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PAOLO VI
Giovan Battista Montini

nato a Concesio (BG) il 26.IX.1897

Eletto papa il 21.VI
e consacrato il 30.VI.1963
Morto il 6.VIII.1978

Il conclave
C'era stato il "terremoto" nella Chiesa di Roma con papa Roncalli e trovargli un successore sarebbe stato difficile. La "linea giovannea" non poteva certo essere ignorata, con un concilio ecumenico lasciato a metà, ma d'altra parte la frangia conservatrice dei cardinali non voleva cedere al progresso ad oltranza e tanto meno all'improvvisazione; pretendeva un pontefice più previdente e metodico, capace in fondo di "sciogliere e legare" ovvero di barcamenarsi. "Pedro, adelante, con juicio", avrebbe dovuto essere il suo motto, emulo del Ferrer manzoniano. E un papa così lo trovò nella persona di Giovanni Battista Montini, arcivescovo di Milano;
Una successione difficilissima, perché Montini, uomo di curia, non possedeva la simpatia e il calore di quel "curato di campagna" che era papa Roncalli.
fu eletto al quarto scrutinio del 21 giugno 1963 e assunse il nome di Paolo VI, in onore dell'"apostolo delle genti". Voleva indicare in tal modo che era intenzionato a percorrere una via nuova e una più vasta programmazione della fede, nel dialogo con gli "uomini di buona volontà"; la "linea giovannea" sarebbe stata dunque in qualche modo proseguita.

Vita
Giovanni Battista Montini era nato il 26 settembre 1897 a Concesio, presso Brescia, da una famiglia borghese; il padre era stato deputato al parlamento per tre legislature e promotore del Movimento sociale cattolico. Aveva studiato dai Gesuiti e, entrato a vent'anni in seminario, a ventitré era già ordinato sacerdote; trasferitosi a Roma aveva frequentato i corsi della Gregoriana, ma nel 1923 monsignor Pizzardo, "sostituto" alla Segreteria di Stato, lo aveva inviato a Varsavia come assistente alla nunziatura apostolica. Tornato a Roma l'anno dopo, si laureò in diritto canonico entrando subito dopo nella Segreteria di Stato come "addetto" e poi "militante"; ma soprattutto rivolse la sua attività alla FUCI. Come assistente spirituale di quest'organizzazione universitaria cattolica conobbe allora quelli che sarebbero stati i futuri capi della Democrazia cristiana, come Scelba, Fanfani, Moro e Gonella; si astenne da qualsiasi collaborazione con la federazione universitaria fascista e mostrò in varie occasioni una personale avversione al regime, sia pure in forma molto diplomatica.
E la diplomazia poté senz'altro affinarla in seno alla Segreteria di Stato che dal 1933 lo impegnò a tempo pieno, dapprima come "sostituto" per gli Affari ecclesiastici e infine come prosegretario insieme a monsignor Tardini; fu un ventennio di collaborazione attiva con papa Pacelli, del quale finì per essere considerato il braccio destro nell'immediato dopoguerra. Eppure il suo spirito progressista non era ben visto in Vaticano, nonostante Pio XII seguitasse ad elogiarlo; del resto non arrivò neanche la porpora cardinalizia, per quanto il papa avesse precisato che sia Montini sia Tardini avessero chiesto "di poter esser dispensati da così altissima dignità". Ma per Montini venne la nomina all'arcivescovado di Milano nel novembre del 1954; un "esilio"? Si parlò principalmente di un dissidio tra i due prosegretari, ma indiscutibilmente monsignor Montini avrebbe voluto portare ancor più avanti le riforme liturgiche che papa Pacelli veniva concedendo; di qui la nuova nomina. E come arcivescovo, Montini compì grandi missioni in America e in Africa, mettendo così in mostra quella apertura moderna verso il mondo che si sarebbe affermata nei suoi viaggi da pontefice.

