni e ammende per l'assassinio del Basville al ritiro del "breve" di condanna contro la costituzione del clero
francese; ma all'atto della firma della pace di Tolentino il 19 febbraio 1797 le condizioni si fanno
ancora più dure sul piano dell'indennizzo finanziario (il papa deve pagare alla Repubblica Francese un grosso tributo in oro,
argento e opere d'arte) e inoltre Avignone, il contado Venassino, Bologna, Ferrara e la Romagna devono essere cedute definitivamente. Inoltre le truppe francesi stanziarono in diversi luoghi dello
Stato Pontificio. Il Direttorio esige la fine dello Stato pontificio; Napoleone vorrebbe agire più lentamente.
Roma occupata dai francesi.
Fine dello Stato Pontificio.
Pio VI prigioniero
Nel dicembre del 1798 arriva a Roma il generale Duphot con il preciso incarico di sollevare il popolo contro il governo pontificio; il 28 dicembre la rivoluzione è in atto e il Duphot è in mezzo ai ribelli al grido: "Viva la repubblica! Morte ai tiranni!". I soldati pontifici sparano e il Duphot resta ucciso; è il martire che la Francia cercava per intervenire di forza con l'esercito. Il generale Berthier occupa Roma il 15 febbraio 1798, depone in nome del Direttorio Pio VI da principe temporale e proclama la Repubblica romana; c'è anche il saccheggio e molti tesori del Vaticano e dei musei di Roma finiscono in Francia.
Il 20 febbraio Pio VI viene deportato da Roma a Siena, sotto la custodia del granduca Ferdinando III; è l'inizio del suo martirio. Non tornerà più a Roma. Viene trasferito alla certosa di Firenze, dove resta prigioniero per sei mesi; verrà a rendergli omaggio il re di Sardegna Carlo Emanuele IV, un altro perseguitato della rivoluzione. Il 28 marzo del 1799 Pio VI è trasportato a Parma e quindi, attraverso Siena e Torino, fino a Briançon: il Direttorio teme che qualcuno possa liberarlo. Viene trasferito a Grenoble, stremato, e da lì infine a Valence, dove arriva in lettiga.
Qui muore il 29 agosto 1799, lontano da Roma, in una sorta di martirio
che chiaramente riscatta il suo pontificato mondano e festaiolo o
perlomeno lo compensa. Pasquino lo santifica in fondo quando ne detta l'epitaffio:
Per conservar la fede
un Pio perdé la sede.
Era stato papa per 24 anni e 8 mesi: secondo la tradizione nessun papa avrebbe dovuto regnare
più a lungo di S. Pietro, papa per 25 anni (la tradizione si dimostrò falsa con Pio IX
che raggiunse i 32 anni di pontificato). La sua salma fu deposta in un sotterraneo di Valence, ma Napoleone stesso provvide che fosse sepolta nel cimitero della città, finché nel 1802 permise che venisse trasferita a Roma. Il grandioso monumento del Canova in S. Pietro si ebbe solo nel 1822.
Gli
Stemmi di Pio
VI
Gli stemmi di Pio VI furono raschiati dappertutto. I Francesi li consideravano
simboli dell'ancien regime e li ritennero privi di ogni valore storico e artistico.
Alcuni stemmi furono ripristinati dopo il 1815, quando Pio VII riottenne il controllo
dello Stato della Chiesa, Cesena, la città dove Pio Vi era nato, ridivenne orgogliosa di lui
e la sua statua gigantesca
ritornò al suo posto.
Gli stemmi dentro le chiese o nelle cittadine dove le idee rivoluzionarie mal attecchirono
ebbero miglior fortuna.
fu confiscato
e lo stemma di Pio VI fu asportato e lo stesso accadde al gigantesco stemma
nell'
.
Questi stemmi non vennero distrutti e furono rimessi al loro posto dopo
il 1815. Un altro grande stemma di Pio VI è ancora visibile vicino
a
.
. I suoi stemmi si trovano sopra uno
degli
alla basilica e all'ingresso della tomba di S. Pietro. I suoi simboli araldici
decorano anche diversi altari.