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INNOCENZO X
Giovan Battista Pamphili

Nato a Roma il 6.V.1574

Eletto papa il 15.IX
e consacrato il 4.X.1644
Morto il 7.I.1655

Questo è il famoso ritratto di papa Innocenzo X, realizzato da Velazquez durante il suo soggiorno romano tra il 1649 e il 1650. Giovanni Battista Pamphilj era un personaggio proverbiale anche per il suo aspetto ruvido, satirico e molto brutto. Velazquez non manca di cogliere queste sue caratteristiche, rimarcandole in un ritratto che ha una potenza espressiva notevolissima. Il quadro si regge su una serie di contrasti e di concordanze, che sono di mirabile invenzione. Innanzitutto è evidente il contrasto tonale tra il bianco e il rosso, che in varie tonalità domina in tutto il quadro. Solo due colori, ma che vengono così abilmente controllati nei rispetti toni, da creare effetti visivi sorprendenti. Poi vi è il contrasto tra la sacralità della posa e del vestimento, e l’espressione decisamente poco ieratica del papa che sembra a stento trattenersi dal muoversi, quasi non sopportasse più di dovere stare fermo. Il ritratto appare così vivo e naturalistico, che divenne uno dei quadri più celebri di Roma e uno dei più ammirati anche dai visitatori stranieri. Tale la sua fama, che questo quadro è quasi divenuta un’icona dell’immagine papale, ed insieme un modello, per i pittori successivi, dell’arte del ritratto. Il dipinto è conservato a Palazzo Doria-Panphili nell'omonima Galleria

Il conclave

Il conclave che si svolse nel pieno dell'estate del 1644 sembrava in mano ai Barberini, che potevano contare su un gran numero di cardinali a loro legati, puntando decisamente sull'elezione del cardinale Sacchetti; ma non ce la fecero. Subentrarono discordie nelle loro stesse fila e Francesco Barberini era amareggiato di non essere ben accetto agli Spagnoli; un giorno si venne anche alle mani. Il solleone dava alla testa e al solito alcuni porporati cominciarono a sentirsi male; ci si accordò su una "creatura" di Urbano VIII, anche se notoriamente antifrancese, Giovan Battista Pamphili, che fu eletto il 15 settembre 1644. Il Mazzarino, successo al Richelieu nella guida della Francia, non fece in tempo a far pervenire il suo veto. 

Vita

Giovan Battista Pamphili era nato a Roma il 6 maggio 1574 nel palazzo di famiglia in Piazza Navona (oggi sede dell'Ambasciata del Brasile) e questo spiega perché dedicò così tanti sforzi a trasformare il mercato delle erbe tra le rovine dello stadio di Domiziano in una delle più belle piazze di Roma.

Era stato avvocato concistoriale e uditore di Rota, nonché nunzio a Napoli; aveva poi accompagnato il cardinale Barberini nella sua legazione in Francia e a lui doveva la porpora. Proprio per questo motivo la famiglia, arricchitasi con Urbano VIII, sperava di poter seguitare a fare la bella vita anche con lui. Ma si sbagliò. 

Papa

Appena consacrato papa il 4 ottobre, col nome di Innocenzo X, questi procedette immediatamente contro i Barberini, così odiati dal popolo, per appropriazione indebita; istituì infatti una commissione d'inchiesta e impose alla nobile famiglia il rimborso delle spese sostenute nella guerra di Castro, considerata una specie di guerra privata intrapresa a danno delle finanze pontificie.

I cardinali Barberini nel giro di qualche mese cambiarono aria e si rifugiarono in Francia; una fuga che fu riconosciuta come autoconfessione di colpevolezza. Furono deposti dalle cariche che ricoprivano e i loro beni vennero confiscati. A questo punto si fece sentire Mazzarino e la regina inviò per iscritto le sue proteste al papa. Innocenzo capì che non era il caso di andare oltre; non poteva inimicarsi la Francia una volta per tutte, con le trattative di pace in corso alla fine della guerra dei Trent'Anni e l'eresia giansenista dilagante in quel regno.

