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Benedetto XIII
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Conclave
Vita
La sua nobile origine ed il residuo di un nepotismo ancora imperante e di cui la madre fu artefice primaria, gli portò la nomina a cardinale; carica, che egli giovane sacerdote domenicano dal 1671, aborriva; scrisse al vescovo di Gravina in tono perentorio che non avrebbe accettato nessun cappello cardinalizio o vescovile, perché gli bastava l’amato cappuccio di frate domenicano. Ma il 1° marzo 1672 papa Clemente X (1670-76) gli impose di accettare la nomina cardinalizia; continuando il ‘cocciuto e focoso’ frate Orsini a rifiutare, interviene il Maestro Generale dell’Ordine che in virtù dell’obbedienza e sotto pena di scomunica, gli ingiunge di accettare la carica entro tre ore; a questo punto Vincenzo Maria Orsini ubbidisce, aveva solo 22 anni; non bisogna meravigliarsi, ma l’influenza delle famiglie patrizie in quei secoli, era molto determinante e l’età del prescelto non era un ostacolo. Ventitreenne dovette lasciare la desiderata e voluta vita claustrale per recarsi nella Roma barocca di papa Clemente X, a ricoprire la carica di Prefetto della Congregazione del Concilio e di Esaminatore dei Vescovi. Ma se dovette rivestire la dignità cardinalizia, volle d’altra parte rimanere sempre un frate, a cui era stato proibito da religioso, fra l’altro di addottorarsi negli studi giuridici all’Università di Padova e per rispetto di questo ordine del suo Superiore, non volle farlo nemmeno da cardinale, vincendo il suo forte temperamento. Il 3 febbraio 1675 resasi vacante la sede episcopale di Manfredonia (FG), fu consacrato vescovo della diocesi pugliese ad appena 25 anni, avendo rifiutato sia Tivoli, sia quella metropolitana di Salerno. Dopo cinque anni di governo riformatore, se non proprio ‘rivoluzionario’, dove oltre che vescovo si sentiva soprattutto un parroco, esperienza diretta con i fedeli che gli mancava, ebbe parecchi contrasti con invadenti funzionari del Viceregno e Legati spagnoli, per cui il nuovo papa Innocenzo XI (1676-89), con la mediazione del cardinale Paluzzo Altieri suo protettore e legato alla sua famiglia, gli fece accettare la sede vescovile di Cesena il 22 gennaio 1680, che era fuori del Regno di Napoli, ma appartenente allo Stato Pontificio. Ma la permanenza nella città romagnola non fu lunga, in sei anni poté dimorarci poco più di due anni, perché il clima, l’acqua, non giovarono alla sua salute, procurandogli due gravi e lunghe malattie fra cui la quartana, che lo costrinsero a stare lontano dal vescovado per lunghi periodi, per curarsi ad Ischia e Napoli; non furono estranei al suo trasferimento i dissapori e controversie che le Autorità laiche, ebbero con il severo vescovo, il quale soleva dire che non aveva alcuna voglia di “umiliare il suo pastorale al potere laicale” e contro certi scogli era sempre disposto a “rompere prima il capo che il pastorale”. Lo stesso papa Innocenzo XI, accoglie le sue richieste di trasferimento e lo nomina quale arcivescovo metropolita di Benevento, sede da lui tanto desiderata e che amerà per 44 anni; così il 30 maggio 1686 a dorso di un cavallo bianco entrò nella città sannita, già sede vescovile di s. Gennaro e di s. Barbato e il cui governo volle conservare, caso eccezionale, anche una volta eletto papa. La sua fu un imponente opera di pastore, tenne 44 sinodi in 44 anni di episcopato beneventano, tutti regolarmente stampati e diffusi in ogni parrocchia della diocesi, realizzando così un coinvolgimento e una partecipazione più ampia ai problemi della vita ecclesiale, raccogliendo in una periodica solenne assemblea tutto il clero, che ‘comunitariamente’ avesse preso coscienza della realtà locale e che insieme al vescovo, si fosse fatto