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GREGORIO XI
Pierre Roger de Beaufort

Nato a Rosier d'Egleton nel 1329

Eletto papa il 30.XII.1370
e consacrato il 5.I.1371
Morto il 27.III.1378

Alla morte di Urbano V il collegio cardinalizio contava su soli tre porporati italiani e uno inglese; gli altri erano tutti francesi. Bastò pertanto un solo giorno di conclave e il 30 dicembre 1370 risultò eletto Pierre Roger de Beaufort, nipote di Clemente VI, che l'aveva creato cardinale a diciotto anni. Nato a Rosier d'Egletons nel 1329, era ancora allo stato di diacono, e quindi dovette essere consacrato sacerdote e vescovo prima di poter essere incoronato il 5 gennaio 1371; assunse il nome di Gregorio XI.

Come in genere i suoi predecessori di Avignone, Gregorio elevò alla porpora cardinalizia esclusivamente dei Francesi e in particolare favorì i parenti, rinnovando la regola del più sfacciato nepotismo; tutto questo non avrebbe facilitato un ritorno della Curia a Roma. Eppure fin dall'inizio del pontificato egli aveva annunciato come imminente un suo trasferimento nella sede romana, fissando addirittura la data al maggio del 1372.

La realizzazione del progetto fu dilazionata sia per l'assillo costante dei cardinali francesi nello sconsigliare il papa, sia per la premura del re francese a tenere nella sua terra Gregorio, della cui opera di mediazione voleva servirsi per arrivare ad una pace non ingloriosa con l'Inghilterra. Peraltro il tentativo compiuto in tal senso dal papa restò senza successo, come pure non ebbe seguito l'appello lanciato per una crociata che portasse aiuto al minacciato impero bizantino.

Su questo fronte politico l'operato di Gregorio XI risultò in pratica un fallimento, come pure la Curia dovette subire uno smacco nei confronti dell'imperatore Carlo IV; questi, in base alla "Bolla d'Oro" era riuscito ad ottenere da parte dei principi germanici l'elezione del quindicenne figlio Venceslao a re di Germania. La Curia aveva fatto presente a Carlo che l'incoronazione avrebbe dovuto aver luogo solo dopo l'approvazione papale; i principi indignati da questo comportamento arrivarono a far incoronare Venceslao il 6 luglio del 1367 ad Aquisgrana. Tuttavia l'imperatore, che non voleva una rottura col papato, fornito di grande spirito diplomatico e scaltrezza, riuscì a far pervenire al papa uno scritto in data anteriore all'incoronazione nel quale lo pregava di ratificare l'elezione, senza peraltro parlare di approvazione. E Gregorio XI si ritenne appagato da quella che in realtà era un'autentica presa in giro nei suoi confronti e rilasciò il relativo documento di consenso.

Proprio per questi evidenti insuccessi politici probabilmente Gregorio XI cercò nel ritorno a Roma la strada di un riscatto della sua dignità, impegnandosi a fondo nel problema; timoroso per natura, rimuginava oltretutto nella sua mente la minacciosa profezia espressa da Brigida di Svezia pochi mesi prima di morire, nel 1373, secondo un annuncio fattole dalla Madonna che il papa, se non fosse tornato subito a Roma, avrebbe perduto oltre al potere temporale anche quello spirituale.

È un fatto che su di lui esercitarono una forte impressione negativa le tristi notizie che giungevano ad Avignone dall'Italia; il vicario pontificio Philippe de Cabassoles, vescovo cardinale di Sabina, non aveva la sagacia e la fermezza di un Albornoz. Appariva inconcludente il suo operato in seno ad uno Stato che improvvisamente dal 1375, su istigazione di Bernabò Visconti, registrò rivolte in quasi tutte le città, a dimostrazione di quanto fosse dispotica e improduttiva l'amministrazione pontificia. Solo Roma si tenne fuori dalla ribellione; Firenze peraltro era scatenata.

Gregorio XI mise in atto energici provvedimenti; nel marzo 1376 lanciò l'interdetto sulla città, scomunicando tutti i Fiorentini. Inoltre assoldò circa 10.000 mercenari bretoni agli ordini del capitano Jean de Malestroit, accampati presso Avignone, e li spedì in Italia al seguito del suo nuovo legato, il cardinale Robert dei conti del Genevois, il futuro antipapa Clemente VII. Questi era un sanguinario, un uomo senza scrupoli, e la sua missione doveva esser quella di annientare ogni rivolta dal Bolognese in giù per preparare al papa un ritorno "tranquillo" verso Roma.

Di fronte ai pericoli che minacciavano principalmente il suo prosperoso commercio, Firenze decise di inviare ad Avignone come ambasciatrice la domenicana Caterina da Siena, personalità di grande prestigio, destinata a proseguire idealmente la missione di Brigida di Svezia. Fu ricevuta dal papa il 18 giugno 1376 ed ebbe con lui una serie di colloqui per i quali fece da interprete il suo confessore, frate Raimondo da Capua, che traduceva in latino il senese di quella donna straordinaria, destinata a diventare una popolarissima santa della Chiesa.

A quanto attestano le numerose lettere che Caterina inviò al papa in diversi tempi, mettendo a nudo la realtà delle cose, in virtù di una "provvidenziale" illuminazione, chiamava Gregorio XI "babbo mio dolce", termine toscano tutto familiare ma allo stesso tempo rispettoso, al quale sapeva accompagnare fermezza e passione nel reclamare il ritorno del papa a Roma ("Su virilmente!... Dovete venire!") e nell'invocare misericordia e clemenza a imitazione di Cristo, "come vicario suo" nei confronti dei sudditi ribelli perché, gli faceva notare, "non ci vedo altro modo né altro rimedio a riavere le vostre pecorelle".

