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URBANO VIII
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Il conclave
Con l'afa estiva e la malaria dilagante, i cardinali entrati in conclave nel luglio del 1623 per eleggere il successore di Gregorio XV tutto fecero fuorché attenersi scrupolosamente alle norme che quel papa aveva ribadito sul rispetto della clausura e la non ingerenza di personalità estranee al Sacro Collegio. Era uno scontro fra tre correnti politicizzate nei vari indirizzi che la guerra dei Trent'Anni aveva ancor più evidenziato; si andava avanti per esclusione, sotto il determinante controllo della Spagna, e poco mancò che si venisse alle mani. Poi il conclave cominciò a diventare un lazzaretto con più di dieci porporati febbricitanti e così la paura di restare vittime della malaria mise tutti d'accordo sul cardinale Maffeo Barberini, che venne eletto il 6 agosto. Fu incoronato il 29 settembre ed assunse il nome di Urbano VIII. La vita
Papato
In Richelieu fu assolutamente determinante la "ragion di stato", dietro la quale una controriforma passava in second'ordine, pur di spezzare la minacciosa potenza dell'impero asburgico in Europa. Urbano VIII inviò all'imperatore e alla lega cattolica sussidi in denaro, ma si lasciò poi "ingannare e fortemente influenzare dalla spregiudicata politica del Richelieu", come osserva il Seppelt e certo "il suo atteggiamento avrebbe dovuto essere diverso, se avesse subordinato tutto il suo operato al grande fine della restaurazione cattolica, invece di prendere le decisioni soprattutto come capo temporale dello Stato della Chiesa". . Ma da Urbano VIII non si poteva pretendere questo; egli fu principalmente un papa mecenate e nepotista al massimo grado, e come tale meschino nel provincialismo della visione politica. Del resto era anche poeta, e fin da giovane aveva composto poesie in latino e in volgare, ridondanti del barocchismo dell'epoca, e le seguitò a scrivere limandole al massimo nel verso con una precarietà estrema di contenuto. Le dette alle stampe nel 1637 come opera Maphei Cardinalis Barberini, ma le tutelò da papa ottenendo ovvii consensi dai poeti che aveva chiamato alla sua corte, nell'intento di dar credito ad una cristianizzazione della poesia in linea con la controriforma. I più in vista furono Francesco Bracciolini, che nel poema eroicomico Lo scherno degli Dei aveva ridicolizzato le divinità pagane e per questo ebbe la cittadinanza di Roma, e Giovanni Ciampoli, che nelle sue poesie cantò l'incoronazione del papa e i suoi sforzi per la pace tra i popoli. Gabriello Chiabrera, dalla lontana Savona, lo esaltava in occasione dell'Anno Santo del 1625: Ma i poeti più vicini ad Urbano furono due gesuiti, il polacco Casimiro Sarbiewski e l'alsaziano Giacomo Balde, che lo assistettero nella revisione degli inni del Breviario romano; come nota il Castiglioni però "il rimaneggiamento degl'inni, al quale attese personalmente il papa poeta, ebbe per risultato di ridurli a forma metricamente corretta, ma con danno spesso del pensiero e dell'efficacia primitiva".Il grande Urban riapre le porte della Grazia e del Perdono; e scorge i nostri passi là dove a gior vassi. Fu proprio un divertissement secondo la poetica del tempo e sotto certi aspetti in questo papa c'era qualcosa di Leone x, anche lui poeta e protettore di poetastri; e come gli faceva piacere ospitarli nella sua residenza estiva di Castel Gandolfo e vederli ispirati nella splendida villa rimessa a nuovo da Carlo Maderno! Ognuno decantava i suoi versi nella pace di quel luogo, che lo stesso papa esaltò in un carme latino dedicato all'amico Lorenzo Magalotti. Ma il mecenatismo di papa Barberini non si fermò qui; fu lui che dette l'impronta a Roma barocca, trovando in Lorenzo Bernini l'artista geniale. Dal solenne baldacchino in bronzo sulla tomba di S. Pietro, con i bassorilievi esaltanti il concetto di Mater Ecclesia nei volti straziati di una partoriente e del bimbo che nasce sorridente alla vita, al disegno del progetto per il monumento sepolcrale che doveva essere eretto in S. Pietro per Matilde di Canossa e al mausoleo del papa che avrebbe trovato posto sul lato destro dell'abside nella basilica Vaticana. ![]() Così, dopo 170 anni di lavori, Urbano VIII poté infine consacrare la nuova chiesa nel 1621, anche se i lavori sarebbero proseguiti con l'abbellimento all'interno e la sistemazione della piazza con il celebre colonnato ultimato solo nel 1667. E ancora, l'opera edilizia di questo papa non si limitò alla messa a punto della chiesa del principe degli apostoli; numerosi edifici della città riportano lo stemma con le api, segno della restaurazione del papa Barberini, ma anche del munifico nepotismo che lo caratterizzò. Urbano VIII e il giovane Gian Lorenzo Bernini crearono in
quei vent'anni alcuni dei capolavori barocchi che si ammirano a Roma, anche se
talvolta a scapito di antichi monumenti Romani quali il Pantheon.