più responsabile della cura delle anime. Uomo di profonda cultura, socio di varie Accademie di studio, visse la sua austera e colta vita di vescovo nell’epoca tra il barocco ed il secolo dei Lumi; la concezione episcopale di Vincenzo Maria Orsini, la sua pastoralità, avevano profonde radici e tenacemente sorrette da una grande passione d’amore per Dio, per la Chiesa, per le anime a lui affidate. Come uomo di carità, basti citare l’episodio che in un rigido giorno invernale a Benevento, non lo si trovava nelle sue stanze, ritrovandolo infine rannicchiato, tutto tremante dal freddo e seminudo, in un angolo del cortile; soccorso dagli spaventati collaboratori, disse con un sorriso, che aveva donato tutto ad un povero quasi spogliato che moriva dal freddo. Alla morte di Innocenzo XIII partecipò al conclave per l’elezione del nuovo pontefice, ma contrariamente ai quattro precedenti conclavi cui aveva partecipato, questa volta non poté ritornare alla sua diletta Benevento, perché venne eletto papa, nonostante le sue resistenze, il 24 maggio 1724 a 75 anni, prendendo il nome di Benedetto XIII; sedicesimo della lista dei papi regnicoli (termine usato allora per indicare chi era nato o risiedeva nel Regno di Napoli). Papa Benedetto XIII, come scrisse il cardinale Lambertini, "non aveva la minima idea di ciò che è governare"; era un asceta e seguitò ad esserlo da pontefice, non modificando il tenore di vita semplice e quasi povero. La sua occupazione preferita era celebrare funzioni religiose e consacrare chiese: "non pensa che a far restaurare i battisteri di Roma, affinché si possa battezzare per immersione, come una volta", annota il Montesquieu nel suo Voyage d'Itatie. E il letterato francese, per la circostanza, ricorda un particolare con cui tende a ridicolizzare "l'infaticabile" spirito religioso di questo papa: "Tre anni fa battezzò alcuni ebrei, e fece la cerimonia secondo l'uso antico: tirava un vento gelido, ed egli restò per tre ore, a capo scoperto, sulla porta di S. Pietro; i lacchè non avrebbero resistito. Quel giorno dimenticò che, al mattino, aveva detto messa e la disse due volte: perché non si ferma mai". Nel suo profondo zelo mistico promosse la devozione dei santi e a tale scopo compì una serie di canonizzazioni, tra le quali quella di Giovanni della Croce e Luigi Gonzaga. Con particolare fermezza si pronunziò contro il lusso dei cardinali e proibì l'uso di parrucche e barbe da parte degli ecclesiastici; dovevano portare vesti lunghe, ma senza strascico e per i trasgressori dei canoni disciplinari le pene erano pesanti. Li attendeva un carcere speciale costruito a Corneto. Nelle dispute contemporanee sulla grazia sostenne la dottrina della grazia efficace di san Tommaso (1724). Ai Gesuiti proibì qualsiasi polemica. Con la bolla Pretiosus (1725) rinnovò i concetti della Unigenitus Dei filius e, pur seguitando la controversia giansenista, il movimento cominciò ad aver meno peso su un piano strettamente dottrinale. Giurista e letterato, fondò la congregazione dei Seminari e l'università di Camerino. Il suo zelo religioso fu appagato in pieno dal giubileo del 1725: volle tenere per Roma un Sinodo, che da tanto tempo non veniva indetto, per suscitare la spiritualità e la collaborazione nel clero della Città Eterna; crebbero le opere caritative e le iniziative per venire incontro alle esigenze dei pellegrini che numerosi arrivarono a Roma; per l'occasione canonizzò s. Luigi Gonzaga e s. Stanislao Kostka protettore della Polonia e venne aperta l'imponente scalinata di piazza di Spagna, per congiungere la piazza sotto stante con la chiesa di Trinità dei Monti. Poeta ufficiale di quell' Anno Santo fu un membro dell' Arcadia, il meschino improvvisatore di versi Bernardino Perfetti, che Benedetto XIII volle addirittura