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Marco Tullio Cicerone
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La lingua latina raggiunge con lui il
più alto e ampio grado di espressione ed evoluzione, come testimonia
il corpus della sua multiforme opera, che spazia dalle orazioni ai
trattati filosofici, retorici e politici, alle oltre 800 lettere.
Le sue opere hanno trasmesso non solo una
conoscenza analitica dell’epoca in cui egli visse, come interprete tra i
più significativi delle vicende politiche e culturali, ma anche della sua
vita pubblica e privata.
In questo senso egli è lo scrittore latino più completo.
Cicerone è forse l’autore più celebre
della letteratura latina, ed è anche l’autore che conosciamo meglio. Egli
ci appare sotto il profilo storico-politico uno straordinario testimone
del suo tempo, sotto il profilo storico-culturale invece colui che si
propose nel modo più lucido e consapevole di operare una sintesi armoniosa
della cultura romana arcaica e del pensiero filosofico greco, sotto il
profilo letterario, il massimo rappresentante dell’oratoria romana, il
creatore della letteratura filosofica latina e il primo rappresentante del
genere epistolografico.
Per un elenco delle sue opere vedi in fondo alla pagina
Marco Tullio Cicerone nacque nel 106
a.C. ad Arpino da una famiglia di possidenti non “nobile”, ma fornita
dei mezzi economici e delle relazioni sociali necessarie per avviare i
figli alla carriera politica.
Cicerone studiò a Roma e fin da
giovanissimo frequentò il Foro, sotto la guida e la protezione dei più
illustri ed autorevoli oratori del tempo, Lucio Licinio Crasso,
Marco Antonio e Quinto Mucio Scevola l’augure.
Proprio in casa di Scevola conobbe Tito
Pomponio Attico: in lui Cicerone ebbe l’amico più caro.
Fra il 90 e l’89 a.C. Cicerone
compì un anno di servizio militare; a venticinque anni (nell’81 a.C.)
difese la prima causa di cui conserviamo testimonianza, e l’anno
successivo ottenne un notevole successo difendendo e facendo assolvere un
cittadino d’Ameria accusato di parricidio da un liberto di Silla.
Non era una causa difficile, le circostanze erano però politicamente
delicate: Cicerone mostrò coraggio e intelligenza notevoli, non lesinando
nella sua orazione elogi a Silla e al tempo stesso dando espressione e
sfogo al disprezzo e allo sdegno dei Romani nei confronti di un parvenu
come il liberto Crisogono.
Poco dopo Cicerone lasciò Roma,
intraprendendo un viaggio in Grecia e in Asia minore, che durò dal 79
al 77 a.C., durante il quale frequentò le scuole filosofiche
d’Atene e tutte le più importanti scuole di retorica nelle città dell’Asia
minore e delle isole.
Al ritorno nell’Urbe Cicerone sposa
Terenzia, che nel 76 a.C. gli dà una figlia: Tullia.
Nel 75 a.C. inizia la carriera
politica, esercitando la questura in Sicilia; l’anno successivo
ha il diritto di entrare per la prima volta in senato. Nel 70
a.C. la stima di cui gode si consolida e si accresce, in seguito al
processo intentato da varie città della Sicilia contro l’ex governatore
Verre; Cicerone accetta di assumere il ruolo d’accusatore ed
ottiene una vittoria schiacciante su Quinto Ortensio Ortalo.
La carriera politica di Cicerone prosegue
regolarmente; nel 69 a.C. è edile, nel 66 a.C. pretore; in questo
anno egli pronuncia la sua prima orazione deliberativa, davanti al popolo,
a favore della proposta di assegnare a Pompeo poteri straordinari e il
comando della guerra contro Mitridate.
Nel 65 a.C. gli nasce il figlio
Marco, intanto egli si stava impegnando a fondo nella campagna
elettorale per il consolato.
Nel 63 a.C. è console assieme ad
Antonio, battendolo come numero di voti. Grandi furono il suo orgoglio
e la sua soddisfazione, tanto più che egli, in quanto homo
novus, poteva annoverarsi fra coloro che vengono eletti consoli
non nella culla, ma nel Campo Marzio.