Ma morto Pio XII arrivò finalmente per lui la porpora cardinalizia nel dicembre del 1958; papa Roncalli lo conosceva bene, ne condivideva le idee, e quando annunciò nel 1959 il concilio ecumenico, il cardinal Montini s'impegnò a fondo nell'impostazione del Vaticano II. Giovanni XXIII trovò in lui un consigliere speciale, ma il cardinale cominciò nondimeno fin da allora a mostrare quelli che sarebbero stati i "limiti" della sua ottica conciliare. Proprio poco prima di partire per Roma e partecipare a quell'assemblea ecumenica, aveva prescritto la soppressione nella sua diocesi del quindicinale "Adesso", fondato da don Mazzolari; l'accusa era di "critica spregiudicata verso la gerarchia" in una concezione rivoluzionaria dell'autonomia dei laici. Dieci anni dopo non si sarebbe comportato diversamente nei confronti delle ACLI di Gabaglio, per la loro apertura socialista. Nel cardinale dunque c'era già tutto il papa.

Papa
1963 - Riapertura del Concilio
1964 - Pellegrinaggio del Papa in Palestina, ove incontra il Patriarca ecumenico Atenagora I. Enciclica sul dialogo Ecclesiam suam. Viaggio papale a Bombay
1965 - Quarta e ultima sessione del Concilio. Viaggio del Papa all'Onu. Istituzione del sinodo dei vescovi. Riforma del Sant'Uffizio. Solenne cerimonia in San Pietro per l'abrogazione delle scomuniche con la Chiesa Otodossa.
1967 - Riforma della Curia romana. Enciclica Populorum progressio. Enciclica Sacerdotali coelibatus. Primo Sinodo dei vescovi. Udienza del Papa a Podgorny, presidente del Soviet dell'URSS.
1968 - Enciclica Humanae vitae. Conferenza dei vescovi latinoamericani a Medellin. Nascita della "Teologia della liberazione".
1970 - Motu proprio Ingravescentem aetatem che esclude i cardinali ottantenni dall'elezione papale. Uduenza ai leader dei movimenti di liberazione africani.
1971 - Lettera Octogesima adveniens. Dissidenza del vescovo tradizionalista Marcel Lefebvre. Il cardinal Mindszenty rifiuta l'esilio volontario a Roma, è sollevato d'autorità dal papa dal governo della diocesi di Esztergom Budapest, ed accolto in Vaticano.
1974 - La chiesa perde il referendum sul divorzio in Italia.
1975 - Visita di Paolo VI alla sede del Consiglio Ecumenico delle Chiese a Ginevra. La Santa Sede firma l'Atto di Helsinki dopo aver avuto un ruolo attivo nella Conferenza per la Cooperazione e la Sicurezza in Europa. Istruzione post-sinodale Evangelii nuntiandi.
1976 - M. Lefebvre sospeso a divinis. Accordo Santa Sede-Spagna.
1977 - La Santa Sede presenta il documento La Santa Sede e il disarmo alle Nazioni Unite.
1978 - Lettera papale alle Brigate Rosse per la liberazione di Aldo Moro.
Il suo atteggiamento lo si capisce fin dal discorso dell'incoronazione pontificia, il 30 giugno 1963, nel quale sembra mettere le mani avanti per rassicurare i conservatori: "Difenderemo la Santa Chiesa dagli errori di dottrina e di costume". E il riformismo controllato si evidenzia in tutto il periodo del concilio, che egli riapre il 29 settembre di quello stesso anno; lo presiede preoccupandosi che la spinta progressista resti all'interno di un progetto in pratica moderato. I conservatori sono in minoranza, ma riescono a farsi sentire da lui e limitare la portata di provvedimenti che la maggioranza richiede; ad esempio, al terzo punto dello schema De ecclesia Paolo VI attenua l'importanza della collegialità episcopale, ribadendo che essa agisce sotto la direzione del romano pontefice. E ancora sui problemi scottanti, quali il celibato sacerdotale e il controllo delle nascite, finisce per arrogarsi d'autorità il diritto di dire la sua sull'argomento, sottraendo ai vescovi la facoltà di discuterne perché "non è affatto opportuno un pubblico dibattito".
Oppure quando di sua iniziativa sopprime l' "Indice dei libri proibiti" e il Sant'Uffizio, ma lo sostituisce con la "Congregazione per la dottrina della fede", che in fondo manterrà un carattere se non "inquisitoriale" comunque di controllo; e infine, per andare incontro alla maggioranza, istituisce il Sinodo dei vescovi, ma si premura di sottolineare la funzione esclusivamente consultiva che tale organismo avrà. È una riforma a metà quella che Paolo VI tirerà fuori dal concilio, perché si oppone a qualsiasi iniziativa che possa intaccare la tradizione dogmatica e il primato pontificio.
Ciononostante, quando dopo tre sessioni il Vaticano II viene ufficialmente chiuso l'8 dicembre 1965, è indiscutibile che la base di un rinnovamento è in atto. Non sono tanto le riforme liturgiche a dare questa nuova immagine, con la celebrazione della messa nella lingua nazionale, la limitazione del culto della Madonna senza tante espansioni a volte esagerate, con statue e altari "laterali" spesso fatti sparire dalle Chiese, riducendo a un solo altare centrale le funzioni. È piuttosto il concetto di universalità di Chiesa "popolo di Dio" in cammino attraverso la storia che si afferma, in una missione che si concretizzi con la promozione della pace nella comunità dei popoli, in forma attiva di dialogo, anche con protestanti e ortodossi, con le religioni non cristiane, con gli atei, i marxisti, per essere effettivamente Lumen gentium.
