202.

URBANO VI
Bartolomeo Prignano


Nato a Napoli nel 1318

Eletto papa l'8
e incoronato il 18.IV.1878
Morto il 15.X.1389

Alla morte di Gregorio XI a Roma erano presenti sedici cardinali, nove dei quali francesi, quattro italiani e uno aragonese; ad Avignone erano rimasti sei porporati francesi, mentre un settimo si trovava in Toscana per le trattative di pace con Firenze. Trascorsi dieci giorni, il collegio entrò in conclave in Vaticano il 7 aprile 1378; a Roma l'atmosfera non era tranquilla, nonostante la deputazione capitolina avesse dato alla Curia garanzie sul mantenimento dell'ordine pubblico nel rione di Borgo con un presidio di diversi cittadini agli ordini dei capitani delle regioni, che avevano giurato di compiere il loro dovere. Il popolo peraltro fece sentire ugualmente la sua voce e al passaggio del corteo che si avviava alla sala del conclave urlò: "Romano o italiano lo volemo!"; gli schiamazzi seguitarono per tutto il pur breve periodo in cui i cardinali furono riuniti. Essi decisero di eleggere un italiano, ma non un romano e neanche uno di loro; anzi fu questa l'ultima volta che una persona estranea al collegio cardinalizio divenne papa. L'8 aprile fu scelto Bartolomeo Prignano, arcivescovo di Bari, dotto canonista, nato a Napoli nel 1318. Era stato arcivescovo di Acerenza in Lucania (1363), prima che di Bari (1377). Al momento dell'elezione era il cancelliere di Gregorio XI.

Il nome dell'eletto non venne però reso noto subito, perché non si trovava in Vaticano, e tra il popolo corse invece voce che fosse stato eletto un Francese; ci fu un'irruzione nella sala del conclave e i cardinali impauriti, per prender tempo e calmare i rivoltosi, dissero che era stato eletto il vecchio cardinale romano Francesco Tebaldeschi. Il popolo voleva vederlo subito sul trono e il povero vecchio si oppose rivelando la vera identità del nuovo papa; i cardinali si squagliarono per paura del peggio, ma dieci giorni dopo, il 18 aprile, i dodici cardinali rimasti si ritrovarono in S. Pietro con Bartolomeo Prignano, che fu incoronato assumendo il nome di Urbano VI.

È indiscutibile che i cardinali in sede di conclave non si sentirono liberi nella scelta; il loro comportamento di fronte all'irruzione popolare lo indica chiaramente. Essi erano minacciati e intimoriti; gli avvenimenti seguenti l'elezione del Prignano avrebbero potuto portare senz'altro a dichiarare non valido il conclave; ma ciò non avvenne. I cardinali dettero anzi comunicazione ufficiale a tutta la cristianità dell'avvenuta incoronazione e nella settimana successiva presero parte ai concistori presieduti da Urbano VI per dare le nuove disposizioni sul governo della Chiesa; lo riconobbero insomma come legittimo papa, accettando inoltre i copiosi privilegi che egli subito offrì per ingraziarseli definitivamente. Anche i cardinali rimasti ad Avignone trasmisero al capitano di Castel S. Angelo l'ordine di consegnare le chiavi della città ad Urbano VI.

Il Grande Scisma d'Occidente
Tutto in definitiva sembrava regolare; poi, improvvisamente, sorsero i primi screzi con la richiesta avanzata da parte dei cardinali francesi di trasferire di nuovo la sede papale ad Avignone; Urbano si oppose fermamente. Il clima apparve quanto mai teso; al principio dell'estate i cardinali francesi e l'unico aragonese, Pedro de Luna, abbandonarono la Curia e si portarono ad Anagni. Urbano restò a Roma con i quattro cardinali italiani, ai quali nel luglio i "secessionisti" scrissero invitandoli ufficialmente ad unirsi a loro; dissero che l'elezione di Urbano VI rischiava di esser considerata nulla, perché fatta sotto l'incubo del moto popolare. I cardinali italiani facevano cerchio intorno al papa; i lunghi conciliaboli a distanza tra le parti diventavano sempre più aspri. Ammonizioni e inviti alla moderazione, come quelli che più volte Caterina da Siena inviò al papa, caddero nel vuoto; il 2 agosto i cardinali di Anagni firmarono una dichiarazione ufficiale che considerava Roma "sede vacante" e il 9 dello stesso mese proclamavano alla cristianità la nullità dell'elezione di Urbano come apostata.

