L'Arco di Tito
(approfondimento tratto da www.romeartelover.it)

L'imperatore Nerone si scontrò più volte col Senato Romano e nel 66 fallì d.C. una cospirazione che coinvolgeva diversi senatori e che mirava a destituirlo. Nel 68 però le legioni si ribellarono in diverse parti dell'Impero e minacciarono di marciare su Roma. Il Senato Romano ratificò l'elezione di Galba, capo delle legioni spagnole, a nuovo imperatore: Nerone, tradito dagli amici più stretti, abbandonò il palazzo imperiale ma appena fuori Roma pose fine alla sua vita chiedendo ad un liberto di ucciderlo. Quest'evento segnò la tragica fine della prima dinastia Romana.
L'anno successivo (69 d.C.) fu chiamato l'anno dei quattro imperatori, perché i pretoriani uccisero Galba ed elessero Otone, che presto fu sconfitto d Vitellio, capo delle legioni della valle del Reno. Vitellio marciò verso Roma, ma le legioni in Giuda si ribellarono ed elessero imperatore il loro comandante Vespasianus Flavius. Vitellio fu ucciso durante un'altra sommossa dei pretoriani a oma e alla fine il Senato ratificò l'elezione di Vespasiano.
Il nuovo imperatore non era un Romano, dato che era nato in Sabina, una regione a nord di Roma, e questo era chiaramente un elemento che indeboliva la sua autorità; inoltre la sua elezione era il risultato di un processo confuso durante il quale i Senatori Romani avevano cercato di recuperare il loro antico ruolo. Vespasiano e i suoi figli e successori Tito e Domiziano (la dinastia Flavia) svilupparono una politica che mirava a contenere il ruolo del Senato guadagnando il favore dei ceti più bassi e ad associare alla memoria di Nerone ogni sorta di nefandezze: questo obbiettivo fu raggiunto così bene che Nerone divenne il simbolo della crudeltà e della pazzia, tanto che solo di recente una visione più equilibrata ha cancellato alcuno dei crimini tradizionalmente attribuiti al giovane imperatore.


Panorama sull'Arco e particolare dell'iscrizione

Panem et circenses è tutto ciò che i Romani chiedevano, secondo lo scrittore Giovenale, che diede nelle sue Satire un aspro ritratto della società Romana durante la dinastia Flavia. Vespasiano legò il suo nome al Colosseo (vedi anche nella sezione Vasi) e Domiziano al grande stadio che oggi è Piazza Navona (vedi anche nella sezione Vasi). In queste grandi costruzioni ai Romani venivano offerti spettacoli di vario genere, dalle esibizioni di animali esotici alle battaglie navali (la pretesa crudeltà di alcuni di esse è probabilmente esagerata). Il nome di Tito è associato a un arco trionfale eretto in suo onore dal fratello Domiziano dopo la sua morte. L'iscrizione sopra l'arco dice: SENATUS POPULUSQUE ROMANUS DIVO TITO DIVI VESPASIANI F.(ilio) VESPASIANO AUGUSTO (il Senato e il popolo Romano al divino Tito Vespasiano Augusto, figlio del divino Vespasiano). L'uso dell'aggettivo divo indica che l'arco fu eretto dopo la morte di Tito, avvenuta nell'81 d.C., perché gli imperatori erano divinizzati solo dopo la loro morte.


La parte antica dell'arco. In lontananza il Palazzo del Campidoglio

L'arco si trova nel Foro Romano e solo la sua parte centrale è originale. Mostra le fondazioni sospese a causa di uno scavo avvenuto in epoca moderna al fine di riportare alla luce la pavimentazione di epoca augustea, eliminando però la pavimentazione contemporanea all'arco. L'arco nel tempo ha avuto notevoli traversie (nel XII secolo divenne una porta delle mura erette dalla famiglia Frangipane per proteggere la loro "fortezza" ricavata nel Colosseo; quindi venne incorporato nella costruzione del convento di S. Maria Nova - S. Francesca Romana - e all'interno del fornice venne ricavata una stanza), ma venne riportato agli antichi splendori grazie ai lavori (1822-24) eseguiti da parte di Giuseppe Valadier su commissione di Pio VII con integrazioni di travertino (l'iscrizione commemorativa di questi lavori la si può vedere dal lato del Foro Romano). La parte ricostruita è chiaramente riconoscibile perché Valadier preferì usare travertino piuttosto che il marmo bianco usato dai Romani. L'arco, a un solo fornice, conserva la maggior parte delle decorazioni dal lato del Colosseo; sulla facciata si possono notare quattro semicolonne in marmo. La decorazione più importante di tutto l'arco è quella posta all'interno. 