È il programma che Paolo VI sta già attuando ancor prima che il concilio finisca i suoi lavori e come ha teorizzato nella prima enciclica del 9 agosto 1964, Ecclesiam Suam; un dialogo con i cristiani separati e i non credenti, dunque, tramite l'istituzione di apposite congregazioni che affrontino i problemi angoscianti dell'uomo contemporaneo. E iniziano i suoi viaggi in quello stesso anno; è in Palestina, in un abbraccio simbolico con il patriarca di Costantinopoli Atenagora, e in India al Congresso eucaristico di Bombay, da dove lancia un appello alle grandi potenze perché cessino la corsa agli armamenti e impieghino le loro risorse per aiutare il Terzo Mondo, assillato dal dramma della fame. È quanto coraggiosamente riaffermerà in nome della pace nel settembre del 1965 a New York, davanti ai delegati dell'ONU; per la prima volta nella storia viene riconosciuto al vicario di Cristo un atteggiamento di "neutralità" nel contesto internazionale. Quella che deve essere la vera unica "politica" della Santa Sede, riscoperta da Benedetto XV, ma rimasta inascoltata, e riproposta con semplicità da Giovanni XXIII, sembra aver trovato in Paolo VI il suo portavoce più forte e sicuro; la Chiesa si spoglia di pretese regali, si fa "pellegrina sulla terra" per instaurare rapporti nuovi tra i popoli d'Occidente e d'Oriente.
E all'insegna di questa credibilità riacquistata dal papato dopo secoli, arrivano le esortazioni alla pace nel Vietnam e i messaggi del capodanno 1966 ad Hanoi, Saigon, Mosca e Pechino; dal colloquio privato di papa Roncalli con il genero di Kruscev, il discorso con i paesi comunisti si è ampliato proprio perché "Paolo VI è andato oltre, sviluppando nella realizzazione quotidiana i contenuti dell'intuizione profetica di cui Roncalli era stato l'inconsapevole e soprannaturale portavoce", come ha osservato Franco Molinari. È un merito che va riconosciuto al papa Montini di questo periodo e che appare testimoniato da quanto viene sviluppato tra il '66 e il '67. Su un piano ecclesiale, all'interno della diocesi di Roma, la riforma della Curia, e all'esterno, continuando il dialogo ecumenico, ricevendo il capo della Chiesa anglicana, l'arcivescovo di Canterbury; su un piano "politico" con il viaggio in Turchia, alla quale in segno di pace aveva provveduto a restituire le bandiere catturate durante la battaglia di Lepanto, e ricevendo la visita del presidente sovietico Podgorny, indice di un concreto avvicinamento tra il Vaticano e i paesi dell'Est europeo. Dal '70 Gromiko avrebbe incontrato poi regolarmente il papa in ogni suo viaggio e monsignor Casaroli, segretario del ministero degli Affari esteri, avrebbe compiuto miracoli diplomatici, iniziando un periodo di fitti contatti tra il Vaticano e l'Unione Sovietica, in un clima di "disgelo". È comunque il 1967 il momento più alto del papato di Paolo VI con la Populorum progressio, che per il suo contenuto sociale impegna la Chiesa come non mai; è un'invettiva contro il potere che opprime, ma è anche una "teologia della liberazione", perché incoraggia a reagire in nome di Dio alle sopraffazioni. L'enciclica diventa un punto di riferimento per tanti cattolici dell' America latina accomunati con le forze marxiste in una rivoluzione contro le dittature. In Brasile ne sarà l'interprete Helder Camara, "l'arcivescovo rosso", come si racconta lo abbia chiamato Paolo VI in un incontro in Vaticano. "Ecco il nostro papa "comunista"", pare sia stata la risposta del prelato brasiliano. E un aneddoto che riporta in un suo famoso libro José Gonzales; autentico o no, riproduce certa mentalità che l'enciclica era venuta maturando.
E' tutta l'intellighenzia clericale (come il CIRCOLO MARITAIN ) a protestare contro la Curia; protestano Don Mazzi e Don Milani, e quando la gerarchia ecclesiastica, che scambia ogni fermento sociale per "minacce marxiste", mette loro la sordina, ecco i seminaristi di Verona e 91 preti di Firenze che si muovono per esprimere al "grande ribelle" dell'Isolotto piena solidarietà.  Cattolici praticanti abbandonano in massa le chiese (succede anche letteralmente: mentre un cardinale celebra la santa Messa i parrocchiani escono per protesta dalla chiesa). Mollano l'abito un terzo dei sacerdoti e delle religiose, e i giovani dell'Azione Cattolica da 3 milioni scendono a seicentomila.

