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~ Monografie Romane ~



Fontane
· I parte ·
fontane antiche
PAGINA 1

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INTRODUZIONE


Fontane giunge come legittimo seguito della precedente monografia, Acquedotti. In effetti questa sarebbe dovuta essere una fra le prime sezioni pubblicate nel sito. Ma una descrizione dettagliata di un così vasto argomento si scontrava con la quantità di memoria disponibile in un sito gratuito. Perciò lo stimolante progetto è rimasto in fondo ad un cassetto virtuale per degli anni. Ora finalmente è qui, sebbene non tutte le pagine siano pubblicate, poiché alcune di esse devono ancora essere scritte.
Compilare un "catalogo fotografico" avrebbe costituito una sfida interessante, ma il compromesso è stato quello di sceglierne alcune, in quanto sarebbe stato impossibile mostrare e descrivere nello spazio di poche pagine le oltre 200 fontane oggi esistenti.

piazza della Rotonda

L'inevitabile selezione è stata basata su diversi criteri, quali il valore artistico di ciascuna di esse, il loro interesse storico, l'aneddotica e ciò che di curioso è legato ad esse, ed infine - dettaglio non trascurabile - la loro accessibilità, in quanto il lettore potrebbe volerle visitare in occasione di una futura venuta a Roma.


fontana di cortile di un palazzo in piazza Colonna

Per tale ragione è stata lasciata fuori qualche fontana minore, come pure quelle di cortile che si trovano in molti palazzi e dimore nobiliari, un paio delle quali vengono mostrate a lato: sono proprietà privata, indipendentemente dal loro valore artistico, e dunque non possono essere considerate "fontane di Roma".
Inoltre, in linea con la tendenza di questo sito, il testo non copre le fontane situate entro il territorio del Vaticano (con la sola eccezione di quelle in piazza San Pietro): queste, a voler essere fiscali, non si trovano a Roma, e neppure in Italia, ma soprattutto molte di esse non sono liberamente raggiungibili e fruibili, come lo sono tutte quelle presentate in queste pagine.


fontana di cortile di un palazzo in via della Scrofa

Muovendo il cursore del mouse sulle immagini apparirà l'esatta sede di ciascuna fontana. Il caricamento di alcune pagine potrà risultare più lento di altre, specialmente nella II parte, a seconda del numero di illustrazioni contenute.
A causa delle parti mancanti, questa monografia si dividerà probabilmente nelle seguenti parti:

I parte
FONTANE ANTICHE
VIII SECOLO AC - XV SECOLO
PAG. 1 · PAG. 2

II parte
LE FONTANELLE

DAL XVI AL XX SECOLO
PAG. 1 ·  PAG. 2 ·  PAG. 3 ·  PAG. 4

III parte
LE FONTANE

DAL XVI AL XX SECOLO
(ancora non disponibile)


FONTANE ANTICHE

LE ORIGINI

I primi abitanti di Roma, tribù sparse sui mitici sette colli, attingevano l'acqua direttamente dal Tevere. Potevano forse anche contare su piccoli pozzi per raccogliere l'acqua piovana, come quello mostrato a destra, recentemente trovato durante gli scavi nell'area del Foro di Cesare, databile al VI secolo aC.
Durante l'età repubblicana i Romani sfruttavano le sorgenti naturali esistenti nelle aree abitate, che continuavano ad estendersi, spesso costruendo fontane sullo stesso sito. Molti dei loro nomi, quali
Fons Lupercalis, Fons Apollinaris, Fons Pici, Fons Mercurii, e altri ancora, si trovano negli antichi testi, e in alcuni casi si sa con ragionevole approssimazione anche dove erano situate.

via dei Fori Imperiali - area del Foro di Cesare
pozzetto (VI sec. aC)


Alcune erano sicuramente enormi, come la
Piscina Publica, nella parte meridionale della città, il cui aspetto era quello di una riserva d'acqua più che di una vera fontana. Nella prima età imperiale (I secolo) era già scomparsa, ma l'imperatore Ottaviano Augusto diede il suo nome alla XII Regio (cioè rione) dell'area urbana.

Roman Forum
il sito del Lacus Iuturnae
(gentile concessione di Kalervo Koskimies)

Oggi rimane assai poco delle prime fontane, e i minimi resti ancora visibili conservano a malapena il ricordo del loro originario aspetto. Solo le leggende a cui diedero luogo sono state pienamente tramandate.
Questo è il caso del
Lacus Iuturnae, il cui nome deriva dalla dea Iuturna, patrona di coloro il cui lavoro aveva attinenza con l'acqua. La fontana sorgeva nell'area del Foro Romano, presso il tempio sacro ai Dioscuri (Castore e Polluce, figli di Giove e di Leda) perché, secondo la tradizione, nel 499 aC, al termine di una battaglia a fianco dei Romani, si fermarono qui ad abbeverare i loro cavalli.