incoronare in Campidoglio. E nel clima di austerità che il papa dette per la circostanza a Roma, abolì anche il gioco del Lotto, vedendo in esso qualcosa di peccaminoso, considerando l'usura che ne risultava per la cassa pubblica, per cui conto si facevano le estrazioni. Per le donne, più tenaci nel vizio, era prevista la carcerazione e l'ordine per tutti di procedere anche per inquisizione. Comunque il divieto servì a poco e poté limitare la propria efficacia allo Stato pontificio, perché i Romani continuarono a giocare sulle ruote degli altri Stati, con il risultato che notevoli somme di denaro passavano il confine andando ad impinguare le casse di altri sovrani. Roma avrebbe dovuto essere una città santa e Benedetto XIII il suo pastore, ma non fu così. "Una pubblica simonia regna oggi a Roma", annota il Montesquieu; "non si è mai visto, nel governo della Chiesa, regnare il delitto così apertamente. Uomini vili sono preposti da ogni parte alle cariche". Ma è che gli affari di governo non li curava il papa, inesperto del mondo, bensì un ignobile individuo, Niccolò Coscia. Il governo al Cardinal Coscia A Benedetto XIII già era apparso insostituibile come suo segretario da cardinale e arcivescovo di Benevento, e da lì se l'era portato a Roma; l'aveva nominato cardinale, affidandogli tutti gli affari politici e finanziari dello Stato pontificio. Il Coscia abusò del suo potere, facendo cadere nella crisi totale le finanze della Chiesa. "Senza alcun dubbio egli è stato uno dei più immatricolati furfanti che abbia potuto compiere in Curia le sue malefatte", osserva il Seppelt; "in brevissimo tempo egli organizzò uno spudorato traffico di favoritismi, riuscendo a coprire le cariche più influenti con i suoi aderenti e preoccupandosi instancabilmente di arricchirsi".
Invano il Sacro Collegio cercò ripetutamente di far aprire gli occhi al papa sull'operato del Coscia; per lui si trattava solo di calunnie e perciò il Coscia restò saldamente al suo posto fino alla morte di Benedetto XIII. Nel 1727 e nel 1729 Benedetto XIII ritornò a Benevento per alcuni mesi, nonostante il parere contrario della Curia Romana, che temeva volesse trasferire lì la Sede Pontificia. Inutile dire che a livello internazionale lo Stato pontificio seguitò a subire umiliazioni; è vero che rientrò in possesso di Comacchio, ma solo dietro vaste concessioni agli Asburgo sul terreno ecclesiastico. Anche Vittorio Amedeo II di Savoia fu riconosciuto re di Sardegna, in barba all'antico diritto di sovranità pontificia su quell'isola, e ottenne diritti su tutte le diocesi sarde proprio dal Coscia, profumatamente ricompensato. Questo autentico "delinquente", come lo definisce il Seppelt, avrebbe subito un processo sotto Clemente XII; scomunicato e condannato a dieci anni di carcere in Castel S. Angelo, sarebbe riuscito a cavarsela, nonostante la condanna al pagamento di tutte le somme sottratte e la penalità di cento mila scudi. Avrebbe partecipato a pieno titolo anche ai conclavi del 1730 e del 1740, finché Benedetto XIV lo avrebbe addirittura liberato dal carcere. Benedetto XIII morì in un freddo inverno di Roma, nell’ultimo giorno di Carnevale, il 21 febbraio 1730, e per non disturbare il popolo impegnato nelle strade a festeggiare il Carnevale, per lui non suonarono le campane a morto. Naturalmente i Romani scesero in piazza; volevano far fuori il Coscia, che previdentemente se l'era squagliata con la sua banda. Il papa fu sepolto in uno sfarzoso mausoleo in S. Maria sopra Minerva.
Stranamente le date significative della sua vita, nascita, ordinazione sacerdotale ed episcopale, morte, avvennero tutte nel mese di febbraio. A qualche suddito non restò che lo sfogo di un epitaffio: Racchiude quest'avello l'ossa d'un fraticeIlo: più che amator di santi, protettor di briganti. |