Rilievi nella volta dell'arco: l'aquila Romana porta Tito in Cielo

Nella volta a cassettoni posta al centro dell'arco un rilievo mostra la divinizzazione di Tito ritratto dietro un'aquila che lo porta in Cielo (riferimento alla divinizzazione di tutti gli imperatori dopo la morte). Allo scopo di assicurare una successione indolore nel 71 Vespasiano associò Tito nel ruolo di co-imperatore e questa decisione fu ratificata dal Senato. Tito regno per soli due anni (79-81), sufficienti tuttavia per guadagnarsi il titolo di delizia del genere umano per la sua generosità e la sua clemenza. Un aneddoto getta forse luce sul diverso modo di vedere le cose di Vespasiano e Tito: Vespasiano aveva costruito molti pisciatoi pubblici per uomini e imposto una tassa sul loro uso. Tito suggerì che forse tale decisione non era appropriata per un imperatore: Vespasiano prese allora una moneta e la mise sotto il naso di Tito: "Di cosa sa?"; "Di niente"; "Pecunia non olet". Ma Tito aveva in qualche modo ragione: vespasiano ancor oggi in Italia per molti significa pisciatoio pubblico

All'interno dell'arco due rilievi ritraggono il trionfo di Tito celebrato nel 71 quando tornò a Roma dopo aver domato la ribellioni degli Ebrei. Il trionfo era accordato dal Senato ai generali che avevano ingrandito l'impero: consisteva in una processione che partiva dal Tempio di Bellona (dea della guerra) vicino al Teatro di Marcello e raggiungeva il Tempio di Giove in Campidoglio. La processione non seguiva una strada diretta ma si spostava dapprima lungo il fiume, poi girava attorno al Palatino per raggiungere infine il tempio attraverso la Via Sacra, la strada principale dell'Antica Roma. Il generale cingeva una corona d'oro che offriva a Giove. E' da discutere se Tito avesse ingrandito l'impero, dato che la Giudea faceva già parte dell'Impero Romano, amministrata da un governatore Romano. All'interno della Giudea gli Ebrei avevano mantenuto una certa autonomia, avevano il loro re e le loro regole che andarono perduti per effetto della vittoria di Tito. Il Senato ritenne che questi cambiamenti giustificassero il Trionfo. 

Sul pannello di destra dell'Arco, guardando in direzione del Foro Romano, si può vedere la quadriga su cui si trova Tito, preceduta dalla dea Roma (o il Genio di Roma) che trattiene i cavalli per il morso; alle spalle dell'imperatore sono raffigurate una Vittoria alata e due figure maschili, un giovane a torso nudo e un anziano con la toga, nei quali alla fine si sono riconosciute le personificazioni rispettivamente del Popolo e del Senato di Roma; in secondo piano sono presenti profili di teste e numerosi fasci littori a rappresentare l'affollamento dei magistrati dietro al trionfatore.


Il Trionfo di Tito

Sul lato sinistro, sempre guardando in direzione del Foro Romano, si possono vedere dei portatori che trasportano oggetti conquistati nella campagna di Tito contro gli Ebrei (in questo caso trombe d'argento e il candelabro a sette bracci, gli oggetti più importanti al momento della conquista di Gerusalemme; accanto ad essi si possono vedere altri portatori con cartelli sui quali con buona probabilità erano incisi i nomi delle città conquistate). All'estrema destra si può notare un arco sormontato da due quadrighe: si tratta della Porta Trionfale, situata nel Foro Boario, inizio della cerimonia del trionfo.


Il sacco di Gerusalemme

La quadriga era preceduta dai nemici incatenati. I generali Romani spesso cercavano di catturare vivi gli avversari per mostrarli nella parata del trionfo. Attori pagati li deridevano e sbeffeggiavano al loro passaggio. Di solito venivano strangolati dopo l'evento in una prigione sotto il Campidoglio, oggi sotto S. Giuseppe dei Falegnami. Quindi veniva il bottino portato a Roma. In alcuni casi questo comprendeva animali selvaggi che i Romani non avevano mai visto prima. Il sacco di Gerusalemme è simbolizzato dal candelabro a sette braccia. Vespasiano e Tito dovettero affrontare diverse ribellioni, specialmente in Gallia, e queste furono una minaccia di gran lunga peggiore della ribellione della Giudea, provincia lontana.
Mentre in occidente i Romani si sentirono liberi di imporre il loro modello di vita, espandendosi verso oriente presto capirono che non sarebbero riusciti a mantenere le loro conquiste senza ottenere il consenso dei popoli sottomessi. L'enfasi data a questa vittoria si deve probabilmente al fatto che Domiziano tentava di blandire i territori orientali ellenizzati dell'impero nei quali i sentimenti antiebraici erano fortemente diffusi.

Augusto commissionò a Virgilio il grande poema dell'Eneide, che sancì un legame tra il mondo orientale e Roma, includendo tra gli antenati Romani Enea, principe Troiano. Secondo Virgilio, Anchise, padre di Enea, preannunciò la missione e il ruolo di Roma. La profezia doveva legittimare il dominio Romano. Nel suo discorso Anchise preconizza la politica futura dell'Impero Romano: Parcere subjectis et debellare superbos (essere magnanimi con coloro che accettano volontariamente il dominio di Roma e distruggere quelli che tentano di mantenere la loro indipendenza). Il trattamento feroce riservato alla ribellione Ebraica si può spiegare come un'applicazione di questa politica.


Rilievi nella parte inferiore dell'Arco di Settimio Severo

Non sappiamo se ci fossero altri rilievi sulla parte perduta dell'arco. Un soggetto ricorrente in altri archi Romani era il ritratto dei prigionieri di guerra. L'arco Settimio Severo (vedi anche nella sezione Vasi) ha 24 rilievi che mostrano con variazioni minime la stessa scena: un prigioniero di guerra condotto da un Romano. La ripetizione mostra che i Romani avevano capito che l'impatto sullo spettatore di vedere un prigioniero di guerra era assai più forte di quella di vedere un nemico ucciso.

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