Il conclave
Il conclave che doveva eleggere il successore di Gregorio XVI si era
riunito il 14 giugno 1846 al Quirinale. Malgrado la maggioranza dei cardinali
fosse di tendenza reazionaria, dato il momento di estrema gravità, vinse
l'opinione di quanti volevano eletto un uomo nuovo, che non fosse compromesso
con le reazioni del pontificato precedente. Si ebbero così solo quattro
scrutini, e tra il Gizzi, appoggiato da pochi liberali, e il Lambruschini,
segretario di Stato di Gregorio XVI e fautore di una rigida intransigenza, il
16 giugno la spuntò Giovanni Maria Mastai Ferretti, noto per il suo spirito
moderato.
Vita
Nato a Senigallia, presso Ancona, il 13 maggio 1792 da una famiglia appartenente alla piccola nobiltà di provincia, Mastai Ferretti
aveva
studiato presso gli Scolopi a Volterra, ma era tornato poi a casa per disturbi
nervosi di natura epilettica da cui guarì definitivamente verso i trent'anni.
Già dal 1814 era venuto a Roma presso suo zio monsignore; cinque anni dopo era
ordinato sacerdote e gli veniva affidata la direzione dell'orfanotrofio romano
di «Tata Giovanni». Dal 1823 al 1825 era in Cile come uditore del legato
pontificio; al ritorno andava a dirigere l'ospizio romano di S. Michele. Ma la
sua grande carica apostolica gli procurava la nomina di arcivescovo di Spoleto
e successivamente di Imola; nel 1840 Gregorio XVI lo creava cardinale. Il 21
giugno veniva consacrato papa in S. Pietro e assumeva il nome di Pio IX.
Papa
Il suo passato parlava principalmente di profondo zelo
religioso, sorretto da un'intensa pietà, senza alcun particolare impegno
politico; l'asilo offerto a Spoleto a Carlo Luigi Napoleone rientrava nello spirito di carità e non mostrava sottintesi politici. Eppure la crisi spaventosa
in cui si trovava lo Stato pontificio spinse Pio IX, suo malgrado, sulla via
delle riforme; e tutto cominciò con una misura di normale amministrazione, già
attuata da altri papi all'inizio del loro pontificato; l'amnistia ai
condannati politici concessa il 16 luglio.
Fu un delirio di entusiasmo e, come scrive il Candeloro,
«appena i manifesti con l'editto di amnistia furono affissi per le vie di Roma,
gruppi di cittadini cominciarono a dirigersi verso il Quirinale per esprimere a
Pio IX la gratitudine generale. Alle nove di sera un'immensa moltitudine
gremiva la piazza agitando migliaia di fiaccole... Nei giorni successivi le
dimostrazioni si rinnovarono con crescente intensità... Così, tra luminarie e
fiaccolate, cortei e dimostrazioni, inni ed acclamazioni, nasceva il mito di
Pio IX, papa liberatore e rinnovatore... Ma le feste e le acclamazioni, che non
accennavano a cessare, esprimevano, via via che i giorni passavano, non più
soltanto soddisfazione per quello che il papa aveva fatto, ma anche e
soprattutto per il desiderio che egli ponesse rapidamente mano alle sospirate
riforme».
E
vennero così queste riforme, modeste, «strappate dalla piazza più che elargite
spontaneamente dall'alto, attuate con lentezza e fra mille ripensamenti, che
non affrontavano i problemi di fondo», precisa il Martina. In questo procedere
a rilento e senza in pratica un particolare entusiasmo vedeva insomma giusto
il Belli:
Pe bono è bono assai; ma er troppo è ttroppo;
E accusì, tra l'ancudine e'r martello,
Se lassa perzuade a annà berbello
E quer c'ha da fà pprima a ffallo doppo.
Si ebbe una limitata libertà di stampa, un consiglio dei ministri, una
Consulta di Stato che non aveva potere legislativo, finché il 14 marzo del '48,
con il radicale cambiamento della situazione italiana, Pio IX arrivò a
concedere la costituzione. Era «il tentativo estremo di salvare il potere
temporale trasformandolo in uno Stato costituzionale», come nota il Martina,
ricordando che il provvedimento fu salutato dal Mamiani «come benefico e
necessario, perché liberava il papa da ogni responsabilità politica e gli
permetteva di vivere "nella serena pace dei dogmi... (dove) prega benedice
e perdona"». Ma non era una costituzione apertamente rinnovatrice, era un
compromesso; Pio IX in realtà non aveva alcuna intenzione di trasformare
radicalmente lo Stato pontificio. Si era solo fatto trasportare
dall'eccitazione patriottica del momento: una frase ambigua pronunciata il 10
febbraio («Gran Dio benedite l'Italia!») e il permesso concesso ai volontari e
ad alcune truppe regolari di partire per il nord ed unirsi all'esercito
piemontese contro l'Austria, facilmente avevano determinato l'equivoco.
Ma il 29 aprile l'equivoco è chiarito: Pio
IX pronuncia un'allocuzione in cui esprime in termini inequivocabili il
rifiuto di partecipare alla guerra; il vicario «di Colui che è autore di pace»
abbraccia «tutte le genti... con pari studio di paterno amore». Il mito del
papa liberale cade e di riflesso nasce quello del papa traditore: Pio IX cerca
di placare la piazza chiamando al governo Terenzio Marniani, ma il contrasto
di fondo affiora. Il papa non vuol fare da semplice comparsa, si sente
declassato nel rango di sovrano costituzionale; con il nuovo governo presieduto
da Fabbri, non c'è storia. Arriva il turno di Pellegrino Rossi, che finisce
assassinato il 15 novembre; è l'inizio della rivoluzione con il nuovo governo
presieduto da monsignor Muzzarelli. Ma Pio IX fa concessioni solo per prendere
tempo e preparare la fuga; la sera del 24 novembre, vestito da semplice prete,
scappa da Roma e si rifugia a Gaeta. Ferdinando II gli offre protezione e
ospitalità.
