252.

LEONE XII
Annibale dei nobili
Sermattei della Genga

Nato il 20.VIII.1760 presso Ancona

Eletto papa il 28.IX
e consacrato il 5.X.1823
Morto il 10.II.1829

Il conclave
Il conclave per eleggere il successore di Pio VII si aprì nel palazzo del Quirinale il 2 settembre 1823; a parte la solita divisione tra "zelanti" e "moderati", secondo quanto riferisce l'ambasciatore austriaco Apponyi, "lo spirito dominante era quello della passione, dell'odio e della vendetta... Umiliare il cardinal Consalvi, distruggere la sua creazione, era diventato, per così dire, il prezzo del papato". Veniva in pratica escluso da ambedue i fronti; il candidato dei conservatori era Gabriele Severoli, per il quale l'Austria pose il suo veto, come contrario alla politica interventista del Metternich; l'accusa di connivenza politica con i carbonari era comunque una montatura. Il candidato dell'altro fronte era il Castiglioni, ma lui era troppo apertamente votato all'Austria. La spuntarono ugualmente gli "zelanti" con il cardinale Annibale della Genga, un conservatore indipendente che Pasquino conosceva bene e come tale lo aveva quotato nelle scommesse:
Chi vuoi che l'ordine in trono venga, 
preghi che sia eletto il della Genga.
Vita
Nato nel castello della nobile famiglia di Genga, presso Ancona, il 20 agosto 1760, aveva studiato a Roma nell' Accademia dei nobili. Era stata rapida la sua carriera ecclesiastica sotto Pio VI, che lo aveva nominato arcivescovo di Tiro e quindi nunzio a Lucerna e Colonia; la porpora la doveva a Pio VII, che in un primo tempo lo aveva richiamato a Roma come vicario e arciprete di S. Maria Maggiore. I Romani comunque gli accreditavano una relazione con la moglie del capitano della guardia svizzera, così che poi, una volta papa, circolò sulla cosa la solita "pasquinata":
Passando della Genga, un forestiero 
domandò: "Questi è il Santo Padre, è vero?". 
Ma il capitano de' Svizzeri che udì,
rispose: "Santo no, ma padre sì".
Pontificato
Fu eletto dunque romano pontefice il 28 settembre 1823 e consacrato in S. Pietro il 5 ottobre; assunse il nome di Leone XII. Si trattò di un'intronizzazione solenne, con varie amnistie e concessioni per accattivarsi l'animo del popolo. Fece distribuire un "paolo" a tutti i poveri che si presentarono nel cortile del Belvedere, sorteggiò cento doti di trenta scudi per "zitelle da marito", dispensò buoni per pane e carne ai disoccupati, svincolò tutti i pegni giacenti presso il Monte di Pietà. Ma ormai il ritratto Pasquino già gliel'aveva fatto e quelle concessioni non sarebbero valse a farlo amare dai suoi sudditi:
Alto di corpo e piccolo di cuore, 
ristretto nel talento e nel pensiere,
non mosso dalla stima e dall'onore, 
disobbligante e privo di maniere;

col volto sempre scevro di colore, 
siede sul trono senza antivedere, 
contornato da birbe a tutte l'ore, 
perché tra queste sol prova piacere.

O disgraziato popol di Quirino, 
un tempo domator del mondo tutto, 
gli scettri dispensavi e le corone!

Or misero ridotto dal destino, 
soffri la sorte tua, vèstiti a lutto
e piangi fin che vita avrà Leone. 
D'altronde arrivarono anche i provvedimenti stravaganti che confermarono certa sua meschineria: "siccome nelle taverne con grande facilità si bestemmiava e capitavano risse e ferimenti", come ricorda il Castiglioni, il papa "ordinò che le si chiudessero con cancelli. Gli avventurieri potevano bere vino, ma standosene fuori e facendoselo versare attraverso i cancelli!". Poi ampliò notevolmente il Ghetto, abolì la commissione per l'innesto del vaiolo e Marforio sbraitò:
Questo papa sempre a letto 
dentro Roma allarga il Ghetto, 
alle scienze l'interdetto, 
anche al vino il cancelletto, 
questa legge è di Maometto. 
Oh, governo maledetto! 
Che fosse un tipo non in salute lo riconobbe lui stesso appena fu eletto. Voleva rinunciare e disse ai cardinali: "Non insistete. Voi eleggete un cadavere". Si diceva che avesse avuto gli ultimi sacramenti diciassette volte; una di queste capitò dopo gli strapazzi dell'incoronazione e siccome guarì dopo che l'avevano già dato per spacciato la vigilia di Natale, si gridò al miracolo. Leggenda vuole che il vescovo di Macerata, Vincenzo Strambi, suo amico, avesse pregato così pietosamente Dio fino ad offrire la sua vita per quella del pontefice, che fu esaudito; Leone XII si salvò e lo Strambi morì il giorno di capodanno.

Il non lungo regno di Leone XII (6 anni, 1823-1829) segnò il declino definitivo del significato politico del potere temporale sebbene fossero da lui compiuti tutti gli sforzi per un ultimo tentativo per renderlo popolare con la riforma dei codici  e in particolare della procedura penale (bolla "Reformatio Tribunalium", detta "della Giustizia a buon mercato"; 5 ottobre 1824) - poi con ricche donazioni alla Biblioteca Vaticana e con la formazione del primo significativo nucleo del Museo Etrusco; né va dimenticato il suo sforzo per la riforma degli studi universitari (bolla "Quod Divina Sapientia"; 28 agosto 1824) e non può essere sottovalutato che fu Leone XII a dar ordine che le opere di Galileo venissero tolte dall'Indice.

