Il primo triumvirato
riferimento cronologico....... 60 - 59 a.C.

riferimento cronologici:
periodo di riferimento .................................................. 60 a.C. - 59 a.C.
Il primo triumvirato....................................................... 60 a.C. (luglio)
Cesare pretore............................................................ 62 a.C.
Cesare propretore, governatore della Spagna................. 61 a.C. - 60 a.C.
Il ritorno di Pompeo a Roma......................................... 62 a.C.
Cesare console........................................................... 59 a.C.
Il matrimonio tra Pompeo e Giulia (figlia di Cesare)......... 59 a.C.

 

Argomenti principali:
Cesare leader dei "populares"
Cesare pretore
Lo scandaloso Publio Clodio
Cesare propretore, governatore della Spagna
Il ritorno di Pompeo
Il triumvirato
Il consolato di Cesare
A Cesare il comando della Gallia

Cesare leader dei "populares"

Caio Giulio Cesare nel 63 a.C. era stato eletto pontefice massimo e in quell'anno quello che era un giovane politico destinato ad un glorioso avvenire, si trasformò in un autentico leader politico, sempre al centro delle vicende che caratterizzavano la contorta politica di Roma e con un seguito popolare crescente. La sua coerente azione di stampo popolare e antiaristocratica, lo rese particolarmente inviso allo schieramento avverso che cercò in tutti i modi di ostacolarne l'ascesa.

Ma oltre che coerente Giulio Cesare si dimostrò particolarmente abile nel muoversi in questo scenario particolarmente arroventato, costruendosi anche una rete di amicizie e alleanze che troverà la sua massima espressione nel famoso triumvirato, l'accordo segreto con Crasso e con Pompeo, che consentì a Cesare di scalare i vertici della politica Romana.

In quel fatidico anno, il 63 a.C., Roma si trovò ad affrontare la congiura di Catilina e Giulio Cesare si trovò pienamente coinvolto nel clima di tensione che si generò in quel periodo; in questa vicenda Cesare recitò comunque un ruolo di protagonista riuscendo a mantenersi dalla parte "giusta", o meglio dalla parte che avrebbe alla fine trionfato e cioè quella della Repubblica Romana, benché ancora oggi gli storici si interrogano sul reale ruolo giocato dallo stesso Cesare nella vicenda.

Eppure appena 3 anni prima, nel 66 a.C., Cesare aveva preso parte all'organizzazione di una congiura altrettanto pericolosa, un piano che però non venne mai realmente attuato. Questa congiura era stata organizzata da Marco Licinio Crasso, stanco dell'aristocrazia e dei suoi abusi, e vedeva tra i congiurati anche la figura di Lucio Sergio Catilina.

Cesare pretore

Quando nel 62 a.C., Giulio Cesare, per quell'anno eletto alla carica di pretore, si pronunciò in Senato decisamente contro la sentenza capitale per alcuni congiurati fedeli a Catilina, arrestati a Roma, venne velatamente accusato dal conservatore Marco Porcio Catone il Giovane, di connivenza con la congiura stessa. A causa della sua posizione rischiò addirittura la vita: un gruppo di cavalieri di scorta al console Marco Tullio Cicerone si avvicinò pericolosamente a lui e solo l'intervento di un suo amico evitò la tragedia.

Ci provò anche il questore Novio Nigro ad accusarlo in modo esplicito di connivenza con i congiurati, usando le informazioni fornite da due "pentiti", Quinto Curio e Lucio Vezio. Giulio Cesare reagì con durezza, incassò il sostegno di Cicerone che dovette ammettere l'aiuto che Cesare gli aveva dato nella vicenda, e alla fine il terzetto finì in carcere, con i "pentiti" accusati di calunnia e il questore di "abuso d'atti di ufficio", per aver indagato senza autorizzazione.

Il 62 a.C. fu un anno molto agitato, anche perché Cesare era diventato il bersaglio preferito dei leader aristocratici: quelli di sempre, Catulo e Ortensio, quelli più nuovi, come Catone il Giovane, e quelli acquisiti, come Cicerone.

In quell'anno il pretore venne addirittura estromesso dalla sua carica per aver partecipato ad una sorta di occupazione del Foro, una manifestazione a sostegno della proposta del tribuno Quinto Metello Nepote, una proposta che prevedeva il ritorno di Pompeo per mettere fine alla congiura di Catilina.