Roma dal 9
febbraio del 1849 vive il sogno di una rinnovata repubblica, decretando la
fine del potere temporale dei papi. Com'è noto non durerà più di cinque mesi; i
triumviri Mazzini, Saffi e Armellini, Garibaldi con la moglie Anita, e poi
Mameli e Manara trovano giorni di gloria in una Roma laica. Il 3 luglio i
Francesi del generale Oudinot prendono possesso della città; da Gaeta il 12
settembre il papa concede qualche amnistia prima di tornare, ma abroga la
costituzione. Lo assiste nell'opera di restaurazione il cardinale Antonelli,
nominato pro segretario di Stato; il 12 aprile 1850 rientra a Roma. Non c'è
entusiasmo ovviamente da parte del popolo, ma il clima è all'insegna del
dignitoso rispetto.
La storia d'Italia comunque va avanti e Pio IX è destinato a
restare indietro, assistendo impotente alla perdita dei diritti ecclesiastici
dapprima nel regno di Sardegna, poi nella nazione intera; gli eventi
precipitano tra il '50 e il '61 e più lentamente fino al '70. Dalle leggi
Siccardi dell'aprile 1850 del governo piemontese di D'Azeglio, con la perdita
del diritto del foro ecclesiastico e di asilo, a quelle del maggio 1855 con il
Cavour, relative alla soppressione degli Ordini religiosi non dediti alla
predicazione e alla confisca dei beni, è la fase iniziale del concetto «libera
Chiesa in libero Stato», che non verrà mai accettato da Pio IX.
La Santa Sede lancia la
scomunica ai Piemontesi. L'Antonelli, promosso segretario di Stato dal 1851, è deciso a salvare l'autorità assoluta
del papa e manterrà questa posizione fino alla morte, che avverrà nel 1876:
«Dacché dobbiamo finire, meglio è scomparire quali siamo, con i grandi ideali e
con tutte le forme della nostra passata grandezza», seguiterà a ripetere nella
difesa della sua politica. E Pio IX lo seguirà, riservandosi la più assoluta
autonomia decisionale nei problemi di natura strettamente religiosa.
Così arrivano le annessioni al Piemonte delle legazioni
ribelli dell'Emilia e Romagna e il papa risponderà il 24 marzo 1860 con una
seconda scomunica al governo piemontese; poi l'esercito di Vittorio Emanuele
II varca i confini dello Stato della Chiesa, sconfigge i pochi volontari
pontifici del Lamoricière a Castelfidardo, e i plebisciti del 4-5 novembre 1860
decretano le ulteriori annessioni delle Marche e dell'Umbria a quello che ormai
è il regno d'Italia, proclamato ufficialmente il 17 marzo 1861. Infine il 27
marzo il Parlamento elegge Roma capitale d'Italia e due giorni dopo arriva la
terza scomunica, questa volta per il governo italiano.
Non c'è altra difesa da parte della Chiesa e inascoltate
restano le parole del Cavour che cerca di convincere Pio IX come
l'indipendenza della Chiesa si sarebbe raggiunta in modo più sicuro ed efficace
con la leale separazione tra i due poteri civile e religioso: «Santo Padre...
rinunziate e noi vi daremo quella libertà che avete invano chiesto da tre
secoli a tutte le grandi potenze cattoliche... Quello che voi non avete mai
potuto ottenere... noi veniamo ad offrirvelo in tutta la sua pienezza; noi
siamo pronti a proclamare in Italia questo gran principio: libera Chiesa in
libero Stato».
Ma «come avrebbe potuto il capo supremo del cattolicesimo
accettare, nell'ambito del suo piccolo regno, l'uguaglianza dei culti e tanti
altri aspetti della civiltà moderna?», si domanda giustamente Franco Molinari.
Pio IX «fu essenzialmente un homo religiosus» nella
cui ottica «restano le linee di forza del suo pontificato, che si possono
ricondurre ad una fede
profonda, ad un robusto senso del soprannaturale, al primato dello
spirituale sul politico».
Ciò spiega il dogma dell'Immacolata
Concezione, proclamato l’8
dicembre del 1854, e l'erezione in piazza di Spagna della colonna di marmo
cipollino sovrastata dalla statua della Madonna l’8 dicembre del 1856. E ancor
più spiega la pubblicazione contemporanea nel 1864, sempre l'8 dicembre, una
data cara a Pio IX, dell'enciclica Quanta cura e del
famoso Sillabo con la condanna di tutte le dottrine
anticattoliche del tempo, dal panteismo al naturalismo e al razionalismo, dal
socialismo e comunismo al liberalismo. Il tutto nella riaffermazione
dell'origine divina di Chiesa e Stato e nel ribadire definitivamente
l'impossibilità di una riconciliazione del romano pontefice «con il progresso,
con il liberalismo, con la società moderna».
È qui la chiave di quello che Zizola ha
definito «un pontificato apocalittico, senza sfumature e distinzioni, pronto a
condannare gli errori, incapace di discernere nel Manifesto di Marx nient'altro che disgregazione e anarchia, senza alcuna analisi della
questione sociale, anzi scettico sulle possibilità di raggiungere l'eguaglianza
economica e sociale, fautore dei poveri alla stanga in nome del Regno dei
Cieli».
Coronamento di tutto ciò è il Concilio Vaticano I, il
ventesimo ecumenico della storia della Chiesa, che si aprì l'8 dicembre del
1869; oltre a ribadire la condanna del pensiero moderno in tutte le sue forme
razionalistiche, esso proclamò l'autenticità della dottrina cattolica come
frutto di Rivelazione e Fede, e definì il primato e l'infallibilità del papa.