Il papa dovette abbozzare e l'operato della commissione d'inchiesta fu cancellato con un colpo di spugna; i Barberini sarebbero tornati a Roma con tutti gli onori e il fratello del Mazzarino ci guadagnò la porpora. La diplomazia pontificia aveva subito un altro smacco. Poi con Westfalia fu buio pesto; il papa era stato in pratica escluso dalle lunghe trattative. Il suo rappresentante, Fabio Chigi, assistette impotente alle decisioni delle grandi nazioni sulle questioni territoriali e religiose riguardanti il riconoscimento dell'indipendenza di nuovi Stati e degli affari dell'impero. Il congresso aveva riconosciuto ufficialmente l'eresia e per di più con mille disposizioni aveva regolato problemi di diritto ecclesiastico, attribuendo a sovrani e principi, appartenenti alla confessione d'Augusta, benefici della Chiesa in qualità di feudi perpetui.

Innocenzo X non poté far altro che protestare con la bolla del 26 novembre 1648 contro gli articoli che ledevano i diritti della Chiesa di Roma e s'ingerivano nel reggimento interno ecclesiastico. Ma la protesta non ebbe seguito. La bolla non fu nemmeno pubblicata a Vienna; era la fine di un mito. Lo Stato pontificio veniva politicamente ignorato nel contesto internazionale; la voce del suo sovrano religiosamente non era più considerata in grado d'intaccare la scelta della fede nei cittadini di uno Stato straniero. La Francia cattolica aveva firmato i trattati accanto alla Svezia protestante; l'Europa trovava un suo assetto esclusivamente politico, mentre quello religioso passava in secondo piano. I cattolici di tutto il mondo avrebbero sì seguitato a vedere nel papa il "vicario di Cristo", ma certo la sua voce da allora si sarebbe a volte scontrata con una libertà di coscienza alimentata da circostanze contingenti dettate da un razionalismo sempre più dilagante.

E una riprova la si sarebbe avuta con la bolla emanata contro i giansenisti nel 1653; fu accettata da tutti, riconosciuta come precisa nelle motivazioni di condanna dalle massime università di Lovanio e Parigi e perfino dagli stessi seguaci di Giansenio. Questi riconobbero infatti l'infallibilità del papa nel giudicare se una proposizione fosse eretica o meno, ma contestarono nel caso specifico che si potessero dichiarare effettivamente eretiche le intenzioni di Giansenio; era appunto messa in ballo la libertà di coscienza e su questa strada è chiaro che tutto diventava opinabile. La controversia infatti seguitò, animata da Antoine Arnaud e Blaise Pascal, legandosi al movimento di Port-Royal; la dottrina giansenista s'infiltrò sotto varie forme nella cultura, restando viva in certi ambienti intellettuali europei fino agli albori del romanticismo. Fu una controversia a livello di Ordini religiosi, nella quale vennero coinvolti i Gesuiti, ma non divenne mai un'eresia popolare e sostanzialmente lasciò il segno solo in Francia che, nonostante i ripetuti interventi di condanna da parte di vari pontefici, rimase divisa su due fronti contrapposti.

Deluso da un'Europa ormai troppo grande per un sovrano temporale così piccolo, Innocenzo X si adattò alle circostanze, accettò di buon grado di essere snobbato dalle grandi nazioni e riversò tutta la sua politica nel chiuso dello Stato pontificio e di Roma. E seguì la moda del "nuovo" nepotismo, buttandosi sui parenti per arricchirli ed elevarli agli alti ranghi del potere laico o ecclesiastico; ma con i nipoti cardinali gli andò male. Non ce ne fu uno capace di affiancarlo nella gestione del potere, mentre ad imporsi fu una donna: Olimpia Maidalchini, vedova di suo fratello Pamphilio.

È ormai certo che la relazione tra i due cognati, di cui parlava malignamente il Gualdi nella sua Vita di Donna Olimpia Maidalchini pubblicata nel 1666, sia pura fantasia, "un romanzo, composto di notizie apocrife e da fantasie chimeriche", come ha osservato il Ranke. Ma è anche indiscutibile che questa donna ambiziosa e avida dominò completamente il vecchio pontefice, che fin dagli inizi del pontificato la colmò di sostanziose donazioni, dal castello di S. Martino al Cimino al palazzo di piazza Navona, dove egli era nato.