Una sua frase esprime in un modo non solo metaforico il suo grande travaglio: "Aspettavamo la primavera ed è venuta la tempesta".

Vengono invece gli anni della contestazione e l'autorità di Paolo VI ne resta sorpresa se non addirittura scossa; sente che deve porre un freno a quanto ha detto. Occorre chiarire i "limiti" in cui la sua enciclica va intesa e lo fa nel viaggio a Bogotà nell'agosto del '68: "Continueremo a denunciare le ingiustizie sociali", dice ai campesinos colombiani, ma raccomanda ai vescovi latino-americani che l'arma della denuncia e dell'opposizione sia la carità e non la violenza. Potrebbe essere vero quanto afferma Franco Molinari, e cioè che bisognava "saper leggere le righe e tra le righe, non accostarsi ai testi pontifici con chiavi false (per es. quelle politiche, e quelle marxiste, che ti catapultano la lotta di classe persino dentro il conclave)"; evidentemente il messaggio era stato travisato, non c'era stata "la familiarità della prolungata riflessione". Ma è anche comprensibile, perché alle spalle di Paolo VI, nonostante tutta la sua grande personalità, c'era sempre papa Roncalli "birichino e malizioso", come lo definisce appunto Molinari; e allora la gente era ormai abituata a vedere "più in là" e forse appunto a sognare una fuga in avanti.

E ci fu l'ondata di riflusso, la delusione: dall'Humanae vitae che, ribaltando le conclusioni favorevoli al controllo delle nascite di una commissione scelta dal papa stesso, si oppone all'uso dei mezzi anticoncezionali, alla Sacerdotalis Coelibatus, che ribadisce l'obbligo del celibato dei preti; dalla sconfessione del catechismo olandese alla ribadita affermazione del primato del papa nel Congresso mondiale delle Chiese a Ginevra nel 1969, con una dichiarazione che attenua enormemente la portata dei lavori di una commissione mista cattolico-anglicana per un avvicinamento teologico tra le due Chiese. Sono gli atteggiamenti di un papa che riscopre il suo assolutismo; ha lanciato messaggi ecumenici, ma in fondo li ha usati per rinsaldare il "castello" scosso dal "terremoto" del suo predecessore. Usa sempre la tiara e la sedia gestatoria; il plurale majestatis suona di nuovo freddo sulle sue labbra.

