254. GREGORIO XVI
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In breve
All'inizio del suo pontificato sentì il contraccolpo della rivoluzione di luglio in Francia, con le insurrezioni di Bologna, Pesaro, Urbino, Fano, Fossombrone, Sinigaglia e Osimo, che decretarono la fine del potere temporale dei Papi e proclamarono in Bologna lo Statuto costituzionale provvisorio delle province italiane. Ma le armi austriache e i Sanfedisti, a cui il papa ricorse, ristabilirono in breve il potere pontificio. Uomo colto (era un orientalista e un teologo), era però impari al suo compito di sovrano temporale: respinse infatti qualsiasi progetto di ammodernamento delle invecchiate strutture del suo Stato, seguendo una linea di intransigenza antiliberale che stimolò le opposizioni e provocò una serie di torbidi (moti di Romagna del 1843 e 1845, ecc.). Il suo pontificato fu caratterizzato dalla condanna del cattolicesimo liberale del Lamennais (enciclica Mirari vos, 1832) e delle dottrine del tedesco G. Hermes, sostenitore di un indirizzo teologico a base razionalista (breve del 26 settembre 1835), e da aspri contrasti con alcuni paesi europei (rottura delle relazioni diplomatiche con Spagna e Portogallo per la legislazione anticlericale dei governi di Maria Cristina e Maria da Gloria, 1835- 1840; frizione con la Prussia per la questione dei matrimoni misti; scontro con il governo russo, che mirava a riportare all'ortodossia la chiesa rutena greco-uniate). Gregorio XVI impresse un vivo impulso all'azione missionaria cattolica, specie nell'America del Nord e in Inghilterra. Ricostruì la basilica di S. Paolo fuori le Mura, fondò in Roma l'Orto botanico, il Museo etrusco e una Scuola di agricoltura. Nei giorni successivi alla morte di Pio VIII, a Roma alcuni bonapartisti con a capo Carlo Luigi Napoleone, il futuro Napoleone III, progettavano un'insurrezione; approfittando della "sede vacante", il colpo di mano mirava a Castel S. Angelo e altri punti strategici per instaurare nella città il centro di un ipotetico regno d'Italia da assegnare al "re di Roma", l'Aiglon. Ci fu un tradimento e la congiura, certamente non ben organizzata, fu scoperta l'11 dicembre 1830 e i principali cospiratori arrestati; Carlo Luigi Napoleone fu espulso da Roma e raggiunse a Firenze la madre e il fratello Luigi. In Conclave
La divisione tra i porporati era al solito tra i fautori di un'autonomia politica e quelli legati alle potenze straniere, in special modo l'Austria con la Sant' Alleanza, pronta a intervenire di sua iniziativa là dove i moti carbonari avessero incontrato sovrani incapaci. Il cardinale Albani fu ancora il portavoce austriaco, pronto a disporre il veto per i candidati non graditi al Metternich; ma la candidatura del cardinale Mauro Cappellari si profilò improvvisa e colse in contropiede l'Albani. Avute precise indicazioni da Vienna per un veto, dato che alla corte imperiale il Cappellari aveva addirittura fama di liberale, non fece a tempo ad evitarne l'elezione, che si ebbe il 2 febbraio 1831. Vita di Gregorio XVI
Papa
Quando il 12 febbraio i liberali tentarono di approfittare della con fusione determinata dal Carnevale nella sfilata del Corso per provocare un moto, il papa si mosse; il tumulto a piazza Colonna fu facilmente represso. I Trasteverini stessi si unirono alle milizie pontificie dandosi, come ricorda il Candeloro, a "vivaci dimostrazioni di affetto al nuovo papa". Uno di loro gli avrebbe anche detto: "Niente paura, Padre Santo, siamo qua noi". E lui "mostra li denti". Dal nord preme l'esercito austriaco, che non crede all'opera repressi va di Gregorio, occupa Ferrara e Bologna, sloggiandone il governo "pacifico" rivoluzionario; a Forlì muore Luigi Napoleone, mentre il fratello in fuga trova a Spoleto presso l'arcivescovo Giovanni Mastai Ferretti, il futuro Pio IX, un asilo che sarà ripagato nel 1849 abbattendo la repubblica romana e difendendo poi ad oltranza il potere temporale. Per gli altri, processi e condanne a morte e a vita, tutte commutate nelle pene dell'esilio. Gregorio XVI è papa da neanche un mese e non può infierire subito; ha mostrato "li denti", e tanto basta. È in linea con la tradizione che vuole all'inizio del pontificato magnanimità e amnistia proprio per accattivarsi l'anima del popolo. "Più o meno, la solita canzona", secondo le parole del Belli in un altro sonetto scritto proprio per l'elezione di questo papa, che così si chiude:Papa Grigorio, nun fà ppiù er cazzaccio: Svejete da dormì Ppapa portrone. San Pavolo t'ha