Tuttavia, il clima di sospetto che la nascita dei moti liberali aveva introdotto nel governo, alcune misure dirette a riportare dignità nei luoghi di culto - e che furono ad arte mal propagandate - e i controlli imposti ai pellegrini, accorsi da ogni parte del mondo per il Giubileo del 1825, avevano ormai scavato un incolmabile fossato tra il Governo e la Curia da un lato e il popolo della città e dello stato dall'altro.

Per quanto riguarda la guida politica dello Stato, aveva proceduto al licenziamento del Consalvi adottando in pieno una linea rigidamente reazionaria; affidò la Segreteria al Della Somaglia e annullò molte delle riforme legislative emanate da Pio VII. Per combattere il banditismo affidò l'incarico a un legato speciale, il cardinale Antonio Pallotta, ma non si fece particolare distinzione tra delinquenti comuni e carbonari. 

Per quanto riguarda il Giubileo, se Pio VII aveva evitato nel clima giacobino del 1800 di proclamare l'Anno Santo, "uno dei primi pensieri del papa Leone era stato di pubblicare il giubileo universale per l'anno 1825", come ricorda il D'Azeglio, "la qual cosa significava Roma trasformata per dodici mesi in un gran stabilimento di esercizi spirituali. Non teatri, non feste, non balli; invece prediche, missioni, processioni, funzioni".
In quell' Anno Santo i pellegrini non furono meno di mezzo milione, ma il segretario di Stato stava all'erta; temeva "l'introduzione nelle province di Roma di cospiratori politici e di membri delle società segrete, i quali, sotto il mantello del pellegrino, potrebbero riscontrarsi sicuri e tramar degli eccidi". 

Nel giugno 1825 fu scoperta a Roma una vendita fondata dal bresciano Angelo Targhini e dal romagnolo Leonida Montanari, medico condotto a Rocca di Papa; furono ghigliottinati nel novembre come "rei di lesa maestà e ferite con pericolo" in piazza del Popolo, secondo quanto ricorda una lapide posta sulla parete della caserma dei Carabinieri, oggi, della gendarmeria pontificia, allora. (Quella stessa piazza l'anno dopo, 1826, vide l'ultimo supplizio della mazzolata semplice, cioè senza squartamento, eseguito dal boia Mastro Titta ai danni di Giuseppe Franconi, che aveva ucciso un prete per rapina). Leone XII fu accusato di non avere un minimo di pietà cristiana, che ancor più si sarebbe imposta nel clima d'indulgenza e perdono propria di un Anno Santo. E si capisce allora lo spirito dispregiativo con cui lo rievocava il Belli:

Arfine, grazziaddio, semo arrivati 
All'anno santo! Alegramente, Meo: 
Er Papa ha spubbricato er giubbileo 
Per ttutti li cristiani battezzati.

Beato in tutto st'anno chi ha ppeccati, 
Ché a la cuscenza nun je resta un gneo! 
Basta nun èsse giacobbino o ebbreo, 
O antra razza de cani arinegati.

Se leva ar purgatorio er catenaccio;
E a l'inferno, peccristo, pe quest'anno, 
Pòi fà, pòi dì, nun ce se va un cazzaccio.

Tu va' a le sette-chiese sorfeggianno, 
Méttete in testa un po' de cenneraccio, 
E ttienghi er paradiso ar tu' commanno. 

 

L'anima nera dei carbonari fu il cardinale Agostino Rivarola, legato straordinario con poteri illimitati in Romagna. Procedette ad arresti in massa e il 31 agosto 1825 emanò personalmente una sentenza contro 508 imputati, così articolata, come segnala il Candeloro: "Sette furono condannati alla pena capitale (commutata per tutti nella prigionia perpetua), tredici ai lavori forzati a vita, sei alla prigionia perpetua, due all'esilio perpetuo, novantaquattro ai lavori forzati o alla prigionia per varia durata, trecentottantasei alla sorveglianza e al "precetto politico", cioè assoggettati ad una rigorosa vigilanza poliziesca e ad una serie di divieti e di obblighi particolarmente vessatori, come quelli di non uscire dalla propria città, di confessarsi una volta al mese, di fare ogni anno gli esercizi spirituali per tre giorni in un convento".
L'anno dopo il Rivarola scampò ad un attentato e il papa lo richiamò a Roma; lo sostituì monsignor Filippo Invernizzi, che istruì un processo per l'attentato. Questo si concluse nel 1828 con cinque condanne a morte; quattro furono eseguite e una fortunatamente commutata al solito nella galera perpetua.

Nel 1827 la Segreteria di Stato passava dal dimissionario Della Somaglia al cardinale Tommaso Bernetti, che attuò una linea un po' più morbida; ci si rese conto che le condanne servivano poco, perché le vittime diventavano martiri guadagnando nuovi proseliti alla causa liberale. Fu concessa un'amnistia a tutti quelli che dichiararono per iscritto di uscire dalla società segreta; l'amnistia fu detta la "spontanea" e alcuni ne approfittarono. Ma gli autentici carbonari continuarono a tramare; nel 1829 sarebbe stata scoperta a Roma un'altra vendita, con un nuovo processo sotto Pio VIII che avrebbe portato numerose condanne al carcere a vita.

Leone XII morì a Roma il l0 febbraio 1829 e fu sepolto in S. Pietro di fronte all'altare di S. Gregorio Magno. I Romani respirarono e dell'impopolarità raggiunta da il "Papa limone", giallo sempre delle sue malattie, fanno testo le due seguenti pasquinate:

Qui della Genga giace 
per sua e nostra pace. 
Tre dispetti ci festi, o Padre Santo,
accettare il papato, viver tanto, 
morir di carneval per esser pianto
Encicliche di Leone XII