Su quest'ultimo punto non pochi furono i contrasti da superare; la definizione
del primato della giurisdizione papale su tutta la Chiesa si raggiunse solo il
18 luglio 1870 per quanto riguarda le solenni definizioni ex
cathedra concernenti dottrine relative alla fede e alla
morale.
E comunque la frase accreditata al papa, in una delle ultime
udienze, «La tradizione sono io!», con cui voleva sottolineare in modo fermo la
sua autorità e indipendenza dall'episcopato, è sintomatica dello stato di
eccitazione in cui l'assemblea arrivò infine a dare il suo placet.
Pasquino sull'argomento non frenò la lingua e
commentò la conclusione del Vaticano I così:
Il concilio è convocato,
i vescovi han decretato,
che infallibili due sono:
Moscatelli e Pio nono.
Ma per capire
l'ironia della «pasquinata», come spiega Sergio Delli, «occorre sapere che a
Viterbo funzionava una fabbrica di fiammiferi di un tal Moscatelli, sulla cui
scatoletta era stampato a gran carattere:
"Moscatelli-infallibili"». Comunque più feroce è la
telegrafica
I.N.R.I.
Io Non Riconosco Infallibilità.
E ancor più
perversa nella sua malignità appare infine la «pasquinata» trovata in S.
Pietro il 17 settembre 1870:
Santo Padre benedetto,
ci sarebbe un poveretto
che vorrebbe darvi in dono
questo ombrello. È poco buono,
ma non ho nulla di meglio.
Mi direte: «A che mi vale?».
Tuona il nembo, Santo Veglio;
e se cade il temporale?
Tre giorni dopo infatti fu la breccia di porta Pia; il 20
ottobre il concilio venne sospeso a tempo indeterminato. A quel punto è
probabile che per Pio IX l'avvenimento non rappresentò più un dramma, «non lo
piombò nell'angoscia e nella disperazione», secondo le parole di Franco
Molinari che confina «nel novero della leggenda» quanto raccontato da Giulio
Andreotti in un suo o, e cioè che il papa abbia trascorso la fatidica notte del
20 settembre «componendo sciarade e motti di spirito. Ma se la notizia non è
vera è ben inventata. Rende infatti a meraviglia l'ottimismo di fondo e la fede
provvidenziale, che sostennero il travagliato pontefice anche nei periodi più
bui della sua vicenda».
Da
anni semmai Pio IX poteva aver trovato il divago allo stato d'assedio in cui
viveva il suo ormai piccolo regno risolvendo sciarade e lasciandosi andare a
battute di spirito. Per l'impresa garibaldina dell'ottobre/novembre 1867
c'erano gli chassepot; per villa Glori e i fratelli
Cairoli bastava l'Antonelli con le poche truppe pontificie rimaste; contro
eventuali altri colpi di mano Napoleone III era una garanzia con il suo corpo
di spedizione perfettamente equipaggiato. Il papa aveva le sue incombenze
religiose, giustamente, e proprio nel 1867 aveva celebrato con un giubileo
straordinario il XVIII centenario del martirio dei principi degli apostoli
Pietro e Paolo tra più di 10.000 pellegrini accorsi a Roma, nonostante i tempi
di guerriglia. «L'uomo di fede» incrollabile riceveva dimostrazioni di omaggio
e devozione; come ha osservato il Molinari, è questa in definitiva la
caratteristica e la grandezza di un papa altrettanto miope nelle prospettive
storico-politiche quanto profondo nella visuale soprannaturale dell'umana
avventura».
Ma proprio in nome di questa grandezza religiosa però il 24
novembre 1868 sarebbero saliti sul patibolo gli ultimi condannati a morte del
regime temporale, Monti e
Tognetti, con il secco rifiuto di Pio IX di concedere
la grazia, nonostante l'intervento in loro favore di Vittorio Emanuele II. E
sulla decapitazione dei due patrioti così infatti si esprimeva Pasquino:
Come la pianta della fede langue,
se con gran cura il prete non l'innaffia
di lacrime e di sangue!
Sciarade e
martiri religiosi o meno a parte, in tutti questi frangenti Pio IX aveva
trovato anche il tempo per dedicarsi a quelle che sarebbero state le ultime
opere edilizie della Roma papalina; la rinnovata basilica di S. Paolo, la
stazione Termini e l'acquedotto Pio-Marcio con la relativa fontana; costituita
da un semplice bacino rotondo al livello del suolo e inaugurata solo dieci
giorni prima della breccia di porta Pia, essa si trovava nel luogo attualmente
occupato dal monumento ai caduti di Dogali, e solo nel 1885 il governo italiano
avrebbe provveduto a spostarla nella piazza dell'Esedra e così sarebbero poi
venute anche le «impudiche Naiadi».
E arrivò dunque la fine della Roma papalina. L’1 novembre 1870
Pio IX lanciava l'ennesima scomunica contro i responsabili della presa della
«sua» città e il 16 maggio dell'anno dopo respingeva con l'enciclica Ubi nos la legge delle guarentigie, rifiutando qualsiasi
indennità e confidando nell'appoggio dei fedeli espresso nell'«Obolo di S. Pietro».
Compare allora nella terminologia della Sacra Penitenzieria l'espressione
«Non Expedit» per la partecipazione dei cattolici
alle elezioni politiche; non viene riconosciuto il Regno d'Italia e la
scomunica è rinnovata.
Fu proclamato il giubileo nel
1875, ma l'apertura della
porta Santa nelle quattro basiliche di Roma, non più papalina, non avvenne; fu
un anno Santo a porte chiuse, eppure si ebbe un certo afflusso di pellegrini.
Era un atto di protesta.