dato lo spadone, E ssan Pietro du' chiave e un catenaccio? Dunque, atte, foco ar pezzo, arza quer braccio Su ttutte ste settacce buggiarone: Di' lo scongiuro tuo, faje er crocione, Serreje er paradiso a catenaccio. Mostra li denti, caccia fora l'oggne, Sfodera una scommunica papale Da fàIli inverminì com'e caroggne. Scommunica, per cristo e la madonna! E ttremeranno tutti tal'e quale Ch'er palazzo der prencipe Colonna. Ma ci voleva altro, ci volevano riforme a lungo termine; non si poteva ignorare la realtà della situazione. II 21 maggio 1831 i sovrani di Austria, Francia, Inghilterra, Prussia e Russia lo fecero notare al papa con un Memorandum, invitandolo espressamente a fare concessioni; ma Gregorio non li stette a sentire, perché era convinto che si trattava di pochi ribelli senza peso. Questo poteva anche essere vero, ma era fuori discussione che insistere su un sistema di governo retrivo avrebbe prodotto col tempo una crisi totale dell'agricoltura, dell'industria e del commercio in tutto lo Stato pontificio.Comincerà cor fà aridà li peggni, Cor rivotà le carcere de ladri, Cor manovrà li soliti congeggni. Eppoi, doppo tre o quattro sittimane, Sur fà de tutti l'antri Santi-Padri, Diventerà, Dio me perdoni, un cane. Ne è una conferma il fatto che il deficit del bilancio "si venne via via aggravando dal 1831 in poi", come precisa il Candeloro, e "per fronteggiarlo il governo ricorse ad un aumento della pressione fiscale, ma soprattutto ad un aumento del debito pubblico. Tra il '31 e il'46 il governo fu costretto a contrarre ben sette prestiti", cinque dei quali con la casa Rothschild di Parigi. Pasquino ci scherzava sopra: Ma è chiaro che con questa politica che comportava l'aumento di dazi e tassi i moti rivoluzionari nel 1832 ricominciarono e allora fu ufficialmente richiesto l'intervento dell'esercito austriaco, che soffocò nel sangue le rivolte nelle varie legazioni. L'Austria si era dovuta ricredere su quella fama di "liberale" accreditata al cardinale Cappellari. E la Francia, che non voleva il predominio incontrastato di Vienna sullo Stato pontificio, intervenne anche lei di sua iniziativa e Gregorio protestò. Ma furono parole al vento, perché i Francesi restarono ad Ancona fino al 1838 e finirono per essere d'incentivo ai liberali.Papa Gregorio è assai spreggiudicato, un omo de talento e pe la quale, che quasi te direi ch'è libberale, e si se tratta d'arricchì lo Stato lui nun ce fa er sufistico, perdio, pija cudrini puro da un giudio. II papa ricorse allora alla creazione di un corpo speciale di poliziotti detti "Comandanti" e "Centurioni", che costituivano una sorta di controspionaggio. Era il segno preciso di un'opposizione a qualsiasi mutamento politico; nell'enciclica del 15 agosto 1832 Mirari vos venivano condannate le libertà di coscienza, di stampa e di pensiero, riconosciute frutto "di una malvagità cinica, di una scienza spudorata, di una licenza senza confini". E quindici giorni dopo nella Sollicitudo ecclesiarum si ribadiva che i cristiani devono seguire la massima che insegna "di rendere obbedienza civile a chiunque detiene il principato". Da questa "costituzione" anticostituzionale, ovvero propria di un potere assoluto, non ci si poteva aspettare nulla di buono. Ci furono altri moti nel 1836, tutti sempre repressi dall'Austria, e il Bernetti, disgustato dall'ingerenza del Metternich, si dimise; venne sostituito con il cardinale Luigi Lambruschini, ma il cambio della guardia non mutò la situazione di fermento. A Roma fu scoperta una sezione della Giovine Italia, alla quale appartenevano anche tre frati agostiniani; a peggiorare la situazione arrivò anche il colera. Così tra le repressioni dei moti e l'epidemia i morti furono migliaia. Marforio e Pasquino commentavano amaramente: In tutti questi frangenti Gregorio XVI non dimenticò i suoi parenti che ebbero modo di arricchirsi, e a loro futura tutela si premunì anche nel testamento, esentandoli dal pagamento del diritto di successione dovuto all'erario pubblico sull'eredità. Naturalmente cercò di ricoprire questo nepotismo con una discreta cura delle opere pubbliche, come la rettifica del corso dell'Aniene, i lavori alla foce del Tevere e al porto di Civitavecchia, nonché il completamento del cimitero del Verano. E volle passare anche da mecenate, dando infine impulso agli scavi delle catacombe e del Foro Romano.MARFORIO Che silenzio, che pace! Pasquino, non è vero? A Roma tutto tace. PASQUINO Come in un cimitero. In fatto di istituzioni religiose finì per