Era la personalità più potente della Curia, così che ambasciatori, cardinali e prelati per ottenere quanto desideravano dal pontefice ricorrevano a lei, che fungeva da autentica "papessa":

Per chi vuol qualche grazia dal sovrano, 
aspra e lunga è la via del Vaticano;
ma se è persona accorta,
corre da Donna Olimpia a mani piene 
e ciò che vuole ottiene.
È la strada più larga e la più corta.
Così la ricorda Pasquino ed era vero; tutti la ossequiavano e cercavano di rendersela amica con ricchi doni. Il suo ritratto ornava spesso gli appartamenti insieme a quello del papa; era appunto considerata come una sovrana. E con lei il fasto fu garantito a Roma, nel campo artistico, nella vita pubblica e nei costumi, ovviamente nel puro barocchismo dell'epoca. Col fasto anche il vizio e il malcostume rispuntarono, sia pure a livelli di alta classe, tanto che le puttane stesse ritrovarono la loro rispettabilità cortigiana sotto la sua protezione, come rendeva noto un Avviso del 30 agosto del 1645. In esso si legge che le prostitute "compariscono in carrozza nelle solennità maggiori, perché la signora Donna Olimpia, dopo essere stata regalata dalle medesime, si è contentata di prenderle sotto la sua protezione, le ha permesso che mettano l'arme di Sua Eccellenza sopra la sua porta et le ha conceduto che vadino in carrozza senza riguardo alcuno, come se fossero honorate" .

Naturalmente curò i suoi interessi, si arricchì in maniera spregiudicata e insaziabile, non esitando a sfruttare vergognosamente la carestia degli anni 1647 e 1648, come ricorda Pasquino:

Della grascia e dell'annona 
tolte via le leggi avare, 
vederebbe ogni persona 
l'abbondanza ravvivare. 
L'abbondanza ch'è distrutta, 
perché troppo a qualcun frutta.
Il figlio di questa donna, Camillo, non ebbe altro che l'imbarazzo della scelta per il suo futuro altolocato. Nominato dallo zio generale della Chiesa, comandante supremo della flotta e governatore di Borgo, a un certo punto depose quelle cariche e preferì diventare cardinale, affiancando per un po' di tempo il segretario di Stato, che era allora Panciroli. Poi ci ripensò e riprese lo stato laicale per sposare la giovane vedova del principe Borghese, Olimpia Aldobrandini. La madre non avrebbe voluto quel matrimonio, perché la futura nuora era di temperamento simile al suo e ne temeva la concorrenza. Ma Innocenzo accontentò Camillo e accettò le sue dimissioni da cardinale; unica condizione fu che gli sposi andassero a vivere a Frascati, e questo per accontentare la "papessa" che non ammetteva rivali nel dominio sulla Roma-bene.

L'apice del prestigio così questa donna lo raggiunse in occasione del giubileo del 1650; un avvenimento così sacro fu celebrato all'insegna della mondanità, secondo un cerimoniale sotto molti aspetti preordinato da lei. "L'oratoria sacra si è trasformata in tronfia esercitazione rettorica: i predicatori sono divenuti istrioni da palcoscenico", annota il Castiglioni, "si va alla predica come ad un passatempo da teatro; donna Olimpia chiama nel suo palazzo", regalatole dal papa in piazza Navona, "a sermoneggiare l'applauditissimo gesuita padre Oliva, ed invita ad ascoltarlo dame e cavalieri, che vi accorrono come ad un sollazzo".

L'udienza pontificia raggiunge una solennità impensabile: l'ambasciatore di Filippo IV vi si recherà con un seguito di 300 carrozze, ognuna accompagnata da lacché, mori dalle splendide livree e cavalli bardati.

Poi subentrò una crisi di convivenza tra papa e cognata; lui nominò cardinale il diciassettenne nipote di Olimpia, Francesco Maidalchini, perché prendesse il posto di Camillo Pamphili. Era un inetto però e Innocenzo lo mise da parte sostituendolo con un altro cardinale nipote, Camillo Astalli, lontano parente della Maidalchini. Ma questa dette in escandescenze; quel nipote non rientrava nei suoi piani. Il vecchio sembrò averne abbastanza e la mise alla porta. E lei si ritirò a S. Martino al Cimino, un feudo regalatole dal papa con tanto di palazzo e campagna; un esilio regale.

L'Astalli acquistò d'importanza ma non tale da poter sostituire il Panciroli quando questi morì nel 1651; nuovo segretario di Stato fu il cardinale Fabio Chigi.

Il papa allora fece tornare a Roma anche Camillo Pamphili con sua moglie, pronta a diventare la nuova "papessa"; questa voleva strafare e la vecchia Olimpia fu richiamata a corte "per mantenere l'ordine domestico", secondo le parole del Ranke. Furono in realtà intrighi e dispetti tra le due Olimpie, che Innocenzo sopportò finché "la Pimpaccia di piazza Navona", come i Romani chiamavano la Maidalchini, rimase di nuovo l'unica incontrastata signora, con buona pace dell'ottantenne pontefice.