E
«le proteste continuarono negli anni seguenti», come ricorda il Martina,
«soprattutto nei discorsi ai pellegrini in Vaticano, pieni di amarezza e di
pessimistica previsione sul futuro della nuova Italia, che mostravano un
pontefice ormai incapace di cogliere il significato storico degli eventi di
cui era stato vittima, e adagiato in una fiducia miracolistica nella
Provvidenza che avrebbe in un modo o nell'altro assicurato il trionfo della
Chiesa».
I fatti evidentemente l'avrebbero smentito; l'ultima amarezza
gli venne dalla Germania del Bismarck con il Kulturkampf.
Nella «battaglia per la civiltà» contro pregiudizi e superstizioni la Chiesa
cattolica fu travolta da una serie di leggi emanate tra il 1873 e il 1875 che
le sottrassero il controllo dell'istruzione, resero obbligatorio il matrimonio
civile, stabilirono lo scioglimento di congregazioni religiose e l'espulsione
dei Gesuiti. Nel 1876 moriva il cardinale Antonelli; il nuovo segretario di
Stato, il cardinale Simeoni, non avrebbe fatto storia nello svolgimento della
normale amministrazione. Il vecchio papa, pur sempre lucido, capiva che la
Chiesa avrebbe dovuto adeguarsi; ma non poteva venire certo da lui un mutamento
di rotta. Attendeva il cambio della guardia: «Tutto è cambiato attorno a me, il
mio sistema e la mia politica hanno fatto il loro tempo, ma io sono troppo vecchio
per mutare indirizzo; sarà l'opera del mio successore».
Pio IX morì in Vaticano il 7 febbraio
1878; la sua salma, provvisoriamente deposta nella basilica Vaticana, tre anni
dopo fu tumulata in S. Lorenzo fuori le Mura. Ma il trasporto subì l'estremo
oltraggio degli anticlericali, perlopiù massoni, che avevano organizzato una
dimostrazione nel tentativo di buttare nel Tevere quella che chiamavano la
«carogna» di Pio IX. Il trasporto avvenne a notte inoltrata, il 12 luglio 1881,
e non ci fu un'adeguata protezione della polizia al corteo funebre,
specialmente presso il ponte Sant' Angelo; per tutto il resto del percorso fino
al Verano piovvero insulti e sassi sugli ecclesiastici e i laici cattolici
asserragliati intorno al feretro. La salma poté infine essere sepolta
nell'arca di pietra nuda, secondo le ultime volontà del pontefice, senza alcun
monumento funebre, con incise le sole parole: Ossa et cineres Pii
Papae IX.
Ossa et cineres PII PAPAE IX
in San Lorenzo fuori le Mura, a Roma
Encicliche di Pio IX
Pontificato a due tempi: dall'esordio riformista
al
conservatorismo reazionario
In vita, in morte o in beatitudine Giovanni Mastai Ferretti continua
ad essere oggetto di accese esaltazioni e di odi profondi. Tra il 1846 e il
1848 incarnò le prime speranze risorgimentali, ma alla storia è passato come
irriducibile avversario dello stato unitario. Glorificato come "Uomo di
Dio" dalla Chiesa, denigrato con toni accesissimi da laici e repubblicani,
oggi nel suo nome gli italiani continuano a dividersi tra guelfi e ghibellini.
da un articolo di ALESSANDRO FRIGERIO
Discendente di famiglie di antica stirpe - i Mastai appartenevano alla nobiltà cremonese,
mentre i Ferretti erano conti di Ancona - Giovanni Maria Mastai Ferretti fu il
nono figlio del Conte Girolamo e di Caterina Sollazzi. Nacque a Senigallia il
13 maggio 1792 e venne battezzato lo stesso giorno della nascita. Compì gli
studi classici nel Collegio dei Nobili a Volterra, diretto dagli Scolopi, ma
dal 1803 al 1808, proprio quando sembrava aver ormai deciso di seguire la
carriera ecclesiastica, dovette sospendere gli studi a causa di improvvisi
attacchi epilettici.
Dal 1814 fu ospite a Roma dello zio Paolino Mastai Ferretti, Canonico di San
Pietro, e qui poté proseguire gli studi di Filosofia e di Teologia presso il
Collegio Romano. Nel 1815 si recò in pellegrinaggio a Loreto dove ottenne
miracolosamente la guarigione dalla malattia. Poté quindi continuare i suoi
studi e prepararsi al presbiterato. Nel 1817 ricevette gli Ordini Minori,
l'anno successivo il Suddiaconato e il 10 aprile 1819 venne ordinato Sacerdote.
Dal luglio 1823 al giugno 1825 fu tra i membri componenti la Missione
apostolica in Cile, guidata da Monsignor Giovanni Muzi. A soli 35 anni, il 24
aprile 1827, fu nominato Arcivescovo di Spoleto. Il 6 dicembre 1832 venne
trasferito al Vescovado di Imola. Il 14 dicembre 1840 ricevette la berretta
Cardinalizia. Il 16 giugno 1846, al quarto scrutinio, con 36 voti su 50
Cardinali presenti al Conclave, venne eletto Pontefice a soli 54 anni. Di lui
si sapeva solo che aveva fama di moderato riformista. Ma nel clima di grande
aspettativa di quegli anni tanto bastò a farne un idolo per molti italiani.
L'elezione di Pio IX suscitò un'atmosfera di entusiasmo popolare mai provata
nei confronti di nessun altro Papa. I patrioti italiani lo acclamarono fin da
subito, la folla romana pure. Il 19 luglio 1846, mentre rientrava a palazzo
dopo una cerimonia, il popolo stacco i cavalli dalla carrozza papale e la
trascinò a forza di braccia fino al Quirinale, tra grida di tripudio e una
pioggia di fiori.
Sconfitto in conclave un osso duro come il cardinale Lambruschini, sinceramente
avverso alle riforme e al liberalismo, dal giugno 1846 all'aprile del 1848
Mastai Ferretti sembrò incarnare quell'ideale neoguelfo ritenuto utopistico dal
suo stesso teorico, il sacerdote Vincenzo Gioberti.