Eppure i viaggi di Paolo VI si susseguono con ritmo costante, dando però ormai più che altro l'immagine del "papa turista". Non ha più intorno l'entusiasmo di una volta: nel '70 a Cagliari alcuni giovani lo prendono a sassate, a Manila un pittore sudamericano Benjamin Mendoza attenta alla sua vita. Ma è solo uno squilibrato; farà oltretutto pochi anni di carcere, grazie al fatto che il Vaticano non si costituisce parte civile. È vero che "Montini ha edificato il mondo, quando con discrezione ha perdonato il suo goffo attentatore di Manila", come ha evidenziato Franco Molinari; è vero che "il perdono non muore. La civiltà dell'amore continua" e che "nei suoi anni di pontificato non ha scoccato neppure una scomunica, né contro i dromedari della destra tradizionalista (Lefebvre) né contro i puledri scalpitanti della sinistra marciante (Franzoni). Ha evitato scismi". Tutto questo è vero, ma non direi che "le altre cose sono carabattole da sottoscala pettegolo".
Cosa dire della sua ingerenza nei lavori della commissione parlamentare incaricata di esaminare la costituzionalità o meno della legge sul divorzio? "Arrogandosi un diritto inconcepibile, egli disse infatti che una sedicente autorità aveva adottato un principio di dubbia legittimità", ricordava Vittorio Gorresio in un articolo scritto pochi giorni dopo la morte del pontefice, e giustamente osservava: "Non avrebbe dovuto permetterselo. Un conto, infatti, è che il pastore della Chiesa predichi e parli contro il divorzio e ne deprechi l'adozione; un altro, ben diverso, è che si spinga a contestare la legittimità delle deliberazioni di un organo dello Stato". E, com'è noto, quest'atteggiamento comportò una spaccatura in seno al clero e ai laici cattolici; appoggiando apertamente il referendum antidivorzista promosso da Gabrio Lombardi, Paolo VI venne meno al principio di separazione tra Stato e Chiesa, nel tentativo d'impedire ai fedeli di agire autonomamente come cittadini.
E che dire del giubileo del 1975, indetto controvoglia dallo stesso papa, in un mondo che sempre più andava allontanandosi dalla Chiesa, come egli stesso osservava in un celebre discorso dell'11 settembre 1974, con la "benedizione per posta"? Bastava riempire un modulo e indirizzarlo all'elemosiniere del Vaticano, il vescovo titolare di Termini Imerese, Antonio Travia, e la benedizione apostolica ti arrivava a caso col postino a solo 2000 lire; certo, se la volevi su pergamena di riso, il prezzo saliva a 30.000. Era una truffa "santa" che offuscava non poco il raggio di luce che faceva da sfondo alla colomba col ramo d'olivo nel manifesto di quell' Anno Santo.

Qualcosa non torna nella personalità di questo papa "fragile e fortissimo" ad un tempo, ovvero "l'Amleto d'oltre Tevere" (che, giocando sulle parole "Paolo Sesto" venne anche soprannominato "Paolo Mesto"), ma d'altronde è anche vero che è troppo vicino a noi perché se ne possa parlare con serenità, fuori da ogni polemica.

Quello che personalmente ritengo che illumini senz'altro in maniera evangelica la sua figura è il modo in cui penetrò a fondo i drammi del nostro tempo, pronto ad immolarsi in essi come martire o a viverli in diretto collegamento con la divinità e con la coscienza. Così fu quando, in occasione del dirottamento di un aereo della Lufthansa a Mogadiscio ad opera di terroristi tedeschi, offrì se stesso in ostaggio e,
Il cardinale Siri (il "papa non eletto" come suo successore per soli 4 voti) criticò aspramente la decisione di PAOLO VI di partecipare ai funerali dello statista ucciso: "Neppure il Papa dei Borgia si recò alle esequie del figlio Giovanni ucciso da Cesare" (Espresso n. 20, anno XLIV). Ma Siri era stato il più irriducibile nemico di Aldo Moro: "I fedeli che pensano di essere con lui sulla rotta di Cristo, poi di fatto si trovano sulla rotta di Marx"; e aggiungeva "sulla questione (il flirt con i comunisti) Moro è sfuggente, così evasivo e sgusciante che mi verrebbe voglia di dargli un pugno in faccia. Me lo impedisce la mia veste". Anselmi, direttore dell'ANSA, in un suo recente "Diario" ha rivelato che quando nel '78 comunicò al Cardinale il rapimento di Moro, quello gli rispose: "Ha avuto quel che si meritava".
durante la vicenda Moro, il 21 aprile del 1978, scrisse una lettera agli "uomini delle Brigate Rosse" davanti ai quali s'inginocchiava implorando invano. Ma sono anche sprazzi di luce che non abbagliavano più la massa, ormai nichilista sulla validità di certi gesti e di certe parole.

Il 13 maggio 1978 a S. Giovanni in Laterano, in occasione del rito funebre per Moro, ebbe a dire: "Signore, ascoltaci... in questa giornata di un sole che inesorabilmente tramonta... Signore, ascoltaci".
Sembravano le parole di un profeta, in un presentimento di morte.
Morì a Castel Gandolfo, appena tre mesi dopo, il 6 agosto, per un edema polmonare. Fu sepolto nella cripta della basilica Vaticana.

Encicliche di Paolo VI