Dopo pochi giorni Cesare venne riammesso alla carica per aver dimostrato grande giudizio, per aver accettato cioè il provvedimento del Senato e per aver calmato i suoi fedelissimi che al contrario si stavano predisponendo alla rivolta. Oltre a restituire a Cesare ciò che gli era stato tolto pochi giorni prima, i Senatori dovettero anche elogiarne il comportamento.

Lo scandaloso Publio Clodio

Per il pretore quell'anno fu molto agitato anche nella sfera privata, anche se Cesare seppe trasformare una situazione privata, come il rapporto con la moglie Pompea, in un'occasione per accrescere il suo prestigio politico. Publio Clodio era un giovane molto bello (tanto da essere chiamato Pulcher che in latino significa appunto bello), ambizioso e insofferente alle regole. Era un giovane dai facili costumi, tanto che verrà accusato anche di avere un rapporto incestuoso con la sorella Clodia. Questo giovanotto della Roma bene aveva sviluppato un rapporto speciale con Pompea, la moglie di Cesare, e sembra che fosse così innamorato di lei da non riuscire a stare troppo tempo senza vederla. Questa presenza continua di Publio Clodio nella residenza del pontefice massimo, benché coperta dalla contemporanea presenza della sorella Clodia, amica intima di Pompea, aveva insospettito Aurelia, la madre di Cesare, che quindi aumentò la sorveglianza sulla nuora con la complicità delle sue ancelle.

Nel mese di dicembre del 62 a.C. si svolgevano i Damia, cioè le celebrazioni notturne in onore della Dea Bona, che erano rigidamente svolte da sole donne. Come da tradizione quell'anno le celebrazioni si svolgevano in casa di Cesare, quale pretore in carica, e venivano quindi organizzate dalla madre Aurelia. Nessun uomo poteva avvicinarsi a quella casa, lo stesso Cesare fu costretto a passare la notte in un'altra residenza.

Ma Publio Clodio, non ne voleva sapere di stare lontano da Pompea ed in più era affascinato dalla sfide, specialmente quelle lanciate contro la tradizione. E così accuratamente mascherato da donna, in particolare da suonatrice d'arpa, si presentò in casa di Cesare e chiese di poter vedere Aura, l'ancella più fedele a Pompea che lo avrebbe condotto dalla sua amata. Ma qualcosa nel suo atteggiamento o nella sua voce lo tradì, anche perché il cordone di sicurezza intorno a Pompea, creato da sua suocera, era particolarmente rigido.

E così l'uomo venne scoperto e il suo atto di sacrilegio generò grande sconforto tra le matrone Romane, particolarmente devote alla Dea Bona. Aurelia assunse il controllo della situazione, sospese immediatamente le cerimonie e fece scacciare il sacrilego.

Ma la cosa era ormai sulla bocca di tutti: il giorno dopo tutta Roma parlava di Publio Clodio e del suo atto di sacrilegio, commesso per amore di Pompea.

Giulio Cesare di fronte allo scandalo che montava, si dimostrò inflessibile e ripudiò immediatamente la moglie, senza neanche incontrarla di persona, ma inviandole un lettera che non lasciava alcun dubbio sulle sue intenzioni.

Publio Clodio venne accusato di oltraggio alla religione e su di lui venne istituito un processo che si tenne nel maggio del 61 a.C.. Giulio Cesare, che in qualità di propretore doveva partire per la Spagna, fu chiamato in causa come testimone e quindi dovette aspettare il processo prima di partire per la sua destinazione.

Il giovane accusato, si era costruito un alibi chiamando a testimoniare un suo amico che dichiarò che quel giorno Publio Clodio si trovava nella sua casa di Terni. Contro Clodio però si schierò Cicerone, senza sapere che con quella testimonianza stava segnando il suo destino politico, il quale dichiarò che il giovane non poteva essere a Terni, considerato che quella mattina si era recato proprio a casa sua.

A questo punto la testimonianza di Cesare assumeva grande importanza, ma il propretore si dimostrò neutrale dicendo che non essendo in casa quella notte non aveva niente da dire su quei fatti specifici. Anche la testimonianza dei suoi familiari, di sua madre e sua sorella, fu in fondo favorevole a Clodio, visto che le donne dichiararono di non aver riconosciuto il sacrilego.

La risposta di Cesare aveva stupito l'accusa, considerato che a causa di quell'evento aveva ripudiato la moglie, ma quando glielo fecero notare, il pretore rispose in modo lapidario: "Un familiare di Cesare non deve essere neanche sfiorato dal sospetto". Una risposta che accrebbe il carisma del personaggio nei confronti del popolo.