Ma le sue premure nei confronti di Firenze naufragarono perché in quegli stessi giorni un'altra legazione fiorentina inasprì le trattative per arrivare ad un accordo. "Seppure l'opera di Caterina come intermediaria di pace fallì nel caso specifico, il suo successo sotto altri aspetti fu immenso", le riconosce il Seppelt, "poiché si deve appunto alle instancabili rimostranze di questa benedetta e volenterosa donna, esposte al papa con la stessa inaudita franchezza con la quale ella spingeva il papa alla riforma del clero, per iscritto e a voce, se Gregorio XI, nonostante tutte le contrarietà e resistenze, si decise al ritorno a Roma, fino allora sempre nuovamente procrastinato." è un fatto che altri tendono a sminuire la portata delle sollecitazioni di Caterina; le motivazioni del ritorno sarebbero state di natura esclusivamente politica, a memoria della profezia di Brigida. D'altronde, come nota ancora il Seppelt, "il trasferimento della Chiesa nella città del principe degli apostoli era imposto dal momento, se non si voleva il tracollo definitivo della potenza papale".

Il 13 settembre 1376 Gregorio XI lasciava Avignone; a quanto pare, il cavallo da lui montato non obbediva al comando di muoversi, quasi a rifiutarsi di portarlo, e subito l'incidente fu interpretato negativamente. Il duca d'Angiò era stato spedito in gran fretta dal re di Francia, suo fratello, per dissuadere il papa; la madre e le quattro sorelle piangevano vicino al vecchio padre, il conte di Beaufort, che, disteso davanti alla soglia del palazzo, cercava di sbarrargli l'uscita. Gregorio lo scavalcò e ogni estremo tentativo fu vano. Sei cardinali francesi rimasero nel palazzo di Avignone, custodi della base d'appoggio del futuro scisma d'Occidente.

Da Marsiglia il papa arrivò per mare a Genova, dove l'accolse Caterina, e questa volta la sua voce fu determinante, perché improvvisamente Gregorio sembrava tornare sui suoi passi. S'imbarcò di nuovo e il 6 novembre era a Pisa e da lì il 5 dicembre a Corneto, dove la Curia sostò più di un mese prima di concludere i negoziati con i Romani per il riconoscimento della sovranità pontificia nella città. La situazione infatti in tutto lo Stato della Chiesa seguitava ad essere caotica e le stesse truppe mercenarie bretoni non erano riuscite a ristabilire l'ordine se non in alcune zone. In questo clima rovente Gregorio XI il 17 gennaio 1377 faceva il suo solenne ingresso a Roma, prendendo residenza in Vaticano, dove già si era stabilito il predecessore Urbano V per quel breve periodo che era tornato nella sede di Pietro; da allora il Vaticano avrebbe sostituito il Laterano.

La ribellione all'interno dello Stato pontificio assunse toni sempre più drammatici; infatti, come riconosce lo stesso Castiglioni, "troppo inveterati erano gli abusi e i disordini perché tutto ritornasse tranquillo in un momento". Naufragarono le ulteriori trattative con Firenze e il cardinale Robert, vagando con i suoi mercenari da un territorio all'altro, decise di testa sua di dare una lezione esemplare per tutti i rivoltosi, quando gli abitanti di Cesena, spinti dalla disperazione per le oppressioni della guarnigione bretone, si sollevarono nel febbraio uccidendone gran parte. Il vicario ordinò una sanguinosa vendetta e fu una carneficina di quattromila Cesenati; un'azione che gli valse il titolo di "Boia di Cesena".

Anche a Roma la situazione si inasprì e Gregorio riparò ad Anagni; sarebbe potuto tornare nella propria sede solo a novembre, quando, sotto la reggenza di Gomez Albornoz, fu riconosciuta di nuovo la sovranità pontificia. Un cambiamento sostanziale si ebbe però solo grazie al raggiungimento della pace con Bologna e il passaggio al servizio di Gregorio del capitano dei Fiorentini, Rodolfo da Varano. Nel marzo 1378 si arrivò infine ad un vero e proprio congresso dei vari rappresentanti delle città pontificie a Sarzana, sotto la presidenza di Bernabò Visconti, con lo scopo di rimettere ordine nello Stato della Chiesa; rappresentavano il papa un cardinale e due arcivescovi, ma le trattative furono interrotte per l'improvvisa morte di Gregorio il 27 marzo 1378.

Otto giorni prima, malato e cosciente di essere prossimo alla fine, di fronte ai numerosi contrasti esistenti in seno al collegio, emanò una bolla che facilitasse la rapida elezione di un successore; in essa si autorizzavano i cardinali presenti a Roma a procedere all'elezione del pontefice senza aspettare gli assenti, nel più breve tempo possibile.

Gregorio XI fu sepolto a S. Francesca Romana al Foro; nel 1584 dal popolo romano gli fu eretto nella chiesa un monumento in ringraziamento per aver riportato la sede da Avignone a Roma, come attesta il bassorilievo raffigurante appunto il ritorno del papa con S. Caterina, tra porta S. Paolo dalle mura cadenti e Minerva, simbolo della città.