Personaggio dal temperamento un po' nervoso, ma di modi bonari e spiritosi, Pio
IX un mese dopo l'elezione concesse un'amnistia generale per i reati politici.
Nei venti mesi successivi fu artefice di alcune grandi riforme dello Stato
Pontificio: l'istituzione di un Ministero liberale, la concessione di una
seppur limitata libertà di stampa, l'istituzione di una Consulta di Stato e di
una Guardia Civica, l'abolizione delle discriminazioni contro il ghetto
ebraico. Sotto il suo pontificato nello Stato Pontificio si diede il via alla
costruzione della ferrovia e alla bonifica delle paludi di Ostia e dell'Agro
Pontino. Infine, nel 1848 concesse la Costituzione e consentì al suo esercito
di partecipare alle fasi iniziali della prima guerra d'indipendenza contro
l'Austria.
Anche Giuseppe Mazzini non rimase immune a quell'entusiasmo: nel 1847 scrisse
al Papa una famosa lettera per esortarlo a prendere la guida del movimento per
l'unità e l'indipendenza d'Italia.
Giuseppe Montanelli così descrive
l'infatuazione neoguelfa dopo le prime "rivoluzionarie" aperture politiche
di Pio IX: "L'utopia del papato rigeneratore mi schiudeva innanzi
mirabile prospettiva, in cui tutti gli affetti di patria, di democrazia, di
religione si sentivano copiosamente appagati. Italiano, vedevo finalmente le
membra sparte della mia nazione riunite in un sol corpo, e l'anima di questo
corpo a Roma, e capo d'Italia il capo di tutta la cristianità".
Tuttavia, ottenuta udienza alla fine del 1847, doveva già in parte
ricredersi in merito alla saldezza dei propositi di Pio IX. Il pontefice
aveva.... "l'occhio spento, la voce senza vibrazione affettuosa, il
discorso più a ironia che a pietà sdrucciolevole […] ora mi appariva un prete
di buona intenzione, più nervoso che amante, sbalzato in un mondo nel quale non
si raccapezzava, furbetto, alla mano, contento di essere amato, e disposto a
lasciarsi andare agli ambiti plausi popolari, più che ai consigli dei
cardinali".
Montanelli, allora nella sua fase neoguelfa e democratica, in seguito si sarebbe
spostato su posizioni socialiste e federaliste. Tuttavia, anche dopo il
fallimento della prima guerra d'indipendenza cui prese parte come comandante
dei volontari pisani, volle salvare ugualmente quello scoppio di fervore
papale perché nel nome di Pio IX si creò un primo embrione di coscienza
nazionale. "Errammo, e nondimeno sia benedetto quell'errore; poiché,
senza il 'Viva Pio IX', chissà quando le moltitudini italiane si sarebbero per
la prima volta agitate nell'entusiasmo della vita nazionale, della quale, o
volere o non volere, serbano oggi scolpita in mente l'immagine che, più presto
o più tardi, sarà generatrice del fatto".
Giorgio Candeloro, storico immune da simpatie clericali, nella
sua monumentale "Storia dell'Italia moderna" ha scritto che "se è un
errore considerarlo un patriota e un liberale e quindi definire un tradimento
l'atteggiamento che assunse poi nel '48 nei riguardi della causa italiana,
neppure si deve considerarlo estraneo o addirittura ostile, fin dal primo anno
di pontificato, alle idee liberali moderate. In realtà […] le idee liberali e
neoguelfe erano penetrate nel clero e anche nella prelatura; […] era logico
perciò che il nuovo papa inclinasse al moderatismo e al neoguelfismo, sia per
tendenza personale, sia per l'influenza esercitata su di lui da alcuni suoi
consiglieri".
Il fatto è che i primi anni di pontificato di Mastai Ferretti si svolsero in un
clima di grandi disorientamento e attesa: la Chiesa, soprattutto con il
pontificato di Papa Gregorio XVI (1831-1846), si era rafforzata nella
convinzione che i sommovimenti politici e militari che andavano scotendo
l'Europa e l'Italia non costituivano semplicemente la risposta a richieste
d'indipendenza e di libertà, ma sottendevano una precisa volontà di scristianizzare
popolazioni abituate da sempre a vedere nella religione e nelle tradizioni
locali i caratteri costitutivi della propria civiltà.
Incline al moderatismo ma figlio del potere temporale e del tradizionalismo
religioso, Pio IX nel 1848 assumerà atteggiamenti equivoci che lo faranno in
seguito passare alla storia come il "traditore" della causa
risorgimentale.
Equivoci e malintesi che toccarono il culmine con il famoso proclama del
10 febbraio 1848. Interpretato come un squillo di guerra dei popoli italiani
contro gli oppressori stranieri, si trattò invece di una invocazione alla pace
dello Stato Pontificio garantita, se fosse stato necessario, da armi straniere.
A fare chiarezza definitiva giunse l'allocuzione del 29 aprile con cui il Papa
- forse indotto dai gesuiti a scegliere una politica più tradizionalista o
forse per sfuggire ad una strumentalizzazione di parte liberale - dichiarò a
chiare lettere di voler abbandonare la causa italiana.
Ancora oggi gli storici si chiedono se questa data ha rappresentato un
"tradimento" del risorgimento italiano o il crollo di un mito creato
artificiosamente per un fine politico. Nelle correnti patriottiche dell'epoca
prevalse la prima ipotesi, ma non mancarono uomini che sostennero la seconda.
Come Carlo Cattaneo, il quale scrisse che "Pio IX fu fatto da altri e
si disfece da sé. Pio IX era una favola immaginata per insegnare al popolo una
verità. Pio IX era una poesia".