Publio Clodio venne assolto e da quel momento sarebbe diventato un fedele alleato di Giulio Cesare e soprattutto un irriducibile nemico di Marco Tullio Cicerone; la voglia di vendetta del giovane Clodio venne utilizzata da Cesare per liquidare colui che rappresentava ormai un suo pericoloso rivale.

Finito il processo, Cesare era pronto per partire per la provincia spagnola, ma i suoi creditori non erano disposti a farlo partire, portandosi dietro i suoi debiti, che all'epoca assommavano alla considerevole cifra di 800 talenti (più di 1 milione di euro).

Cesare propretore, governatore della Spagna

In soccorso di Cesare venne il suo amico Crasso che coprì il debito per intero, dando il via all'operazione spagnola con la quale il propretore riuscì ad ottenere molto di più di quello che era il suo debito, eliminando finalmente quel macigno che aveva in qualche modo condizionato la sua vita fino ad allora.

La sua avventura spagnola mise in luce sia le sue capacità militari sia le sue capacità di governo; egli riuscì ad ottenere importanti progressi nell'opera di pacificazione della provincia. Si dimostrò tanto accomodante con quelle popolazioni che ormai erano andate avanti nel processo di romanizzazione, quanto spietato con quelle popolazioni che si ribellavano al potere di Roma. Queste popolazioni furono perseguitate senza pietà; portò addirittura le legioni a navigare sull'Oceano per inseguire alcune popolazioni montane che avevano tentato di sfuggire alle sue persecuzioni rifugiandosi nell'isola Berlenga.

Comunque alla fine di quell'anno, Giulio Cesare aveva assolto in modo mirabile alla sua missione, era riuscito a costruirsi una discreta fortuna e soprattutto si era conquistato la stima delle sue truppe che lo avevano acclamato come imperatore. Nell'estate dell'anno 60 a.C., Giulio Cesare rientrava a Roma con la prospettiva di celebrare il primo trionfo della sua carriera e con l'aspirazione di concorrere al consolato, la massima carica del "cursus honorum", la carriera politica che fino a quel momento Cesare aveva percorso con una certa disinvoltura.

C'è un episodio della sua impresa spagnola che ha colpito tutti gli storici ed è relativo al viaggio con cui Cesare si era recato nella provincia.

Fermatosi in un villaggio alpino aveva imbastito una conversazione con un suo legato riflettendo sulla tranquillità di quel posto, dove non si vivevano certo le tensioni e le rivalità politiche dell'Urbe. A un certo punto Cesare si era ammutolito e poi aveva pronunciato una sorta di sentenza: "Preferirei essere il primo in questo villaggio piuttosto che il secondo a Roma". Questa frase non lasciava dubbi su quali erano le reali ambizioni dell'uomo politico.

Il ritorno di Pompeo

Alla fine dell'anno 62 a.C., un altro evento aveva catalizzato l'attenzione dei Romani e cioè il ritorno di Pompeo dall'Oriente. Tutti si chiedevano se il ritorno di un uomo che godeva di un potere immenso e di una forza militare impressionante avesse rappresentato un pericolo concreto per la ormai fragile Repubblica Romana. Dione Cassio, uno storico vissuto all'incirca tre secoli dopo, descriveva così il potere di Pompeo al momento del suo sbarco a Brindisi: "[...] Onnipotente per terra e per mare, padrone di incalcolabili ricchezze ammassate con le sue imprese e con il riscatto dei prigionieri, sicuro dell'amicizia di molti Re e della lealtà di quasi tutte le nazioni che aveva organizzato sotto la propria autorità e lusingato con i suoi favori, avrebbe potuto soggiogare l'Italia e concentrare nelle proprie mani tutti i poteri di Roma [...]".

A Roma tutti ricordavano ancora il ritorno in Italia di un altro grande uomo: Lucio Cornelio Silla, che aveva marciato in modo deciso su Roma, conquistandola e sottoponendola ad un periodo di terrore caratterizzato dalle pesanti proscrizioni nei confronti dei suoi avversari.

Del resto anche Pompeo, al di là delle ambizioni personali, di ragioni per vendicarsi dei suoi avversari politici (gli ottimati con i loro leader: Ortensio, Catulo e Catone il Giovane) ne aveva sicuramente. La loro opposizione ai suoi progetti per l'Oriente era stata irriducibile, i comandi per le sue campagne li aveva ottenuti grazie ai populares, al popolo Romano e all'appoggio dei cavalieri che erano usciti a superare l'ostracismo degli aristocratici.

