251.

PIO VII
Barnaba Chiaramonti

Nato a Cesena il 14.VIII.1742

Eletto papa il 14.III
e consacrato il 21.III.1800
Morto il 20.VIII.1823

Il conclave
Nel clima repubblicano e giacobino che dominava l'Italia, alla fine del 1799 quasi tutti i cardinali viventi si erano stabiliti a Venezia sotto la protezione dell'Austria. All'imperatore Francesco II non sembrò vero di poter manovrare in santa pace il conclave che doveva eleggere il successore di Pio VI; fece predisporre allo scopo il monastero dell'isola di S. Giorgio Maggiore, mettendo a disposizione dei porporati ingenti somme di denaro per le spese e facendo sì che si sentissero a loro agio: una sola condizione poneva: il "veto" per tutti i cardinali originari di Francia, Spagna, Napoli, Genova e Sardegna.

Il conclave comunque poté iniziare solo l'1 dicembre e vi parteciparono 34 porporati; ci fu un accenno di polemica tra le solite correnti di tradizionalisti e moderati, ma durarono poco. Il 12 dicembre arrivarono le istruzioni precise dell'imperatore; voleva che fosse eletto il romano Mattei. Si ebbe una reazione a quella imposizione; oltretutto la Spagna riuscì a far pervenire la propria esclusiva. Bisognava tenerne conto, nonostante si fosse "ospiti" dell' Austria. Alla fine s'impose l'eloquenza del prelato romano Consalvi, segretario del conclave, e la diplomazia del cardinale spagnolo Despuig; il 14 marzo 1800 si riuscì a raggiungere addirittura l'unanimità dei voti nella persona del cardinale Barnaba Chiaramonti.

Vita
Era nato a Cesena il 14 agosto 1742 da una nobile famiglia; il padre era conte e la madre marchesa. Aveva studiato presso i Gesuiti a Ravenna, entrando poi nell'Ordine dei Benedettini. A Roma era stato abate a S. Callisto; Pio VI lo aveva nominato vescovo di Tivoli e quindi di Imola, elevandolo alla porpora nel 1797. Non era compromesso politicamente e per questo alla fine la sua candidatura si era imposta nel conclave; tuttavia l'imperatore non gradì quella nomina, tanto che dispose che l'incoronazione non si svolgesse nella basilica di S. Marco, ma nella chiesa di S. Giorgio Maggiore; ciò che avvenne il 21 marzo. Il Chiaramonti assunse il nome di Pio VII.

Poi l'imperatore, forse per riparare allo sgarbo, e comunque per ingraziarselo nel nuovo clima di restaurazione che si stava verificando in Italia, con la caduta delle varie repubbliche, lo invitò a stabilirsi a Vienna. Pio VII rifiutò; la sua sede era Roma e là voleva andare; oltretutto accettare l'invito di Francesco II significava rompere qualsiasi possibilità di accordo con Napoleone che, tornato dalla sua impresa egiziana, si era imposto in Francia con un primo colpo di Stato.

Pontificato
E a Roma Pio VII arrivò il 3 luglio, richiamatovi dal re Ferdinando di Napoli che aveva liberato la città dai Francesi; uno dei primi atti del Suo pontificato fu in agosto la nomina a cardinale del Consalvi, al quale in pratica doveva il trono pontificio. Gli affidava la Segreteria di Stato e la prefettura di varie congregazioni romane; sarebbe stato il suo braccio destro negli affari spirituali e temporali.

Ma né Pio VII né il suo segretario potevano costituire un argine alla straripante potenza napoleonica; se il testo del concordato definito a Parigi dal Consalvi tra il maggio e l'agosto del 1801 riconosceva il cattolicesimo romano come religione di stato in Francia, con una serie di clausole che in parte miglioravano i rapporti esistenti tra la Santa Sede e i re borbonici, in un secondo tempo esso fu mutato dal primo console, mediatore il cardinale Giovanni Battista Caprara, inviato a Parigi come legato "a latere" per l'applicazione del concordato. Napoleone pretese tra l'altro il suo placet sulla pubblicazione dei documenti del papa e sulla residenza in Francia dei nunzi pontifici. A nulla valsero, come sempre, le proteste.
E così pure per il concordato con la nuova repubblica italiana, Napoleone pretese un decreto con cui il governo avocava a sé non solo l'amministrazione dei beni della Chiesa, ma tutta la disciplina ecclesiastica; ormai il "giuseppinismo" aveva fatto scuola. Il Caprara cercò di fare il possibile, ma Napoleone fu drastico. Diversamente il cattolicesimo romano non sarebbe stato proclamato religione di stato.
In questo modo comunque, per ora, Pio VII riuscì a mantenere il vacillante trono papale, come stigmatizzò Pasquino accusando il papa di codarda compiacenza ai voleri della Francia, contrapponendola in questo alla condotta da "martire" del suo predecessore:

Un Pio perdé la sede 
per conservar la fede; 
un Pio perde la fede 
per conservar la sede.