Una cosa è certa: al di là delle titubanze del personaggio,
era lo Stato Pontificio in sé ad essere incompatibile con le idee liberali,
soprattutto in merito alla lotta antigesuitica e alla guerra contro la
cattolica Austria. In breve, il moderatismo di Mastai Ferretti aveva limiti ben
precisi e invalicabili, oltre i quali né lui né un altro pontefice in quel
momento sarebbe potuto andare. Pena l'abbandono di una posizione ormai
insostenibile e una involuzione in senso reazionario.
E così fu. Papa Pio IX dovette assistere all'insurrezione che portò alla
costituzione della Repubblica Romana del 1848 - con
l'assassinio del ministro dell'interno Pellegrino Rossi - che lo costrinse
all'esilio di Gaeta. Ritornato a Roma nel 1850 diede vita a una vera e propria
restaurazione politica, alla quale fece seguire una intensa opera religiosa
(basti ricordare la definizione del dogma della Immacolata Concezione).
Nell'aprile del 1860 caddero le Legazioni, nel settembre le Marche e l'Umbria
furono annesse al Regno d'Italia.
vedi qui l'enciclica "Nullis Certe" del 19-1-1860
con la CONDANNA DELLE USURPAZIONI
Lo scontro con l'Italia giunse all'apice con la conquista di Roma e la fine
della sovranità temporale dei Papi. La resistenza del Papa - che ordinerà
agli zuavi un'opposizione formale allo scopo di evitare inutili spargimenti di
sangue, nonostante pochi giorni prima avesse mandato a dire a Vittorio Emanuele
II "che in Roma non entrerete" - rispondeva alla duplice
esigenza di garantire alla Chiesa gli spazi minimi necessari per esercitare il
suo ministero in piena libertà e alla volontà di difendere l'integrità e la
sacralità della città di Roma, patrimonio di tutta la cristianità.
Ma il contrasto di fondo tra il Papa e lo Stato unitario non era solo in merito
al potere temporale. Pio IX e Vittorio Emanuele II non erano due sovrani in
lotta per una conquista territoriale. Quel che divideva i due personaggi era un
profondo contrasto ideologico. Pio IX vedeva incarnato dal Regno d'Italia il
peggiore spirito del secolo, lo spirito che attingeva al razionalismo e
all'immanentismo, che faceva appello alla ragione contro la fede: in breve, il
lascito più consistente e duraturo della Rivoluzione Francese.
Nell'enciclica Quanta cura, del 1864, che conteneva in appendice il
famoso Sillabo degli errori del nostro tempo, il pontefice non lasciava
alcuno spazio al compromesso. Occorreva resistere, ammoniva: "alle
nefande macchinazioni di uomini iniqui, che schizzando come i frutti di
procelloso mare la spuma delle loro fallacie, e promettendo libertà mentre che
sono schiavi della corruzione, con le loro opinioni ingannevoli e coi loro
scritti dannosissimi, si sono sforzati di sconquassare le fondamenta della
cattolica religione e della civile società, di levare di mezzo ogni virtù e
giustizia, di depravare gli animi e le menti di tutti […] e massimamente la
gioventù inesperta e di guastarla miseramente, di attirarla nei lacci degli
errori, e per ultimo di strapparla dal seno della Chiesa cattolica".
Ma non è tutto. Nella stessa enciclica Pio IX stabiliva un legame tra le
dottrine laiche e liberali e il "funestissimo errore" del
comunismo e del socialismo, frutto di una uguale concezione della vita
immanentistica e razionalistica. Come ha notato Giovanni Spadolini, è singolare
"che il Papa condanni socialismo e comunismo non come dottrine
economiche e neppure politiche, ma come concezioni della famiglia, come visioni
della morale domestica antitetiche a quella cristiana, come strumento
""per ingannare e corrompere l'improvvida gioventù"",
staccandola dal dominio della Chiesa e subordinandola ai soli interessi della
vita sociale". Quel che la Chiesa non poteva tollerare era la libertà
di culto e il concetto di libera Chiesa in libero Stato. Continua Spadolini: "Nessuno
Stato può sopravvivere, nella visione del Papa, senza il conforto,
l'illuminazione e la guida della Chiesa, depositaria di una verità assoluta e
perenne".
Ulteriore elemento di acredine era poi l'interferenza dell'autorità laica nelle
cose religiose e l'appoggio dato dallo Stato alle associazioni di stampo
clerico-liberale. Anche la legge delle Guarentigie non smorzò i termini del
contrasto. "Che giova proclamare l'immunità della persona e della
residenza del Romano Pontefice -si chiedeva Pio IX - quando il governo
non ha la forza di guarentire dagli insulti giornalieri cui è esposta la nostra
autorità, e dalle offese in mille modi ripetute alla nostra stessa
persona?".
In effetti dopo Porta Pia il clima divenne vieppiù incandescente, e
all'integralismo cattolico andò opponendosi un integralismo laico altrettanto
intransigente. I circoli liberali ritenevano ogni tentativo di organizzazione
dei cattolici come una manovra contro la nazione, mentre ci fu chi si chiese se
fosse ancora lecito considerare i cattolici cittadini con pari diritti e doveri.
Garibaldi, che già aveva definito Pio IX "un metro cubo di letame",
suggerì nel 1873 che se "nessuna libertà vi deve essere per gli
assassini, i ladri, i lupi e i compagni: ebbene, i preti non sono forse più dei
lupi e degli assassini nocivi al nostro paese?".
(qui un altro proclama di GARIBALDI )
La fine traumatica del dominio temporale del papato e l'esplosione del
conflitto fra la Chiesa e il nuovo Stato unitario italiano, noto come Questione
Romana, assunse una gravità tale da produrre nel corpo sociale una
lacerazione che verrà risanata diplomaticamente e giuridicamente, ma non
culturalmente, solo nel 1929 con la stipulazione del Concordato e dei Patti
Lateranensi.
A Pio IX toccò di vivere questa lacerazione fino in fondo.