Ma gli incubi che turbavano le notti degli aristocratici si dissolsero alla notizia che Pompeo, dopo essere sbarcato a Brindisi congedò il suo esercito, dimostrando che le sue intenzioni erano assolutamente pacifiche e rispettose verso gli ordinamenti Repubblicani: Cneo Pompeo non si sarebbe trasformato in un nuovo Silla.

Da Brindisi, Pompeo aveva anche provveduto a ripudiare la sua terza moglie, Mucia, appartenente alla famiglia dei Metelli, perché sospettata di adulterio (tra i suoi amanti si diceva che ci fosse anche Giulio Cesare). Pompeo cercò di approfittare della cosa, proponendo una sorta di riconciliazione tra lui e gli ottimati: inviò infatti una lettera a Catone chiedendogli la mano di una tra le sue due figlie e le sue due nipoti. Ma il numero uno tra i conservatori rifiutò la proposta "del Magno" e gli fece sapere che lui non apparteneva a quegli uomini che si possono comprare con un matrimonio e che non avrebbe fornito a Pompeo degli ostaggi che lui avrebbe potuto usare contro la patria.

Deluso dalla risposta di Catone, Pompeo cominciò la sua risalita verso Roma accompagnato solo da pochi amici e senza scorta militare. Ma ad ogni chilometro della via Appia che percorreva il suo seguito aumentava, perché la gente festante aveva deciso di accompagnarlo nel suo percorso trionfale.

In attesa del suo ritorno a Roma, preoccupato da quale sarebbero le sue reali intenzioni, Crasso aveva preferito andarsene dall'Urbe, rifugiandosi in Macedonia. Ma quando aveva appreso che Pompeo aveva congedato il suo esercito e si preparava ad un ritorno a Roma assolutamente pacifico, anche il ricco cavaliere aveva preso la via del ritorno.

Nel settembre dell'anno 61 a.C., Pompeo rientrato a Roma celebrò il suo grande e meritato trionfo che rimase impresso a lungo nella memoria dei Romani, per la fastosità della cerimonia che durò due giorni e che fu caratterizzata da sfilate grandiose e addirittura da distribuzione di denaro al popolo. Con questa cerimonia, la più grande in assoluto dalla fondazione di Roma, Pompeo celebrava l'importanza delle sue vittorie, contrastando l'opera denigratoria degli ottimati che definivano la sua campagna d'Oriente come un affare tra donnicciole.

Ma certamente i suoi avversari non si fecero impressionare dalla grandezza dei festeggiamenti e dal favore popolare di Pompeo e da quel momento iniziarono ad attaccare senza pietà l'eroe popolare, utilizzando i mezzi della politica. Solo Cesare, al suo ritorno dalla Spagna, avrebbe tirato fuori Pompeo dalle secche della politica in cui lo avevano gettato i suoi avversari politici.

Due erano i provvedimenti di cui il grande generale aveva bisogno per consolidare il suo potere: la ratifica dei provvedimenti presi in Oriente per stabilizzare quell'area geografica e la possibilità di distribuire terre del suolo italico ai suoi veterani. Ma questi provvedimenti venivano costantemente respinti e lo schieramento dei suoi avversari era così largo da non lasciargli speranze sull'esito della battaglia politica.

Pompeo si trovava contro i soliti Catone, Catulo e Ortensio, ma anche Quinto Metello Celere, che non gli perdonava il ripudio di Mucia, e Lucullo, che non gli perdonava il modo in cui Pompeo lo aveva trattato in Oriente. Tra i suoi oppositori anche Crasso, che tentava di approfittare del momento di debolezza attraversato dal suo rivale. Ma la vera delusione per "il Magno" fu il comportamento capriccioso di Cicerone, che si dimostrava tutt'altro che riconoscente nei confronti di colui che ne aveva favorito l'ascesa politica.

Quindi Pompeo si trovava in una situazione di reale imbarazzo, attaccato dallo schieramento ottimate e incapace di difendersi.

Il triumvirato

Come già detto a tirarlo fuori dai guai ci penserà Cesare che nell'estate del 60 a.C. era rientrato a Roma, dopo i suoi successi spagnoli. La grande intuizione di Cesare fu quella di creare una stretta alleanza politica tra quelli che in quel momento erano comunque gli uomini politici più potenti di Roma e cioè lui, Pompeo e Crasso. Quel patto politico, passato alla storia come il primo triumvirato, permise ai tre uomini di porsi al di sopra delle istituzioni Repubblicane e di prendere importanti decisioni che gli ottimati non ebbero più la forza di contrastare. Il denaro di Crasso e Pompeo, unito all'abilità politica di Cesare e al suo carisma nei confronti delle masse popolari, rappresentavano una miscela potente in grado di far saltare ogni barriera.