Poi Napoleone volle diventare imperatore e pretese che il papa andasse a incoronarlo a Parigi: Pio VII di fronte a una simile richiesta si agitò a tal punto da ammalarsi. Era inconcepibile per lui consacrare un figlio della rivoluzione che aveva ghigliottinato un re cattolico; e a quale titolo, considerando che già Francesco II d'Austria riteneva sua la corona del Sacro Romano Impero? Su consiglio del Consalvi e di altri cardinali finì per acconsentire, nella speranza di poter strappare a Napoleone alcune delle clausole aggiunte al concordato del 1801. L'incoronazione si ebbe a Notre-Dame il 2 dicembre 1804, ma Pio VII si limitò a benedire il neo imperatore e sua moglie; com'è noto, Napoleone s'incoronò da sé e fu ugualmente lui a porre la corona sul capo di Giuseppina.
Il papa non ebbe alcuna concessione e restò "ospite" dell'imperatore per tutto l'inverno; fu una residenza forzata in pratica, perché il permesso di partire per Roma, continuamente sollecitato, non arrivava mai e un terribile presentimento assillava Pio VII al ricordo del suo predecessore. Dopo cinque mesi, durante i quali risiedette al Pavillon de Flore alle Tuileries, il papa poté finalmente tornarsene a Roma nell'aprile del 1805; nella sua sede lo attendeva un omaggio dell'imperatore consistente in una preziosa tiara, otto arazzi, due enormi tappeti e due candelabri di Sèvres. I Romani lo considerarono il pagamento di un atto ritenuto tradizionalmente religioso, quello dell' "unzione", e si sentirono in dovere di recriminare, accusato com'era di esaltare sempre in Napoleone un liberatore:

Ma Santo Padre, in cosa abbiam peccato?
Voi l'avete unto e noi l'abbiam leccato.

Ma venne la rottura definitiva tra il papa e il dittatore-imperatore; e non poterono nulla Consalvi o Caprara per salvare la Santa Sede. Da Vienna, dov'era entrato trionfatore, nel maggio del 1809 Napoleone decretò la fine del potere temporale dei papi, punendo Pio VII per non aver chiuso il porto di Civitavecchia alle navi inglesi; era l'occasione banale che gli si offriva per risolvere definitivamente una vertenza non più procrastinabile per il prestigio del suo impero. Lo Stato pontificio entrava a far parte dell'impero francese; Roma era dichiarata città libera, dove il papa poteva risiedere solo come capo della Chiesa. Gli si concedeva una rendita annua di due milioni e l'immunità dei palazzi apostolici.
A nulla valsero le proteste; il generale Miollis prese possesso della città e Pio VII ricorse alla bolla di scomunica contro Napoleone, fatta affiggere alle porte delle basiliche. La reazione dell'imperatore fu immediata; dette ordine al Miollis di arrestare il papa. L'operazione fu compiuta dal generale Radet nella notte tra il 5 e il 6 luglio, nel timore di una possibile reazione popolare; il pontefice ordinò alla guardia svizzera di non opporre resistenza. Era sicuro del suo giusto operato; non voleva contrastare la forza con la forza. Avrebbe vinto lui con la bontà, alla quale era sempre ricorso di fronte alle prepotenze dell'imperatore, perché tutti "li papi hanno da èsse de parola", secondo un verso del Belli nel famoso sonetto Li papi de punto, che rievoca l'episodio mettendo in evidenza con amara ironia l'illusione di Pio VII:

Ner momento d'annà in deportazione 
Cosa disse a li preti a lo sportello?

"Io parto agnello e ttornerò leone". 
Defatti accusì ffu. Quel bon aggnello 
Partì granello e ritornò cojone.