A livello internazionale, l'imperatore Carlo IV si mostrò favorevole ad Urbano, ma il re di Francia Carlo V e la regina Giovanna di Napoli erano dalla parte dei porporati ribelli che, per maggior sicurezza, si trasferirono a Fondi sotto la protezione del conte Onorato Caetani.
Lì il 20 settembre elessero papa il cardinale Robert di Ginevra, il "boia di Cesena", che fu incoronato nella cattedrale di Fondi assumendo il nome di Clemente VII.
I cardinali di Avignone lo riconobbero subito come papa legittimo e lo invitarono a prender possesso della sede provenzale; il mondo cristiano si divise in due. Al seguito di Carlo IV, Ungheria, Polonia, Svezia, Danimarca, Inghilterra, Fiandre ed Italia, ad eccezione di Napoli, si schierarono per Urbano; Castiglia, Aragona e Portogallo furono incerti nel dare la loro preferenza; Carlo V e Giovanna erano gli strenui difensori di Clemente VII che, secondo l'Annuario pontificio, va considerato ufficialmente un antipapa. Era operante in definitiva il grande scisma d'Occidente che si sarebbe composto solo nel 1415, con il concilio di Costanza.

Prima di portarsi ad Avignone Clemente tentò con le armi d'impadronirsi di Roma; lo scontro tra le sue milizie mercenarie bretoni e quelle italiane al servizio di Urbano con a capo Alberico da Barbiano, avvenne a Marino, sui colli Albani, il 28 aprile 1379. Clemente VII ebbe la peggio e abbandonò l'Italia; il 20 giugno s'insediava in Avignone, in una splendida corte che rinnovava le mondanità di Clemente VI.

Urbano VI non si sentiva sicuro però e pensò di rafforzare la propria posizione in Italia con l'appoggio di un sovrano fedele che togliesse definitivamente a Clemente ogni possibilità di tornare in Italia. Dichiarò pertanto Giovanna di Napoli eretica e scismatica per aver favorito l'antipapa e invitò Carlo di Durazzo, che contava su numerose truppe agguerrite, a impadronirsi del regno. Questi accettò di buon grado; si presentò da Urbano, che lo creò senatore romano e l'incoronò re col nome di Carlo III, dopodiché partì immediatamente per la sua impresa. Giovanna finiva strangolata nel 1382 e Carlo riusciva a fermare l'avanzata del duca Luigi d'Angiò, adottato in precedenza da Giovanna come suo erede e infeudato del regno di Napoli da Clemente VII. Oltretutto Luigi moriva nel 1384.
Carlo di Durazzo in pratica teneva saldo nelle proprie mani il regno e poteva accogliere solennemente Urbano VI a Napoli; ma tra i due finì per non correre buon sangue, perché il re non voleva più riconoscersi vassallo pontificio. Il papa restò a Napoli fino al maggio del 1384, quasi come prigioniero; poi riuscì a trasferirsi a Nocera, dove riunì la Curia, che avrebbe provveduto a incrementare eleggendo addirittura 29 cardinali. Costoro ben presto furono esasperati però dal modo altezzoso e dispotico di Urbano, che sempre più affermava un potere assoluto nella reggenza della Chiesa, proprio per premunirsi contro eventuali colpi di mano; questa diffidenza portò molti cardinali a tramare contro di lui con il re Carlo III.
Qualcuno pensava anche di ucciderlo, ma il papa avvertì l'aria di rivolta: in un concistoro del 12 gennaio 1385 inveì contro i porporati e ne fece arrestare sei; inoltre citò il re a comparire in giudizio per discolparsi. Non essendosi presentato, fu scomunicato con l'interdetto per il suo regno; il sovrano reagì ponendo Nocera sotto assedio per sei mesi.
Liberato dal conte Raimondo di Noia, a capo di mercenari bretoni, Urbano restò in pratica prigioniero però del soccorritore, che lo costrinse a pagargli ingenti somme, pena il suo trasferimento ad Avignone alla corte di Clemente VII. Alla fine fu lasciato libero a Genova, dove poté insediarsi, sempre però in aperto disaccordo con la Curia; si era portato appresso quei cardinali ritenuti colpevoli della congiura, che finirono i loro giorni in prigione, trucidati verosimilmente per suo ordine.

Questa severità da monarca assoluto, ma certo non propria di un vicario di Cristo, disposto apostolicamente al perdono, gli alienò l'appoggio di molti cardinali che l'abbandonarono rifugiandosi presso Clemente VII. Sempre insicuro, nevrotico, privo di adeguati sostegni, Urbano VI cambiava continuamente residenza; fu a Lucca e poi a Perugia, finché di nuovo poté raggiungere Roma, dove era riuscito ad accattivarsi l'animo dei cittadini riducendo con la bolla Dominus noster dell'8 aprile 1389 il termine del giubileo a 33 anni, in ricordo della vita terrena di Cristo, e stabilendo di conseguenza che il prossimo Anno Santo si sarebbe svolto nel 1390.
Fu in pratica l'unico atto concreto di carattere "religioso" che egli compì, se così lo si vuol riconoscere; ma non arrivò a vederne i "frutti", perché la morte lo colse a Roma il 15 ottobre 1389. Fu sepolto in S. Pietro e il suo sarcofago si trova attualmente nelle Grotte Vaticane.