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INTRODUZIONE
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L'inevitabile selezione è stata basata su diversi criteri, quali il valore artistico di ciascuna di esse, il loro interesse storico, l'aneddotica e ciò che di curioso è legato ad esse, ed infine - dettaglio non trascurabile - la loro accessibilità, in quanto il lettore potrebbe volerle visitare in occasione di una futura venuta a Roma. |
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Per tale ragione è stata lasciata fuori qualche fontana
minore, come pure quelle di cortile che si trovano in molti palazzi e dimore
nobiliari, un paio delle quali vengono mostrate a lato: sono proprietà
privata, indipendentemente dal loro valore artistico, e dunque non possono
essere considerate "fontane di Roma". |
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Muovendo il cursore del mouse
sulle immagini apparirà l'esatta sede di ciascuna fontana. Il caricamento di
alcune pagine potrà risultare più lento di altre, specialmente nella
II parte, a seconda del numero di illustrazioni contenute.
A causa delle parti mancanti, questa monografia si dividerà probabilmente nelle
seguenti parti:
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FONTANE ANTICHE
LE ORIGINI
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I primi abitanti di Roma, tribù sparse sui mitici sette
colli, attingevano l'acqua direttamente dal Tevere. Potevano forse anche
contare su piccoli pozzi per raccogliere l'acqua piovana, come quello
mostrato a destra, recentemente trovato durante gli scavi nell'area del Foro
di Cesare, databile al VI secolo aC. |
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Alcune erano sicuramente enormi, come la Piscina
Publica, nella parte meridionale della città, il cui aspetto era quello
di una riserva d'acqua più che di una vera fontana. Nella prima età imperiale
(I secolo) era già scomparsa, ma l'imperatore Ottaviano Augusto diede il
suo nome alla XII Regio (cioè rione) dell'area urbana.
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Oggi rimane assai poco delle prime fontane, e i minimi
resti ancora visibili conservano a malapena il ricordo del loro originario
aspetto. Solo le leggende a cui diedero luogo sono state pienamente
tramandate. |
Non resta molto nemmeno del Lacus Curtius,
una sorgente o, secondo altri, una semplice vasca di raccolta dell'acqua
piovana, anch'esso nell'area del Foro.
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Il punto dov'è situato costituiva l'ultima parte della palude che una volta si estendeva su tutta l'area dove in seguito venne edificato il Foro. Ma secondo la tradizione, la sorgente ebbe origine quando un fulmine spaccò la terra, nel 445 aC, e il console Gaio Curzio fece recintare l'area. Questa era una pratica religiosa: la caduta di un fulmine era considerata presaga di eventi negativi, perciò in tali casi un consiglio di dieci sacerdoti chiamati bidentales presidevano alla recinzione del punto, e alla sepoltura di una pietra come rappresentazione simbolica del fulmine. Seguiva il sacrificio di una pecora, per l'occasione indicata come bidental, e tale nome veniva poi preso anche dal sito stesso. |
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Una leggenda più avventurosa narra del Lacus Curtius come sede di una voragine senza fondo la quale - aveva predetto l'oracolo - si sarebbe chiusa solo gettandovi dentro ciò che in Roma aveva più valore; così, nel 362 aC, il giovane cavaliere Marco Curzio, armato di tutto punto e a cavallo del destriero, si lanciò egli stesso nella voragine, che si trasformò in un'innocua sorgente.
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Una terza versione racconta del capo dei Sabini, Mezio
Curzio, che nella profonda buca vi cadde.
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Durante l'età repubblicana il numero di fontane era
ancora insufficiente a coprire le necessità della popolazione, specialmente
quella che viveva più lontana dall'area del Foro, e in molti continuavano ad
attingere acqua dal Tevere. Per tale ragione non era consentito costruire
fabbricati entro una certa distanza dalla riva orientale del fiume (sul lato
occidentale vivevano per lo più immigrati e mercanti stranieri), e l'area che
doveva rimanere libera da qualsiasi proprietà privata era delimitata da
pietre, alcune delle quali sono state ritrovate (cfr. illustrazione a
destra). |
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Una delle più famose era
situata di fronte al Colosseo, ed era nota col nome di Meta Sudans. Aveva la forma di un enorme cono, a
somiglianza dei piloni usati nei circhi, chiamati metae, che demarcavano
le estremità della pista. La sua fama si doveva al fatto che l'acqua non zampillava
da una bocchetta, ma filtrava dall'interno attraverso la pietra porosa, dando
alla fontana un aspetto lucente ("sudante"), un'assoluta novità per
quei tempi.