Il papa e il prosegretario di Stato, il cardinale Bartolomeo Pacca, furono fatti salire su una carrozza che, via Firenze, giunse a Grenoble; i due prigionieri vennero separati. Il Pacca finiva a Fenestrelle, dove sarebbe rimasto fmo al 1815, mentre Pio VII veniva trasportato a Savona.
Napoleone voleva costringere il pontefice a trasferire la sua residenza a Parigi, ma naturalmente ebbe un netto rifiuto. L'imperatore riunì allora un concilio nazionale di vescovi e cardinali che, secondo le sue intenzioni, avrebbero dovuto abolire tutte le bolle emanate dal papa; essi dichiararono onestamente che la cosa non rientrava nelle loro Competenze. Napoleone s'infuriò ma non ottenne nulla; e sciolse il concilio.
Ora aveva un altro problema da risolvere; doveva punire lo zar e accantonò le diatribe religiose. Comunque prima di partire per la Russia ordinò il trasferimento del papa a Fontainebleau; sarebbe stata l'ultima meta del suo calvario.
Al ritorno dalla disastrosa spedizione, Napoleone era ormai lo spettro del grande dominatore; da lì a breve tempo le grandi potenze avrebbero avuto ragione di lui. Ma Pio VII a Fontainebleau ne era all'oscuro; Napoleone la sera del 19 gennaio 1813 si presentò a lui, come pentito di quanto aveva fatto, abbracciò e baciò più volte il papa, che si commosse. Insomma riuscì, come avrebbe detto il Belli, a "rincojonillo" in maniera tale che il 25 gennaio gli carpì la firma di un nuovo concordato, che avrebbe dovuto riabilitare l'imperatore agli occhi del popolo. E per mostrare infatti le sue buone intenzioni mise in libertà tredici cardinali che si trovavano a domicilio coatto. Non era credibile il suo comportamento e quando a S. Pietro fu celebrato il Te Deum per festeggiare il ristabilimento dei buoni rapporti tra il papato e l'imperatore, Pasquino lo fece chiaramente capire:

Te deum laudamus e in te speriamo, 
ma a Bonaparte non ci crediamo.

Pio VII d'altronde con una lettera scritta di proprio pugno fece sapere il 14 marzo a Napoleone che quel concordato personalmente lo riteneva nullo; lo rinnegava. Ma ormai i sovrani europei stringevano in una morsa l'imperatore che a Lipsia nell'ottobre del 1813 aveva perso la sua occasione di riscossa. Il 23 gennaio 1814 arrivava l'ordine di liberazione per Pio VII; il 4 maggio Napoleone raggiungeva l'isola d'Elba; venti giorni dopo il papa tornava a Roma.
Ci sarebbero stati ancora i "cento giorni" e il papa avrebbe dovuto lasciare nuovamente la sua sede, rifugiandosi a Genova sotto la protezione di Vittorio Emanuele I. Poi dal 7 giugno del 1815 il rientro a Roma sarebbe stato definitivo. Vienna gli avrebbe restituito integralmente i domini territoriali italiani.
Era la restaurazione; Pio VII nel campo religioso riconfermò l'Ordine dei Gesuiti e in quello politico ripristinò un regime assolutista.
Un moto a Macerata nel 1817 portò a numerosi arresti, un processo e undici condanne a morte, poi commutate nel carcere a vita: "il movimento carbonaro diede dunque non poche preoccupazioni al Consalvi, il quale cercò di reprimerlo con severità, senza tuttavia cadere in eccessi troppo gravi", come nota il Candeloro. Comunque egli "cercò in ogni modo di tagliare tutti i ponti non solo con i fermenti nuovi, ma anche con tutto ciò che potesse aver sentore di cultura organizzata", precisa Bruno Cagli, tanto che "delle leggi napoleoniche non fu conservato quasi nulla. Eppure passò presso i suoi successori come un mezzo liberale". In ogni caso contro la carboneria e tutte le sette politico-religiose Pio VII pubblicò una bolla di condanna il 21 settembre 1821.

In quegli ultimi tempi di pontificato, dopo tante sofferenze, questo papa cercò di rinfrancarsi con le Belle Arti; incaricò il Canova di trattare con Luigi XVIII la restituzione dei cimeli preziosi e delle opere d'arte, riuscendo però a recuperare ben poco. Nel 1822 fece erigere l'obelisco sul piazzale del Pincio.

Il 7 luglio 1823 si ruppe una gamba e il malanno sarebbe risultato incurabile; il 16 luglio un violento incendio devastò la basilica di S. Paolo, ma non gli fu detto nulla per non rendere più triste la sua lunga agonia. Morì il 20 agosto 1823 e fu sepolto in S. Pietro in uno splendido mausoleo opera del Thorwaldsen.

Encicliche di Pio VII