Si trattò di un accordo politico segreto, raggiunto a luglio del 60 a.C. nella Villa Pubblica, dove Cesare soggiornava in attesa del trionfo, e proprio la segretezza di questo accordo rappresentò un ulteriore vantaggio per i tre; mai gli aristocratici avrebbero potuto infatti immaginare un accordo tra Crasso e Pompeo.

Anche a Cesare non conveniva rimanere isolato contro gli ottimati, benché avesse dalla sua l'appoggio del popolo e benché in Spagna si fosse conquistato la fedeltà delle sue legioni e avesse risolto i suoi problemi economici.

L'odio che gli aristocratici nutrivano per lui, considerato in prospettiva il pericolo numero uno, forse più di Pompeo, era intenso e i suoi nemici avrebbero adoperato ogni mezzo più o meno lecito, per fermarne l'ascesa politica. Del resto quale fosse il clima politico a Roma, Cesare l'aveva capito subito al suo rientro, quando aveva mostrato l'intenzione di candidarsi al consolato. Era riuscito a rientrare in tempo per candidarsi, ma per presentare la sua candidatura avrebbe dovuto entrare all'interno del pomerio, il recinto sacro, cosa che si poteva fare solo dopo aver rinunciato al proprio imperium militare, una rinuncia che avrebbe comportato l'automatica rinuncia ad ottenere quel trionfo che il propretore si era meritato con i suoi successi nella penisola iberica. Quindi Giulio Cesare chiese di candidarsi "in assenza", cioè senza presentarsi di persona, ma ottenne un netto rifiuto a causa della ferma opposizione di Catone. Il trionfo rappresentava un qualcosa di importante per la carriera politica di un uomo, oltreché una legittima soddisfazione personale, ma Cesare teneva troppo a quel consolato, che per lui non rappresentava solamente il coronamento della carriera e delle aspirazioni politiche, ma il punto di partenza di una nuova strategia che lo avrebbe portato ad essere il primo uomo a Roma. Avendo capito che i suoi avversari non gli avrebbero mai permesso di candidarsi "in assenza", decise di rinunciare al suo imperium e quindi al suo trionfo. Nello stupore generale, Caio Giulio Cesare si presentò nel Foro dove presentò ufficialmente la sua candidatura.

Gli aristocratici avevano anche cercato di scoraggiarlo assegnando gli incarichi che i due consoli avrebbero dovuto ricoprire alla fine del loro mandato, come proconsoli: essi si sarebbero dovuti occupare "dei boschi e dei pascoli d'Italia"; incarico insignificante e quindi non appetibile. Ma Cesare non si lasciò scoraggiare da queste trucchi meschini, del resto lui si era fatto i suoi calcoli e una volta ottenuto il consolato, con l'appoggio segreto di Pompeo e Crasso, avrebbe fatto di testa sua decidendo sulle destinazioni in base ai suoi interessi e a quelli dei suoi alleati.

Il consolato di Cesare

La sua fu una vittoria netta decisa e, anche grazie all'appoggio degli altri due triumviri, risultò il più votato tra i candidati. L'unica consolazione per gli aristocratici fu quella di riuscire a piazzare al secondo posto e quindi a far eleggere console, Marco Calpurnio Bibulo, che oltre ad essere il genero di Catone, era anche un nemico giurato di Cesare sin dai tempi in cui entrambi avevano condiviso la carica di edili. Allora la stella di Cesare aveva brillato così fulgida da oscurare completamente la figura del suo collega e nonostante i desideri di rivalsa dello stesso Bibulo, la cosa si ripeterà anche durante il consolato del 59 a.C.

Allora Bibulo aveva fatto sapere che la loro storia assomigliava a quella dei dioscuri Castore e Polluce e che lui, in particolare, si sentiva come Polluce. I due dioscuri avevano infatti condiviso le imprese, ma non la gloria, che era andata tutta ad appannaggio di Castore. I Romani avevano dedicato anche un tempio ai due, ma il popolo lo chiamava solamente il tempio di Castore.