Non resta molto nemmeno del
Lacus Curtius, una sorgente o, secondo altri, una semplice vasca di raccolta dell'acqua piovana, anch'esso nell'area del Foro.

Il punto dov'è situato costituiva l'ultima parte della palude che una volta si estendeva su tutta l'area dove in seguito venne edificato il Foro. Ma secondo la tradizione, la sorgente ebbe origine quando un fulmine spaccò la terra, nel 445 aC, e il console Gaio Curzio fece recintare l'area. Questa era una pratica religiosa: la caduta di un fulmine era considerata presaga di eventi negativi, perciò in tali casi un consiglio di dieci sacerdoti chiamati bidentales presidevano alla recinzione del punto, e alla sepoltura di una pietra come rappresentazione simbolica del fulmine. Seguiva il sacrificio di una pecora, per l'occasione indicata come bidental, e tale nome veniva poi preso anche dal sito stesso.

Foro Romano
il sito del Lacus Curtius
(gentile concessione di René Seindal)

Una leggenda più avventurosa narra del Lacus Curtius come sede di una voragine senza fondo la quale - aveva predetto l'oracolo - si sarebbe chiusa solo gettandovi dentro ciò che in Roma aveva più valore; così, nel 362 aC, il giovane cavaliere Marco Curzio, armato di tutto punto e a cavallo del destriero, si lanciò egli stesso nella voragine, che si trasformò in un'innocua sorgente.

Foro Romano
Lacus Curtius: il rilievo
(gentile concessione di René Seindal)

Una terza versione racconta del capo dei Sabini, Mezio Curzio, che nella profonda buca vi cadde.
Comunque, il sito oggi appare solo come un'area quadrangolare irregolarmente lastricata, contrassegnata dalla copia di un rilievo raffigurante Marco Curzio a cavallo (l'originale, di età repubblicana, si trova al Museo dei Conservatori in Campidoglio).

Durante l'età repubblicana il numero di fontane era ancora insufficiente a coprire le necessità della popolazione, specialmente quella che viveva più lontana dall'area del Foro, e in molti continuavano ad attingere acqua dal Tevere. Per tale ragione non era consentito costruire fabbricati entro una certa distanza dalla riva orientale del fiume (sul lato occidentale vivevano per lo più immigrati e mercanti stranieri), e l'area che doveva rimanere libera da qualsiasi proprietà privata era delimitata da pietre, alcune delle quali sono state ritrovate (cfr. illustrazione a destra).

La vera ricchezza d'acqua cominciò con la costruzione dei numerosi acquedotti, fra il I secolo aC e il III secolo d.C. (cfr. la precedente monografia), un periodo durante il quale a Roma il numero di fontane crebbe notevolmente; non erano più alimentate dalle vicine sorgenti naturali, ma dai principali dotti e dalle loro molte diramazioni.


pietra di delimitazione
dell'area pubblica

Una delle più famose era situata di fronte al Colosseo, ed era nota col nome di Meta Sudans. Aveva la forma di un enorme cono, a somiglianza dei piloni usati nei circhi, chiamati metae, che demarcavano le estremità della pista. La sua fama si doveva al fatto che l'acqua non zampillava da una bocchetta, ma filtrava dall'interno attraverso la pietra porosa, dando alla fontana un aspetto lucente ("sudante"), un'assoluta novità per quei tempi.
La Meta Sudans subì consistenti danneggiamenti nel corso del medioevo, poiché appare già come rovina nelle antiche vedute del Colosseo. Nel 1936, in seguito al peggioramento delle sue condizioni e per ragioni di traffico, venne definitivamente rimossa, e sul posto venne collocata una targa commemorativa.

piazza del Colosseo
la Meta Sudans in una vecchia stampa

piazza del Colosseo
fotografia dei primi del '900: qualche anno
più tardi queste rovine sarebbero state rimosse

Sul lato opposto del Colosseo si può vedere ciò che di restaurato rimane di una piccola fontana nell'area del Ludus Magnus, la principale caserma dove si allenavano e vivevano i gladiatori.

