La morte di Cicerone
riferimento cronologico....... novembre-dicembre 43 a.C.

riferimenti cronologici:
ai triumviri viene concesso il potere per 5 anni................. 27 novembre del 43 a.C.
prima lista di proscrizione............................................. 27 novembre del 43 a.C.
Cicerone viene ucciso dai sicari di Antonio....................... 7 dicembre 43 a.C.



Ancor prima di tornare a Roma i tre protagonisti del Convegno del ruscello Lavino, spedirono in città la prima lista con i nomi dei senatori da far fuori. Era solo l’anticipazione delle vere e proprie liste di proscrizioni che verranno emanate qualche settimana dopo.

Insieme alla lista, al tribuno P. Tizio, arrivò anche una missiva con gli ordini perentori dei tre triumviri su come preparare il loro rientro.

Il tribuno dovette, infatti, promuovere subito una legge che desse ai tre il governo dello stato per i prossimi cinque anni, dal 27 novembre del 43 a.C. (anno 711 di Roma) al 1° gennaio del 37 a.C.

Appena la legge venne votata ed approvata, Ottaviano, Lepido e Marco Antonio rientrarono in città, a distanza di un giorno l’uno dall’altro, consapevoli di aver ormai ucciso la "res publica".

La stessa notte del 27 novembre venne varata la prima lista di proscrizione contenente i nomi di 130 tra senatori e appartenenti al ceto equestre, a cui seguirono nelle settimane successive altre, fino a portare i nomi dei proscritti ad oltre 2.300.

L’editto che correlava la lista, indicava anche le modalità e le taglie da applicarsi ad essa; chiunque portava la testa di un proscritto, si leggeva, aveva il diritto a 25.000 dinari se uomo libero e a 10.000 dinari e alla cittadinanza, se schiavo.

Ironia della sorte, ma sicuramente anche un modo come un altro per demonizzare la paura, Sesto Pompeo, figlio del grande "Magno", appena seppe di avere una taglia "ad personam" di 100.000 sesterzi, decise di darne lui stesso, di persona, 200.000 a chi avesse salvato un proscritto.

La città visse un periodo a dir poco drammatico, che la fece sprofondare nuovamente al tenebroso clima dei tempi di Silla e di Mario, e che ci mostra, anche, come erano cadute in basso le virtù morali e gli insegnamenti di Catone.

Ci furono servi che tradirono i loro padroni, ma questo poteva essere quasi naturale… quello che lo era un po’ meno, invece, furono certi episodi che videro protagoniste mogli contro mariti, ed addirittura, figli che denunciarono i padri.

Gli stessi triumviri si macchiarono di gesti ignominiosi; ad esempio Antonio mise nella lista lo zio materno Lucio Cesare, mentre Lepido denunciò il fratello Paolo.

Proprio a questo episodio ne è legato un altro, accaduto durante il Trionfo decretato a Lepido. Una scritta portata dai soldati che sfilavano in corteo, diceva sarcasticamente “i due consoli celebrano il trionfo sui germani e non sui Galli”, giocando con la parola latina germano che oltre agli abitanti delle regioni del nord indicava anche fratello.

Per fortuna dei proscritti, ci fu anche chi li aiutò a fuggire e a riparare in Africa presso Sesto Pompeo o in oriente presso Cassio e Bruto.

Chi non lo fece fu, invece, il più famoso dei proscritti, Marco Tullio Cicerone.

Alla notizia dell’arrivo dei tre a Roma, Cicerone era fuggito nella sua villa di Tuscolo, poi per sentirsi ancora più al sicuro, passò in quella di Astura sul litorale, da dove pare avesse l’intenzione di alzare le vele per la Macedonia, per riparare presso Bruto.

Il mare mosso, o come vuole la leggenda, il fatto di aver dimenticato nella fretta tutto l’occorrente per il lungo viaggio, portò Cicerone a desistere per il momento dalla partenza.

Il fratello Quinto che era con lui, decise di tornare a Roma, insieme al figlio, per recuperare qualche avere, ma ciò gli fu fatale, visto che venne raggiunto nella sua casa dai sicari dei triumviri che trucidarono entrambi.

Nel frattempo, ad Astura, Cicerone passò dei giorni “in pensieri terribili e disperati” (Plutarco, vita di Cicerone 47), indeciso sul da farsi. Si narra che pensò anche a tornare a Roma e di recarsi da Ottaviano sia per tentare un ultimo abboccamento con lui o, addirittura, per uccidersi a casa sua, in modo da attirare sulla sua dimora l’ira dei geni maligni.

Si sa solo che da Astura decise di spostarsi in lettiga a Gaeta, ma strada facendo venne raggiunto a Formia dagli sgherri di Antonio. Facevano parte del drappello il centurione Erennio e il tribuno Popilio che lui stesso aveva difeso in una causa, anni prima.

Quando capì che era giunto il suo momento, “appoggiò il mento sulla mano sinistra, in una posa che gli era abituale “ e porse il collo ad Erennio che lo sgozzò.

Era il 7 dicembre del 43 a.C., Cicerone aveva 64 anni.

Come scrive Patercolo (II, 66) “la scelleratezza di Antonio poté ridurre al silenzio la voce del popolo e nessuno tentò di difendere la salvezza dell’uomo che per tanti anni aveva difeso quella comune dello Stato e quella privata dei cittadini”.

La testa di Cicerone e la sua mano destra, quella che scrisse le "filippiche" contro Antonio, vennero mandati a Roma, dove furono esposti appesi ad una colonna sui Rostri, nella piazza del Foro.

Prima, però, secondo la tradizione, la testa dell’oratore dovette subire le angherie di Fulvia, attuale moglie di Antonio, ed un tempo moglie del famoso Clodio Pulcro, aspramente criticato da Cicerone al tempo del processo contro Milone; la donna, infatti, si accanì sulla lingua dell'oratore, infilzandola ripetutamente con un ago da capelli.

Sempre secondo la tradizione, Antonio vedendo la testa appesa sui rostri, disse che per lui il periodo del "terrore" poteva dirsi anche concluso. In realtà non lo fu, e Roma dovette per ancor molto tempo fare i conti con la dissolutezza e l’avarizia di chi denunciava solo per accaparrarsi i beni dell’accusato.