Mentre dunque la cognata teneva le chiavi di casa, il papa si dedicò a far bella Roma. Di finanze si occupò per necessità, dovendo riparare in qualche modo a quella sanguisuga insaziabile che gli stava alle costole e per tutti i lavori di edilizia che curò nella città. Ma nella circostanza si mostrò "energico, abile e deciso", come osserva il Ranke, e "costrinse i baroni a pagare i loro debiti". Esemplare in tal senso fu il comportamento nei confronti del duca di Parma; i suoi creditori rivolgevano in continuazione istanze ad Innocenzo perché costringesse Ranuccio Farnese a pagare. Il vecchio si mosse: prese spunto dall'assassinio del vescovo di Castro, del quale vennero ritenuti responsabili i funzionari del duca, e ordinò che i beni dei Farnese fossero messi in vendita. Le truppe pontificie si diressero verso Castro per prenderne possesso; era il 1649.
Ranuccio pensò di salvarsi come era riuscito al padre Odoardo con Urbano VIII, ma questa volta le potenze europee ormai in pace non l'avrebbero permesso. E Castro fu distrutta. L'ammontare dei debiti comunque era talmente enorme, che il duca non avrebbe mai potuto mettersi in regola con i creditori; e per questo ci fu la mediazione della Spagna.

E poi vennero le imposte straordinarie. Per la sola erezione dell'obelisco in piazza Navona sulla fontana dei Quattro Fiumi del Bernini, ovvero delle quattro fonti dell'acqua Vergine, si ebbe la gabella di un quattrino per libbra sulla carne e sul sale e l'aumento del prezzo del grano, per cui Pasquino commentava:

Noi volemo altro che guglie e fontane; 
pane volemo, pane, pane, pane! .
Piazza Navona perse il suo carattere paesano; centro fino ad allora del mercato di frutta e verdura, si nobilitò con il rinnovato palazzo Pamphili e la chiesa di S. Agnese, ambedue opera del Borromini: divenne la "Reggia Pamphili". Ma anche molte strade della città furono ampliate e sistemate; il piano di rinnovamento urbanistico avviato da Sisto V e Paolo V proseguì con impegno. Un tocco di modernità lo ebbero anche le prigioni; nelle "Carceri Nuove" di via Giulia fu instaurato per la prima volta in Europa un sistema cellulare improntato a norme d'igiene e sicurezza. Sul Gianicolo, nella regione detta Belrespiro, i Pamphili ebbero infine la loro villa; ad erigerla fu l'Algardi e vi abitò il nipote d'Innocenzo, Camillo, con la sua Olimpia.

Innocenzo X morì il 7 gennaio 1655, dopo una lunga agonia, che permise ai vari parenti di far bottino e mettere al sicuro le sue ricchezze; donna Olimpia fu vista fino all'ultimo arraffare quello che le era possibile negli appartamenti pontifici. Il suo cadavere restò per tre giorni senza che nessuno dei parenti provvedesse a seppellirlo; donna Olimpia, alla quale la Curia si rivolse perché provvedesse lei alle spese per le esequie, rispose che era una "povera vedova" e non poteva accollarsi quell'onere. Nessun altro dei parenti ritenne di avere degli obblighi nei confronti del defunto. La salma alla fine fu trasferita in un locale adibito a magazzino e sistemata in una bara provvisoria; più tardi il nipote Camillo si ravvide e gli eresse un monumento funebre nella chiesa di S. Agnese.

I Romani al solito respirarono, ma principalmente avrebbero voluto far fuori donna Olimpia:

Finita è la foia
di questa poltrona 
di piazza Navona: 
chiamatele il boia.
Finita è la foia.
... È morto il pastore, 
la vacca ci resta: 
facciamole la festa, 
cavatele il core.
È morto il pastore. 
Alessandro VII, successore di Innocenzo X, si sarebbe fatto interprete indirettamente del desiderio popolare; una volta eletto, le ordinò di andarsene da Roma e ritirarsi in confino a S. Martino al Cimino. Fu anche istruito un processo contro di lei per "appropriazione indebita" dei soldi dello Stato; e venne condannata a restituire il mal tolto. Non lo avrebbe mai fatto: morì di peste a S. Martino al Cimino nel 1657.