Durante il suo consolato s’impegnò su
posizioni conservatrici, a difesa degli interessi dei ceti economicamente
e socialmente più forti contro i cosiddetti populares. Appena entrato in
carica attaccò energicamente una proposta di legge agraria, tanto che essa
fu ritirata dagli stessi proponenti.
Alla carica di console Cicerone era arrivato grazie all’appoggio
dei patrizi che diffidavano dell’altro aspirante, l’aristocratico Lucio
Sergio Catilina. Questi, sconfitto anche l’anno seguente (62 a.C.), organizzò
una vasta congiura, trovando appoggio soprattutto presso gli aristocratici
decaduti, i veterani di Silla e i proprietari terrieri cui erano stati
confiscati i beni.
Cicerone, riuscì a produrre in senato le prove della congiura di Catilina,
costringendolo a lasciare Roma, e nella quarta catilinaria lasciò al senato la decisione di
condannare o no alla pena capitale alcuni capi della congiura, tutti uomini di
spicco a Roma, non nascondendo la sua propensione per la condanna capitale. A favore di essa
parlò poi Catone e la sua proposta fu accolta a larga maggioranza.
Alla fine di dicembre del 63 a.C.,
Cicerone fu attaccato da un tribuno della plebe per aver messo a morte dei
cittadini romani senza un regolare processo: l’accusa veniva dai suoi
nemici di parte popolare, fra i quali era Publio Clodio.
Nel frattempo Cicerone aveva comprato una
lussuosa casa sul Palatino; possedeva splendide ville a
Tuscolo, a Formia, a Pompei, ad Anzio e
a Cuma. Era considerato da tutti il massimo oratore vivente, ma il
suo peso politico era già in declino: nel 60 a.C. Cesare strinse
con Pompeo e Crasso il primo triumvirato ma Cicerone, invitato a
collaborare, rifiutò per coerenza.
All’inizio del 58 a.C. Clodio fece
approvare una legge che comminava la pena dell’esilio a chi avesse
condannato a morte cittadini romani con procedura sommaria.
Nel marzo del 58 a.C. Cicerone partì
per l’esilio, che durò sedici mesi. Grazie
all’aiuto di Pompeo, Cicerone rientrò a Roma
trionfalmente all’inizio di settembre del 57 a.C., pronunciò le
orazioni di ringraziamento al senato e al popolo e poco dopo ottenne un
parziale risarcimento dei danni economici subiti. Dopo la dolorosa
esperienza dell’esilio, abbandonò l’opposizione alle leggi agrarie e si
avvicinò ai triumviri. Negli anni successivi rimase ai margini della vita
politica, si dedicò alla letteratura ma si adattò a difendere in tribunale vari personaggi legati a
Pompeo e Cesare. Nel 52 a.C. Clodio venne ucciso in una zuffa con
Milone; Cicerone, che si assunse la difesa di Milone, non riuscì a
tenere l’arringa che si preparò: emozionato e interrotto, pronunciò quella
che Quintiliano definirà un’oratiuncola e Milone venne condannato
all’esilio.
Nel 51 a.C. Cicerone fu costretto da
una legge di Pompeo ad assumere il governatorato della Cilicia, dove si
fermò un anno.
Quando tornò in Italia la guerra civile
era in procinto di scoppiare. Cesare il 10 gennaio del 49 a.C. varcò il
Rubicone con i suoi soldati e iniziò a marciare verso Roma. Cicerone
era incerto sulla posizione da assumere e s’illuse di poter favorire una
pacificazione. Si decise poi a raggiungere i pompeiani in Grecia, ma dopo
la sconfitta di Farsalo tornò in Italia e rimase a Brindisi,
ad aspettare il corso degli eventi.
Alla fine di settembre del 47 a.C. ci
fu la riconciliazione fra Cesare e Cicerone, politicamente ormai fuori
gioco. Durante la dittatura di Cesare, Cicerone cercò conforto
nell’attività filosofica e letteraria. Alle amarezze che gli stava
procurando la situazione politica si aggiunsero intanto dispiaceri e
sofferenze nella vita privata. Nel 46 a.C. divorziò da
Terenzia; trovandosi in gravi difficoltà finanziarie sposò la ricca
orfana Publilia, di cui era tutore, ma il matrimonio fallì subito.