![]() Pietro Bernini, padre di Gian Lorenzo, trovò il modo di accontentare il suo committente senza sacrificare l'arte nella Barcaccia, una delle più belle fontane di Roma al centro di Piazza di Spagna (ai piedi della scalinata)(Pianta del Letarouilly quadrante2 11/E2). Il sole brilla: i suoi lunghi raggi sono scolpiti nettamente. Questa rappresentazione del sole dei Barberini divenne il modello per molti altri soli. Ma Urbano VIII celebrò purtroppo quella che con sarcasmo un cronista del tempo definì la "festa" del nepotismo, per come colmò di denaro, beni, cariche importanti e redditizie tutti i suoi parenti, e così le api araldiche dei Barberini, che in origine erano dei tafani, infestarono Roma: Urbano VIII nominò cardinali il fratello cappuccino e due nipoti; il padre di questi ultimi, Carlo Barberini, ricevette donazioni così cospicue che poté comprare vastissime tenute, diventando in poco tempo uno dei più ricchi proprietari terrieri dello Stato pontificio: Ranke, Pastor e Grisar si sono lasciati andare ad ampie disquisizioni sull'entità effettiva delle somme ricevute dal cardinale Francesco e dal nipote Taddeo. Se queste raggiungessero o meno i cento milioni di scudi, poco importa; resta in ogni caso ingiustificato e riprovevole che i parenti del papa abbiano avuto tutto questo denaro che era proprietà dello Stato della Chiesa. Senza contare i benefici ottenuti dall'altro cardinale Barberini, Antonio, con una rendita proveniente da venti abbazie, priorati e commende, e il denaro procurato a più riprese a tutti i parenti mediante banche di Bologna, Perugia e Ferrara.PASQUINO Api, che il ciel mandò nel roman suolo per isfiorar quanto di bel vi era, mostrate homai la cera, si gusti il dolce mel che fatto avete. LE API Avidi, che volete? Barbara cera e miei vi sia la guerra e il sangue che per noi si sparge in terra.
![]() L'Università di Roma è "La Sapienza" (Pianta del Letarouilly quadrante 1 37/D3) ha una iscrizione in facciata che dice "initium sapientiae timor Domini". Urbano VIII quasi completò un ampio restauro dell'edificio e pertanto il sole dei Barberini splende sui muri. La costruzione della biblioteca Barberini, con la raccolta di preziosi manoscritti e stampati, del palazzo Barberini alle falde del Quirinale e di numerose chiese, il tutto affidato ad artisti illustri come Carlo Maderno, Pietro da Cortona e Andrea Sacchi, oltre al già ricordato Bernini, fecero sì la splendida Roma barocca, ma il popolo al solito ci andò di mezzo con le varie tasse emanate per fronteggiare tutte queste spese. Non furono infatti sufficienti a sanare la situazione le somme ricavate dalle indulgenze del giubileo del 1625 e degli altri sette "straordinari" che Urbano VIII promulgò, fino a detenere il record degli anni santi nella storia pontificia. E il pontefice, a forza di imporre tasse, si meritò il soprannome di "papa gabella": Fu un susseguirsi di "pasquinate" su questo motivo, come quando i lavori per fontana di Trevi furono accompagnati da una tassa sul vino:Urbano ottavo dalla barba bella, finito il giubileo, impone la gabella. E ancora un cronista del tempo annota che furono "gettate per le piazze di Roma una quantità di altre immagini in ciascuna delle quali c'era dipinto un povero prelato che domandava l'elemosina alla Chiesa per potersi sostentare. La quale Chiesa rispondeva al prelato in questa maniera:Poiché Urbano di tasse aggravò il vino, ricrea con l'acqua il popol di Quirino. "Ohimé, non ho un quattrino: tutto il mio l'ha Barberino"". A complicare le cose ci si mise la guerra causata dal desiderio dei Barberini d'impossessarsi del ducato di Castro e Ronciglione, proprietà di Odoardo Farnese; questi riuscì a difendere il proprio possedimento e, una volta scomunicato, avanzò con le truppe verso Roma sconfiggendo l'esercito pontificio. Fu uno smacco per il papa e la sua famiglia, e il vassallo ebbe ragione sul sovrano, che dovette togliergli la scomunica e fare marcia indietro. Per l'occasione ci si accorse di quanto necessario fosse piuttosto rinforzare le "difese" di Roma e dello Stato pontificio secondo tecniche ed apparati bellici più moderni. Furono così aggiunti nuovi baluardi a Castel Sant' Angelo, costruite numerose fortificazioni in varie città come Castelfranco, detta "Forte di Urbano", e soprattutto Civitavecchia, attrezzata come un vero e proprio porto di guerra. È noto che per apprestare i pezzi di artiglieria in queste opere di fortificazione furono impiegate le travi di bronzo dell'atrio del Pantheon e Pasquino colpì ancora con il suo spirito mordente coniando la famosa frase "Quod non fecerunt Barbari, fecerunt Barberini". È chiaro insomma che il papa e i suoi parenti erano mal visti e quest'odio negli ultimi tempi mise in Urbano VIII una crisi di coscienza. Istituì una commissione che giudicasse i limiti entro i quali un papa potesse liberamente disporre dell'entrate della Santa Sede.