L'imperatore Domiziano (81-96) fece costruire questo complesso sufficientemente vicino al grande anfiteatro da poter essere raggiungibile dalla caserma per mezzo di un passaggio sotterraneo. Nell'ampio cortile del Ludus Magnus si trovava un mini-anfiteatro, per ricreare l'ambientazione dell'arena del Colosseo, e quattro piccole fontane triangolari situate negli angoli, delle quali oggi ne rimane solo una.

via Labicana Forma Urbis Romae
la fontana nel Ludus Magnus, raffigurata
anche nella Forma Urbis Romae (pianta del III secolo)

piazza Vittorio Emanuele
i resti ora conosciuti come "Trofei di Mario"

Nei giardini di piazza Vittorio Emanuele sorgono le imponenti rovine del ninfeo di Alessandro Severo, ora noto come i "Trofei di Mario". È anche descritto nella sezione degli Acquedotti, III parte ,  pagina 1, poiché la fontana era il castello terminale di una diramazione staccata da tre dotti principali che seguivano il corso delle vicine mura orientali della città. Fra le sue decorazioni originali, nessuna delle quali è rimasta in sede, erano due gruppi marmorei raffiguranti armi ed armature prese come trofei alle popolazioni barbariche, quindi frutto delle campagne belliche romane.

Nel tardo XVI secolo questi gruppi furono trasferiti a piazza del Campidoglio, dove si trovano tutt'ora. Studi successivi hanno appurato che, essendo più antichi del ninfeo che decoravano, con ogni probabilità Alessandro Severo li aveva a sua volta presi da qualche altra fontana o edificio già esistente.
Le rovine della fontana fanno ora da rifugio di una fra le numerose colonie feline di Roma.

piazza del Campidoglio piazza del Campidoglio
i due gruppi rimossi dal ninfeo di Alessandro Severo

via Giolitti
i resti conosciuti come "Tempio di Minerva Medica"

Non lontano è il ninfeo dei Licinii, eretto attorno al IV secolo.
Quelle che ora hanno l'aspetto di rovine originariamente costituivano un'aula rotonda a forma di cupola, le cui pareti erano molto probabilmente coperte da affreschi e marmi preziosi, mentre nel centro l'acqua zampillava da una o più statue, circondate da fiori e da piante. Sorgeva nei giardini della villa di famiglia dei Licinii, che si estendeva su una vasta superficie ora attraversata dalle linee ferroviarie. È ancora conosciuto col nome popolare di "Tempio di Minerva Medica", da quando una statua della dea, forse situata nei suddetti giardini, venne rinvenuta lì vicino, fuorviando gli scopritori circa la reale natura dell'aula.

Il ninfeo è menzionato anche nel giro delle Mura Aureliane, II parte, pagina 3, con altre illustrazioni di queste notevoli ma piuttosto neglette rovine.

Una storia interessante e complessa è quella della statua conosciuta come
Marforio, una grande figura giacente, con barba, che si ritiene essere la decorazione di un'antica fontana nel Foro Romano.

Fuori posto, ma ancora in condizioni abbastanza buone, venne portata in Campidoglio nel 1588; ancora oggi è situata nel cortile dei Musei Capitolini. Un documento dello stesso anno dice che la statua recava l'iscrizione "MARE IN FORO", da cui il nomignolo corrotto, e la vecchia teoria secondo cui raffigurerebbe una divinità marina, sebbene gli esperti ora ritengano che si riferisca ad un fiume, forse il Tevere.

Capitolium Museum
Marforio, proveniente da una fontana antico-romana

La vecchia interpretazione dà ragione della conchiglia marina nella mano destra, che col resto del braccio sostituisce il frammento originale, andato perduto.
Una volta Marforio era molto conosciuto dal popolo, in quanto apparteneva al gruppo delle cosiddette "statue parlanti", cfr. Curiosità Romane - pagina 2.

disegno dell'area del Foro
Marforio nella sua posizione originale (freccia)
in un disegno del Foro del XVI secolo

Per secoli la statua era rimasta sepolta nella vicina area del Foro Romano, dove alcune mappe e disegni precedenti il suo trasloco ce la mostrano vicino all'arco di Settimio Severo, fra gli altri resti sparpagliati. Quando papa Sisto V la fece trasferire in Campidoglio, fu rinvenuta anche la sua grande vasca rotonda. Quest'ultima, però, venne lasciata nel Foro, dove fu trasformata in un abbeveratoio per il bestiame e i cavalli, e provvista di una nuova bocchetta, scolpita a forma di mascherone da Giacomo Della Porta, famoso fontaniere del tardo XVI secolo.

Nel 1816 anche la vasca, che nel frattempo era stata nuovamente semisepolta da terriccio e spazzatura, fu trasferita ad una sede più nobile, sotto le statue dei Dioscuri davanti a Palazzo del Quirinale, mentre il mascherone venne riutilizzato per una fontanella presso la riva del fiume (la prima verrà descritta nella III parte, la seconda nella II parte).
Ma l'essere trasferita, smontata, rimontata, e poi trasferita di nuovo, è un destino che nel tempo sarebbe toccato anche a molte altre fontane meno antiche.

NON ANCORA DISPONIBILE

I PARTE · pagina 2
IL MEDIOEVO

II PARTE
LE FONTANELLE

III PARTE
LE FONTANE


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