L'astio verso la sua persona continuò anche dopo la sua morte,
avvenuta il 7 febbraio 1878 nei Palazzi Vaticani, dai quali non era più uscito
dopo il 20 settembre 1870. Il 13 luglio 1881 durante il trasporto della salma
da San Pietro alla basilica di San Lorenzo per la sepoltura definitiva il
corteo fu assalito da dimostranti massonici. Il carro fu sospinto dai
facinorosi verso il parapetto del ponte Sant'Angelo al grido di "A
fiume il papa porco", con contorno di canzoni ingiuriose o patriottiche.
I cardinali del seguito sfuggirono a stento a una sassaiola e la salma giunse
al Verano solo a tarda notte.
Del processo di beatificazione di Pio IX si iniziò a parlare solo molti anni
dopo. Nel 1907 venne introdotta la causa di
beatificazione, che giunse a una fase decisiva negli anni '80. Con un decreto
del 6 luglio 1985, la Congregazione delle Cause dei Santi ha riconosciuto
l'eroicità delle virtù del Servo di Dio Papa Pio IX, al quale è attribuito il
titolo di Venerabile. È il primo passo sulla strada dell'elevazione di Giovanni
Maria Mastai Ferretti all'onore degli altari, avvenuta nel settembre di
quest'anno. "Come Sacerdote, come Vescovo e come Sommo Pontefice -
si legge nel decreto - il Servo di Dio, senza interruzione e in modo
continuo, apparve e fu veramente "Uomo di Dio"; uomo di preghiera
assidua, senz'altro desiderio che la gloria di Dio, il bene della Chiesa e la
salvezza delle anime; e non cercava niente altro se non compiere in tutte le
cose la volontà di Dio e a quella aderiva con tutta l'anima, per quanto grandi
fossero le sofferenze che doveva sopportare. Questo solo fu sempre la regola
principale della sua vita e della sua attività pastorale. Mirando solo a
questo, egli cercò di risolvere problemi talvolta difficilissimi che nel più
alto ministero pastorale non raramente fu costretto ad affrontare".
Per capire al meglio Pio IX e la sua opera sacerdotale, ha scritto lo storico
di matrice cattolica Roberto De Mattei, "occorre affrontare di petto il
nodo centrale del suo pontificato, ovvero il problema del rapporto tra società
e individuo, tra Chiesa e Stato o, in termini più pregnanti, tra politica e
morale. […] Si tratta di un problema che affonda le sue remote radici
nell'Italia rinascimentale, quando con Machiavelli, la politica si emancipa
dalla morale per farsi mera tecnica del potere e la ragion di Stato diviene il
criterio supremo degli uomini di governo. Cavour, che con cinica
spregiudicatezza utilizza ogni mezzo per perseguire il fine dell'unificazione
nazionale, personifica la concezione machiavellica della politica, fondata su
una radicale autonomia della politica dalla morale. Il conte piemontese è in
questo senso, come ha osservato Gramsci, non solo l'erede più coerente di
Machiavelli, ma il vero "giacobino d'Italia", legittimo precursore
dei "rivoluzionari di professione" del XX secolo che risolveranno,
secondo la nota formula di Lenin, la politica nella morale. La cultura italiana
post-risorgimentale, in nome della autonomia dalla morale, ribattezzata come
"laicità", continuò a perseguire un progetto di secolarizzazione,
descritto dallo stesso Gramsci come una "completa laicizzazione di tutta
la vita e di tutti i rapporti di costume", ovvero come "lo storicismo
assoluto, la mondanizzazione e terrestrità assoluta del pensiero, un umanesimo
assoluto della storia".
"A questa visione culturale - continua De Mattei -, egemone in
Italia dopo l'unità, Pio IX contrappose una "scelta religiosa" che
costituisce la chiave di lettura del suo pontificato. Egli combatté il processo
di secolarizzazione della società che negava ogni azione di Dio sull'uomo e sul
mondo e riconnettendosi ad una filosofia politica che attraverso Vico giunge a
Dante e a san Tommaso d’Aquino, considerò politica e morale, ordine temporale e
ordine spirituale, come realtà distinte ma non separate, cercando tra queste
due sfere un equilibrio che non ne intaccasse i princìpi. […] Egli considerò,
in tale prospettiva, il potere temporale come un mezzo ordinato al fine
supremo, soprannaturale della Chiesa, maestra di fede e di morale anche
nell'ordine civile e sociale".
Un altro storico di estrazione cattolica, Franco Cardini, ha ricordato invece
che “elevando Pio IX al rango di beato la Chiesa non ha avallato dal punto di vista storico e
politico nemmeno uno dei suoi atti di governo, il giudizio sui quali spetta,
appunto, alla storia. Essa ha semmai dato ragione al giudizio di uno studioso e
uomo politico laicista doc, Giovanni Spadolini, secondo il quale Pio IX fu uno
dei pontefici meno "politici" e più profondamente fedeli alla
missione spirituale della Chiesa che la storia del papato abbia mai conosciuto”.
Fatto sta che la recente beatificazione ha suscitato negli ambienti politici
italiani, soprattutto in quelli contrari, reazioni d'altri tempi. "Finalmente
l'integralismo cattolico esce dalle ambiguità e mostra la sua identità
profonda", così i repubblicani dell'Emilia-Romagna si sono espressi su
Pio IX, "distintosi a suo tempo per il dogma dell'infallibilità ed il
disinvolto utilizzo della ghigliottina.