Non riabilita Urbano VIII neanche su un piano religioso l'avere emanato le bolle che disciplinavano la beatificazione e il culto dei Santi o quella che prendeva le prime posizioni contro Giansenio; oltretutto in quest'ultimo caso si proibiva solo ogni disquisizione sulla grazia e il libero arbitrio, rinviando a quanto stabilito al riguardo nel concilio di Trento. Non c'era insomma una presa di posizione ferma. L'infamia ricopriva Urbano VIII a vari livelli ed egli cercò di riparare alle critiche popolari sempre temibili, affidandosi alle inveterate abitudini e cioè rispolverando le pubbliche feste paganeggianti che gli accattivassero l'animo dei cittadini. Fu soltanto il rinnovarsi di un'epoca di baldoria con cacce, giochi e rappresentazioni sceniche, e questo comportò un dissesto ulteriore per le finanze dello Stato, estendendo a macchia d'olio l'infamia della Curia. Infatti gli alti prelati, come i cardinali Medici, Borghese e Ludovisi, seguitarono a fare la bella vita, amanti dei giochi d'azzardo d'allora, nei quali impiegavano interi patrimoni. I porporati ostentavano insomma fasto e lusso, trascinati dall'andazzo del tempo, e si pavoneggiavano a principi anche se erano pur sempre inferiori a questi nei titoli nobiliari; e così fecero pressione sul papa perché potessero anch'essi avere titoli rispondenti all'alta posizione che occupavano nella società. E Urbano VIII li accontentò nel giugno del 1630; da allora non furono più "Illustrissimi", ma "Eminentissimi", ed era veramente altisonante il titolo di "Eminenza"! Ce lo ricorda il povero don Abbondio nei Promessi Sposi con un tono che sa tanto di presa in giro: "... gli va dato dell'eminenza: avete inteso? Perché il papa, che Dio lo conservi anche lui, ha prescritto, fin dal mese di giugno, che ai cardinali si dia questo titolo. E sapete perché sarà venuto a questa risoluzione? Perché l'illustrissimo, ch'era riservato a loro e a certi principi, ora, vedete anche voi altri, cos'è diventato, a quanti si dà: e come se lo succiano volentieri!". La recente riabilitazione di Galilei voluta da Giovanni Paolo II non annulla un'altra infamia: quella del processo che il famoso scienziato subì sotto Urbano VIII nel 1633; dopo il "rigoroso esame", cioè dopo la tortura, egli fu costretto ad abiurare un'opera uscita con l'imprimatur, che secondo l'accusa egli aveva estorto in modo fraudolento. In pratica non avrebbe fatto presente alle autorità ecclesiastiche che il Bellarmino in un "precetto" del 1616 gli aveva vietato d'insegnare o difendere la dottrina copernicana; ma la realtà è, come ricordato nella biografia di Paolo V, che il Bellarmino si limitò ad avere con il Galilei un colloquio chiarificatore e il verbale relativo al "precetto" è un falso. Lo scienziato morì due anni prima di Urbano VIII, al quale aveva dedicato indegnamente Il Saggiatore; in quel pontefice era radicale la sfiducia nella ragione. E nell'infamia di questa sfiducia e del nepotismo più sfacciato, con tutte le conseguenze di scarsa credibilità che il papato riusciva ormai a raccogliere in Europa, non andando al passo con i tempi, Urbano VIII morì il 29 luglio 1644, dopo esser scampato a due congiure. I Romani in festa scorrazzarono per la città esprimendo la loro gioia per la fine di un nepotismo sanguisuga, illusi che quello sarebbe stato l'ultimo. Avrebbero voluto incidere quest'epitaffio sul mausoleo del Bernini: "Ingrassò l'api e scorticò l'armento". Altre api si sarebbero posate sul potere per suggere il ricco miele. La Porta del Sole
![]() Palestrina, l'antica Preneste, divenne feudo della famiglia Barberini che qui costruì la sua residenza di campagna sopra i resti di un Tempio Romano. Essi ricostruirono le mura della cittadina e posero il loro stemma sulla porta maggiore; le api non sopravvissero, il sole sì, al punto che oggi la porta è chiamata Porta del Sole. Il sole sta anche al centro dell'orologio in cima al Palazzo Barberini in Palestrina. Il Sole sopravvive
![]() Palazzo S. Macuto (map2 28/E3) vicino alla chiesa di Sant' Ignazio si trovava molto vicino agli uffici (bureaux da cui la vicina Via de' burrò) dell'amministrazione francese durante l'esilio del Papa (1807-1814). Le api non sopravvissero, ma il sole splende ancora. Il Sole nella Cappella Barberini a Palestrina
![]() Infine conviene dare un'occhiata alla Cappella nel Palazzo Barberini in Palestrina.
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