Parafrasando quella storiella, quando i Romani descrivevano il consolato di Cesare e di Bibulo, facevano riferimento al consolato di Giulio e di Cesare, facendo capire che in quell'anno aveva governato solo Giulio Cesare. In effetti Marco Bibulo, aveva tentato inizialmente di mettere i bastoni fra le ruote al suo collega, ma di fronte all'opposizione popolare, concretizzatasi anche con un attentato nei confronti della sua persona, aveva deciso di utilizzare una singolare forma di protesta: l'inerzia. Si era chiuso nella sua residenza e aveva rinunciato completamente ad esercitare il suo mandato.

E se il buongiorno si vede dal mattino, quello che il consolato di Cesare avrebbe rappresentato per i suo avversari lo si vide sin dai primi giorni, quando Cesare propose una legge che garantiva la distribuzione di terre dell'ager pubblicus ai poveri e anche ai veterani di Pompeo. Nel tentativo di ridurre l'opposizione aristocratica, Cesare aveva escluso dal provvedimento le terre della Campania, in mano ai latifondisti, ma benché qualcuno tra gli ottimati sembrava intenzionato ad accettare il compromesso, Catone tentò di far invalidare la seduta utilizzando l'arma dell'ostruzionismo e cioè parlando fino al sopraggiungere della sera, quando la seduta sarebbe stata dichiarata conclusa con un nulla di fatto. Cesare resosi conto delle intenzioni di Catone lo fece arrestare, benché quando l'aristocratico giunse nei pressi del carcere mamertino ordinò che venisse liberato. Di fronte ad un atto così deciso, nella Curia si scatenò la violenza e Bibulo rischiò di essere ucciso, ma, nonostante il caos, il provvedimento venne approvato e nei giorni successivi, tutti i senatori, compreso Catone, furono costretti a ratificarlo.

Poi Cesare, con un'abile mossa si liberò anche di Catone, che fu incaricato di porre sotto il controllo di Roma, l'isola di Cipro.

Un'altra abile mossa di Cesare fu quella di far nominare come tribuno della plebe, quel Publio Clodio Pulcher, che era stato l'amante della sua ex-moglie Pompea. A quei tempi Publio Clodio si chiamava ancora Publio Claudio ed era un patrizio, per cui non avrebbe potuto ricoprire la carica di tribuno della plebe, ma proprio in quei giorni, il giovane irrequieto, si fece adottare dal giovane Publio Fonteio, diventando a tutti gli effetti un plebeo. Claudio, il suo nome patrizio, venne trasformato nel plebeo Clodio.

La sua nomina a tribuno diventava un altro vantaggio per Cesare, mentre diventava un pericolo per Cicerone, verso cui Clodio aveva giurato eterna vendetta.

Cesare si mise in mezzo anche alle questioni egiziane, con una mediazione che garantì a lui e ai suoi segreti alleati un compenso esorbitante (oggi sarebbero 8 milioni di euro) da dividersi in 3.

A Cesare il comando della Gallia

Ma il vero colpo da maestro, fu il varo della legge Vatinia, dal nome del tribuno che l'aveva proposta, la quale superava la ridicola assegnazione proconsolare operata prima delle elezioni, che avrebbe assegnato a Cesare i boschi e i pascoli d'Italia.

Vatinio propose di assegnare a Cesare il comando della Gallia Cisalpina e dell'Illirico e grazie all'appoggio di Pompeo e Crasso il provvedimento passò senza opposizioni. Anzi il Senato nella sua delibera aggiunse, tra le province assegnate a Cesare, anche la Gallia Narbonese concedendo così al console una grande opportunità che lui saprà sfruttare in modo mirabile, portando il suo potere personale agli estremi.

L'abilità politica di Giulio Cesare trovò la massima espressione proprio in quell'anno, il 59 a.C., preparando il terreno per quella che sarà una delle più grandi imprese della storia antica, la grande guerra Gallica, che a sua volta sarà il preludio per la conquista assoluta del potere.

L'ambizione di Cesare era ormai ai massimi livelli e a questa, il console seppe anche sacrificare la figlia Giulia che diede in sposa proprio a Pompeo. Per arrivare al suo scopo Cesare non si preoccupò neanche del fatto che la figlia fosse già fidanzata con Servilio Cepione: il giovane venne congedato senza tanti complimenti.

Il matrimonio diventava a tutti gli effetti un fatto politico e lo stesso Cesare in quei giorni si sposava con Calpurnia, la figlia di Lucio Pisone, che Giulio Cesare fece designare come console per l'anno successivo.