tirare in ballo la coscienza, contrariamente a quanto aveva detto nell'enciclica Mirari vos; abolì infatti l'uso indegno di affiggere fuori della chiesa di S. Bartolomeo all'Isola gli elenchi di coloro che non avessero fatto il precetto pasquale. A suo modo, appunto, voleva che il "pija' Pasqua", cioè l'obbligo per i fedeli di confessarsi e comunicarsi almeno una volta l'anno, restasse un fatto di coscienza personale, senza che la condotta di un qualunque cristiano inadempiente fosse messa "alla berlina". Metteva le mani avanti, perché avrà evidentemente pensato così anche di se stesso come "papa omo"; infatti - vox populi - aveva un'amante. Il pettegolezzo ce lo conferma Stendhal in una lettera al duca di Broglie del 1835; il pontefice "ama riposarsi in compagnia della moglie di Gaetanino. Questa donna, che può avere 36 anni, non è né bene né male. Gaetanino quattro anni fa non aveva niente e ora contratta immobili per 200.000 franchi". Gaetanino Moroni, già barbiere del frate Cappellari, poi cameriere privato del cardinale Cappellari, divenne Aiutante di Camera del papa Cappellari e si arricchì con una serie di imprese e vitalizi. La moglie si chiamava Clementina Verdesi, indicata come "puttana santissima" dal Belli, che così ricorda tutta la liaison d'Er papa orno, ovvero maschio: Chiacchiere. Ma.a parte la relazione con la Clementina, per la quale da buon cristiano, in ogni caso, se la sarà vista con la propria coscienza come chi non aveva "pijato Pasqua", Gregorio XVI faceva comunque il suo porco comodo come sovrano pontefice. E "in questo ambiente agitato e disorientato, in questo paese dove il malcontento per il governo era più diffuso che in qualunque altra parte d'Italia", annota il Candeloro, "in questo Stato governato da un papa ottantenne, la cui morte era da tutti attesa con un sentimento misto di speranze e di timori, il movimento moderato cominciò nel 1845 a svolgere una diretta azione di penetrazione per opera di Massimo D'Azeglio". Il suo libro Degli ultimi casi di Romagna screditava il governo pontificio, dal quale bisognava pretendere l'attuazione concreta di riforme; e si ebbe il Manifesto di Rimini redatto da Carlo Farini che conteneva richieste effettivamente moderate, che sarebbero state in gran parte accettate poi da Pio IX.A Ppalazzo der Papa c'è un giardino Co un boschetto e in ner bosco un padijone Pien de sofà a la turca e de portrone E de bottije de rosojo e vino. C'è ppoi ne le su' stanzie un cammerino Co una porta de dietro a un credenzone, Che mette a una scaletta, e in concrusione Corrisponne ar quartier de Ghitanino. Ghitanino è ammojato: la su' moje E una donna de garbo, assai divota Der Vicario de Dio che lega e scioje. Oh, nun vojo dì antro: e ho ffatto male Anzi a pparlà cusì dove se nota Oggni pelo e sse penza ar criminale. Ma al manifesto si accompagnarono rivolte armate nel settembre del 1845 che rendevano "più fiere le persecuzioni e nel tempo stesso confermavano una volta di più l'inettitudine del sacerdozio a reggere lo Stato moderno", avrebbe commentato il repubblicano Aurelio Saffi. Lo spirito rivoluzionario si allargava a macchia d'olio nello Stato pontificio e Gregorio XVI assisteva inerme alla crisi che attanagliava un potere temporale ormai in disfacimento e avallato dal malgoverno. Le idee del de Maistre e del Lamennais esaltanti la possibile funzione sociale del papato non erano per lui comprensibili; il neoguelfismo del Gioberti non avrebbe trovato mai in lui il papa ideale, anche se non fosse morto. E lentamente divorato dal cancro Gregorio XVI morì a Roma, l'1 giugno del 1846, "abbandonato da tutti nel letto pieno di merda", come dice con odio il Giordani, ma "santamente", secondo quanto ci assicura il Castiglioni. Fu sepolto in S. Pietro in un grande mausoleo, quanto malvisto si può ben capire dalle numerose "pasquinate" che circolarono a mo' di epitaffio. Fra di esse la più dura è senz'altro la seguente: Fu panettier, poi schiuma di convento; per supplizio de' buoni ebbe il Triregno. Pazzo, briaco, visitò il suo regno: n'ebbe ingiusti trionfi e rese vento. Profuse a pochi quel che tolse a cento; a lo sgherro, a la spia d'onor diè segno; una canaglia che ti move a sdegno della porpora elesse all'ornamento. Di leggi invece ei fe' parlar la scure; or fu nostro trastullo, or nostro smacco; aprì scuola di debiti e di usure. Novo Sardanapal, beato in trono, più che di Cristo adorator di Bacco, giacque, e ai nemici non lasciò perdono.
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