Nel febbraio del 45 a.C. morì Tullia in seguito ad un parto,
lasciando il padre accasciato da quello che egli stesso considerò il
dolore più grave della sua vita.
Il 15 marzo del 44 a.C. Cesare
fu assassinato, e Cicerone si schierò dalla parte degli assassini,
mentre nel conflitto fra Antonio e Ottaviano appoggiò Ottaviano.
Dopo la sconfitta di Antonio a Modena,
i due eredi di Cesare si riavvicinarono e, in occasione del terzo
triumvirato, il nome di Cicerone fu scritto per primo nella lista di
proscrizione dettata da Antonio ed approvata da Ottaviano.
Raggiunto dai sicari d’Antonio nei pressi
della sua villa di Formia, Cicerone fu giustiziato il 7 dicembre del 43
a.C. come nemico dello
stato.
Si dice che Cicerone, visti arrivare i sicari, non oppose alcuna resistenza
e, ormai rassegnato, mostrò il collo ai suoi carnefici. La testa e le
mani, con le quali aveva scritto le Filippiche (orazioni contro Antonio
sul modello di quelle scritte dall’oratore ateniese Demostene contro il re
di Macedonia Filippo, padre di Alessandro Magno), furono esposte sul
rostro del Foro a Roma, dopo di ché la moglie di Antonio si divertì a
pizzicare la lingua di Cicerone, lingua che il grande oratore aveva usato
per infangare il nome del marito.
Finì così l’ultimo grande esponente (forse il più grande) dell’antica
repubblica romana, il cui nome avrebbe abbattuto le barriere dello
spazio e del tempo e sarebbe giunto fino a noi con tutta la sua forza e la
sua grandezza.
Le orazioni di Cicerone ancora oggi
conservate sono 58 (altre 48 sono andate perdute); riguardano la sua attività
di magistrato e di uomo politico e sono caratterizzate da una prosa ricca e
fluida che unisce chiarezza ed eloquenza. Le più note sono le quattro Catilinarie
e le Philippicae (I - XIV) contro Antonio. Fondamentali
furono le sue opere teoriche sulla retorica, che si rifanno a fonti greche
oggi in gran parte perdute (ma arricchite dell’esperienza di oratore
dell’autore) e sono tra le più antiche in nostro possesso. Quelle più
importanti sono il
De inventione, il De oratore, il Brutus
(una storia dell’oratoria romana) e l’Orator, nelle quali Cicerone, tra l’altro,
passò in rassegna i vari stili di eloquenza, il grandioso, l’intermedio e il
semplice, considerati non in scala gerarchica bensì come tre diversi livelli
fra i quali gli oratori potevano scegliere a seconda delle cause trattate.
Dopo essersi dedicato solo
saltuariamente agli studi filosofici, in seguito alla morte della figlia
Tullia (45 a.C.) fece convergere il suo interesse sulla speculazione etica,
ispirandosi alle grandi scuole della filosofia greca del tempo, quella
stoica, quella epicurea e quella accademica.
L’eclettismo della sua opera filosofica
rappresenta un importante sforzo di ricapitolazione e assimilazione della
cultura greca, ma ancora più importante fu il fatto che, per compiere questa
operazione, Cicerone fissò il linguaggio filosofico latino.
Tra le più importanti opere di contenuto
filosofico e filosofico-politico si ricordano:
Importantissime, perché informano sulla
vita privata e pubblica di Cicerone e al tempo stesso forniscono uno spaccato
della vita del tempo, sono le oltre novecento Epistole
indirizzate agli amici, ai familiari,
ai politici e agli intellettuali suoi contemporanei.
Con la sua prosa duttile, che sa essere
magniloquente senza riuscire oscura ed è in grado di trattare temi assai
diversi - dalle minuzie quotidiane alle questioni etiche, dalle
argomentazioni filosofiche alle sottigliezze giuridiche e all’invettiva
politica - Cicerone stabilì i canoni della lingua colta ed ebbe un’immensa
influenza sugli scrittori dei secoli successivi, fino a Petrarca e alla
letteratura del Rinascimento. |