Il Partito repubblicano emiliano-romagnolo, dopo aver evidenziato la nuova "ideologia
antirisorgimentale" di Comunione e liberazione, ha invitato tutti i
circoli repubblicani d'Italia a esporre le proprie bandiere listate a lutto nel
giorno della "beatificazione del capestro sacerdotale". "È
bene che i nostri avversari abbiano cominciato a far sventolare la loro
bandiera - scrivono gli esponenti regionali del Pri - perché sapremo
finalmente contro chi dobbiamo combattere. È un bene che la reazione sia
reazione, che si espliciti, che segni una demarcazione, che dica la verità. Ben
venga la beatificazione se serve a chiarire, se serve a indignare, se può
risvegliare un popolo che si è addormentato sugli allori della laicità
ufficiale di uno Stato che fino in fondo laico non lo è stato mai".
Ugualmente inviperiti i nipotini di Mazzini, capitanati dal presidente
dell'Associazione mazziniana romana: "La beatificazione di questo Papa
è un'offesa alla morale. Com'è possibile beatificare l'uomo che ha provocato la
morte di centinaia, forse migliaia, di persone? Lo considero un colpo
all'Italia". E alla replica di chi asserisce che la morale di quasi un
secolo e mezzo fa, fosse diversa dall'attuale risponde: "Poche storie!
L'idea dei diritti umani, la sacralità della persona, il diritto dei popoli a
disporre del proprio futuro non erano bagaglio d'uno sparuto gruppetto di
uomini di cultura. Si trattava di idee che muovevano le masse e ciò spaventava
enormemente Pio IX".
Un senatore Ds, per protesta, è andato a depositare una corona davanti alla
lapide affissa al portone delle carceri della Rocca di Forlì. La lapide,
infatti, è dedicata agli eroi garibaldini fatti fucilare proprio da Pio IX. "Il
mio gesto, ha affermato, vuol essere una risposta allo scempio che dal
palcoscenico del Meeting di Rimini si vuol far cadere sul nostro Risorgimento e
su quanti si sono battuti per l'unità d'Italia, primi fra tutti Giuseppe
Mazzini, Giuseppe Garibaldi e Camillo Benso di Cavour".
Più caute le reazioni di parte liberale, di quella parte, per intenderci, che
più litigò con Pio IX. La beatificazione, affermano gli eredi della tradizione
liberale cavouriana, non può essere considerata una scelta politica, perché è
intrinsecamente religiosa, anche se ha un significato culturale pure per i non
cattolici. Certo, il Sillabo conteneva anche affermazioni di rilievo non
religioso, ma politico, mentre il rapporto fra cattolici ed ebrei è stato
pienamente risolto solo con Giovanni Paolo II. Tuttavia, concludono i liberali
di oggi, la domanda che ritorna è: può un Papa antiliberale essere beato? Un
interrogativo che non compete e non riguarda i laici liberali.
Un deciso pollice verso contro Pio IX è giunto invece da parte della
Massoneria. La beatificazione ha suscitato "profonda inquietudine"
nel Gran Maestro del Grande Oriente d'Italia di Palazzo Giustiniani. "Questa
beatificazione innalza a simbolo etico universale un uomo tetragono ad ogni
forma di evoluzione e di progresso, tenacemente ostile al mondo moderno e per
di più espressione degli interessi solo temporali della Chiesa". E
continua: "Come massoni, come uomini liberi esprimiamo il nostro
profondo rammarico per questa inopinata esaltazione di un uomo-simbolo del
potere temporale, la cui beatificazione sembra preludere ad una svolta nella
politica di comprensione reciproca e di pur cauta apertura fino ad ora condotta
dalla volontà irriducibile di papa Wojtyla". "Tutto ciò -
conclude il Gran Maestro - pone un enorme interrogativo sulle effettive
finalità giubilari e sul magistero dell'attuale pontefice... Non può non
intravedersi un chiaro disegno tendente a riaffermare un antistorico primato
della Chiesa cattolica sull'imperium civile".
Perplessità sono state manifestate anche in ambito cattolico. Alcuni teologi
progressisti hanno accusato Giovanni Paolo II di far beato un Papa "assolutista"
e "antisemita". Contro si è pronunciato padre Giacomo Martina,
gesuita settantaseienne, professore di storia della Chiesa moderna
all'Università Gregoriana: "Questa beatificazione non mi pare la cosa
più opportuna. Nei primi anni del suo pontificato Pio IX aveva troppo confuso
la politica con la religione. In fondo era un emotivo che si era lasciato
trascinare dal '48".
E poi c'è il mondo ebraico. Il presidente dell'Unione delle comunità ebraiche
italiane ha voluto ricordare ciò che questo Papa è stato per gli italiani:
Dopo una prima fase, è stato duramente antinazionale e ha stabilito l'infallibilità
del Papa, principio preoccupante per gente come noi abituata a discutere e a
confrontarsi. Ma è stato anche il responsabile del caso Mortara (un
bambino ebreo di Bologna sottratto alla famiglia perché battezzato di nascosto
dalla domestica), che ha portato tanto dolore nelle nostre comunità.
Fin qui le polemiche per la beatificazione del 3 settembre, successivamente
riprese e alimentate in occasione della ricorrenza di Porta Pia. Sorprende
piuttosto che attorno alla controversa figura dell'ultimo Papa re, e al
principio di libera Chiesa in libero Stato, gli italiani tornino ancora una
volta a dividersi accanitamente in guelfi e ghibellini. La storia continua ad
essere il nostro futuro preferito.
Encicliche di Pio IX
Bibliografia
-Pio IX, di R. De Mattei - Ed. Piemme, 2000
-Il giovane Mastai. Il futuro di Pio IX dall'infanzia a Senigallia alla Roma della Restaurazione (1792-1827), di C. Falconi - Ed. Rusconi, 1981
-Il Pontificato di Pio IX (1846-1878), di R. Aubert, - Ed. Paoline, 1990
-Il Sillabo e dopo, di E. Rossi - Kaos Edizioni, 2000
-Il Sillabo e la politica dei cattolici, di G. Pepe - Ed. Dedalo, 1995
-L'opposizione cattolica, di G. Spadolini - Ed. Mondadori, 1994