La Meta Sudans subì consistenti danneggiamenti nel corso del medioevo, poiché
appare già come rovina nelle antiche vedute del Colosseo. Nel 1936, in seguito
al peggioramento delle sue condizioni e per ragioni di traffico, venne
definitivamente rimossa, e sul posto venne collocata una targa commemorativa.
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Sul lato opposto del Colosseo si può vedere ciò che di restaurato rimane di una piccola fontana nell'area del Ludus Magnus, la principale caserma dove si allenavano e vivevano i gladiatori.
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L'imperatore Domiziano (81-96) fece costruire questo complesso sufficientemente vicino al grande anfiteatro da poter essere raggiungibile dalla caserma per mezzo di un passaggio sotterraneo. Nell'ampio cortile del Ludus Magnus si trovava un mini-anfiteatro, per ricreare l'ambientazione dell'arena del Colosseo, e quattro piccole fontane triangolari situate negli angoli, delle quali oggi ne rimane solo una.
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Nei giardini di piazza Vittorio Emanuele sorgono le imponenti rovine del ninfeo di Alessandro Severo, ora noto come i "Trofei di Mario". È anche descritto nella sezione degli Acquedotti, III parte , pagina 1, poiché la fontana era il castello terminale di una diramazione staccata da tre dotti principali che seguivano il corso delle vicine mura orientali della città. Fra le sue decorazioni originali, nessuna delle quali è rimasta in sede, erano due gruppi marmorei raffiguranti armi ed armature prese come trofei alle popolazioni barbariche, quindi frutto delle campagne belliche romane. |
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Nel tardo XVI secolo questi gruppi furono trasferiti
a piazza del Campidoglio, dove si trovano tutt'ora. Studi successivi hanno
appurato che, essendo più antichi del ninfeo che decoravano, con ogni
probabilità Alessandro Severo li aveva a sua volta presi da qualche altra
fontana o edificio già esistente. |
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Non lontano è il ninfeo
dei Licinii, eretto attorno al IV secolo. |
Il ninfeo è menzionato anche
nel giro delle Mura Aureliane, II parte, pagina 3,
con altre illustrazioni di queste notevoli ma piuttosto neglette rovine.
Una storia interessante e complessa è quella della statua conosciuta come Marforio, una grande figura giacente, con barba,
che si ritiene essere la decorazione di un'antica fontana nel Foro Romano.
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Fuori posto, ma ancora in condizioni abbastanza buone, venne portata in Campidoglio nel 1588; ancora oggi è situata nel cortile dei Musei Capitolini. Un documento dello stesso anno dice che la statua recava l'iscrizione "MARE IN FORO", da cui il nomignolo corrotto, e la vecchia teoria secondo cui raffigurerebbe una divinità marina, sebbene gli esperti ora ritengano che si riferisca ad un fiume, forse il Tevere. |
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La vecchia interpretazione dà
ragione della conchiglia marina nella mano destra, che col resto del braccio
sostituisce il frammento originale, andato perduto.
Una volta Marforio era molto conosciuto dal popolo, in quanto apparteneva al
gruppo delle cosiddette "statue parlanti", cfr. Curiosità Romane - pagina 2.
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Per secoli la statua era rimasta sepolta nella vicina area del Foro Romano, dove alcune mappe e disegni precedenti il suo trasloco ce la mostrano vicino all'arco di Settimio Severo, fra gli altri resti sparpagliati. Quando papa Sisto V la fece trasferire in Campidoglio, fu rinvenuta anche la sua grande vasca rotonda. Quest'ultima, però, venne lasciata nel Foro, dove fu trasformata in un abbeveratoio per il bestiame e i cavalli, e provvista di una nuova bocchetta, scolpita a forma di mascherone da Giacomo Della Porta, famoso fontaniere del tardo XVI secolo. |
Nel 1816 anche la vasca, che nel
frattempo era stata nuovamente semisepolta da terriccio e spazzatura, fu
trasferita ad una sede più nobile, sotto le statue dei Dioscuri davanti a
Palazzo del Quirinale, mentre il mascherone venne riutilizzato per una fontanella
presso la riva del fiume (la prima verrà descritta nella III parte, la
seconda nella II parte).
Ma l'essere trasferita, smontata, rimontata, e poi trasferita di nuovo, è un
destino che nel tempo sarebbe toccato anche a molte altre fontane meno antiche.