La Famiglia Pamphili

 
I Pamphili prestarono fede al presunto significato greco del loro cognome ("Amici di tutti") e fecero grande uso della loro colomba araldica col ramo d'ulivo, che secondo loro doveva essere il simbolo della loro indole amichevole.
Qui le colombe sono all'entrata della chiesa di Santa Agnese in Agone (Pianta del Letarouilly qudrante 1 30/D3), dove Innocenzo X è sepolto. Originariamente la facciata era in Via dell'Anima, ma Borromini ristrutturò la chiesa e pose l'entrata in Piazza Navona, di cui divenne punto focale, sottolineata dalla Fontana dei 4 Fiumi del Bernini di fronte all'ingresso

Il Palazzo Doria Pamphili 


La famiglia Pamphili si unì alla fine del XVII secolo con quella dei Doria di Genova, comprò e ristrutturò un grande palazzo all'inizio di Via del Corso vicino a Piazza Venezia (Pianta del Letarouilly quadrante 2 26/E4). In questo palazzo i Doria-Pamphili vivono tuttora e possiedono la galleria privata più ricca di Roma.
La facciata su Via del Corso è un capolavoro della fine del periodo Barocco. La decorazione si basa su colombe che volano in differenti direzioni su tutte le finestre.

Sant' Andrea al Quirinale


La chiesa di S. Andrea è forse il capolavoro di Gian Lorenzo Bernini. La sua reinterpretazione di temi classici qui raggiunge il suo acme. Egli disegnò un portico circolare che era un modo nuovo di vedere il pronaos quadrato dei templi greci. L'interno ha forma ellittica con l'asse maggiore parallelo alla facciata. La chiesa gli fu commissionata dal Cardinal Camillo Pamphili. Lo stemma è un tentativo del Bernini di esplorare nuovi modi per riformulare uno schema clasico. E' un piccolo capolavoro in se stesso al quale furono e sono dedicti molti studi (vedi ad esempio la tavola di Filippo Juvarra e quella di Giuseppe Vasi).

Villa Doria - Pamphili

Questa grande Villa si trova immediatamente fuori di Porta S. Pancrazio (Pianta del Letarouilly quadrante 1 16/B4) sul Gianicolo. La Villa ha anche il nome di "Villa Belrespiro" per via dell'aria fresca che arriva dal mare (il "ponentino"). Al centro del vasto parco venne costruita una Palazzina da Alessandro Algardi per dotare il vecchio Papa di una residenza più confortevole delle stanze in  Vaticano, troppo vicine al Tevere.

Nel parco si alternano giardini e vegetazione selvaggia, con molte fontane e statue. Andando in giro si possono scorgere molte tracce dei padroni originari. Qui si ha l'impressione di di scoprire alcune rovine Romane simili a quelle lungo la  Via Appia, ma la colomba ci ricorda che è solo una sofisticata ri-creazione del passato. Spesso distruggendolo, artisti e papi del periodo Barocco ne erano però affascinati e seguitavano a rielaborare temi classici.

San Nicola da Tolentino


Fuori di Piazza Barberini (Pianta del Letarouilly quadrante 2 13/F2) la chiesa di S. Nicola da Tolentino è decorata con la colomba dei Pamphili e i Fleurs-de-Lis.
Indubbiamente questi simboli si adattano benissimo per la decorazione di una chiesa e perdono il loro scopo originale di far associare il nome dei Pamphili all'edificio. Dentro la chiesa la cappella Pamphili presenta un interessante stemma di famiglia realizzato da Alessandro Algardi, mostrato vicino alla tavola di Filippo Juvarra.

Andando in giro e sul Campidoglio


La colomba appare nelle decorazioni di cappelle (Cappella S. Tommaso di Villanova in S. Agostino), di edifici (palazzo in Via Aleardi, vicino a San Giovanni in Laterano (Pianta del Letarouilly quadrante 4 40/H6)) e di statue (Papa Innocenzo X di Alessandro Algardi in Campidoglio (Pianta del Letarouilly quadrante 2 25/E4)).

Nei Castelli Romani


A sud di Roma si estende un'area di colli vulcanici, i Colli Albani. Nella città principale, Albano, dove il Papa tuttora conserva una grande Villa, i Pamphili avevano uno dei loro palazzi. Oggi è abbandonato e non ha nulla di impressionante, così non è menzionato nelle guide. Il giardinetto si è inselvatichito, ma appena l'occhio incontra la colomba subito si capisce che i qui sono passate la storia e l'arte. 
Per una colomba che tentò di sopravvivere vedi gli stemmi risparmiati dalla Rivoluzione Francese.