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GIOVANNI XXIII
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Il conclave
Sull'esito del conclave che iniziò a Roma il 25 ottobre 1958 v'era incertezza assoluta; i 51 cardinali che vi parteciparono erano teoricamente disposti sulle due solite posizioni, la tradizionalista e la progressista, ma anche da morto Pio XII incombeva con la sua personalità indirettamente su quel conclave, data la caratterizzazione precisa che aveva dato al papato. Era condizionante per i motivi più diversi su questa o quella candidatura, e fondamentalmente mancava il coraggio nel Sacro Collegio di una presa di posizione precisa in una direzione. I nomi di Ruffini e Siri, del francese Tisserant, del russo Agagianian, dell'americano Spellman ricorrevano più spesso nelle previsioni e i giornali illustravano le caratteristiche di questo o quel cardinale, valutando i pro e i contro delle varie personalità, ma nessuno si sbilanciava apertamente. Si prevedeva un lungo conclave in questo clima d'incertezza, che perla prima volta sembrava coinvolgere Sacro Collegio e opinione pubblica, e invece tutto si concluse in tre giorni, dopo undici scrutini. La sera del 28 settembre 1958 apparve alla loggia delle benedizioni il nuovo papa, forse il meno quotato dei «papabili», il patriarca di Venezia, Angelo Giuseppe Roncalli, «un vecchio di florido aspetto, grasso, grosso, con un volto sereno e pacioso», come ricorda Carlo Masina. Ed è vero che tutti noi, anch'io ventenne, lì a piazza S. Pietro «fummo subito conquistati da quel fascino bonario, incorniciato da due enormi orecchie». E poi personalmente mi colpì la scelta del nome, Giovanni XXIII, che era già appartenuto ad un antipapa; non doveva essere casuale, suggeriva qualcosa che era già «contro» e comunque di rottura nei confronti di tanti Pio, Benedetto e Gregorio. Ma chi era veramente il nuovo papa? I giornali tardarono a tirarne fuori notizie particolari, proprio perché erano stati colti alla sprovvista. Era anziano comunque. Molti dissero subito che i cardinali avevano concluso abbastanza rapidamente per un pontificato di «transizione»; e lo sarebbe stato, regnando solo cinque anni, ma con un'azione così rivoluzionaria, fortunatamente, da rinnovare la Chiesa in maniera irreversibile. Vita
Poi, con Pio Xl, comincia di nuovo a viaggiare come visitatore apostolico: dal '25 al '34 è in Bulgaria, terra di ortodossi così diffidenti verso Roma, eppure riesce a farsi ben volere. Cerca un legame tra i cattolici e i fedeli della Chiesa ortodossa perché «nel suo cuore egli credeva ad una finale unità religiosa», come osserva Richard Cushing, e riesce così a compiere l'opera affidatagli: le relazioni tra il Vaticano e la Bulgaria sono opera sua. Pio XI lo trasferisce come delegato apostolico in Turchia e Grecia; anche qui due paesi lontani da Roma, uno musulmano e l'altro ortodosso, ma Roncalli riesce nuovamente. Compenetra a fondo specialmente la mentalità dei Turchi, entra nelle grazie del primo ministro Ataturk, lo convince del sentimento patrio dei cristiani al pari dei musulmani; dispone che l'epistola e il Vangelo siano letti in turco. Riesce a far decretare la basilica di S. Sofia monumento storico, facendone mantenere l'aspetto di Santuario. Arriva la seconda guerra mondiale; Roncalli resta in Turchia. Il paese è al centro di intrighi e spionaggi internazionali; in contatto costante col Vaticano riesce ad aiutare innumerevoli profughi ebrei a sfuggire ai nazisti e trovare asilo in Palestina. Una notte firma falsi certificati di battesimo di bambini ebrei; è il top del suo intrigo diplomatico in nome di Cristo. Dal gennaio del '45 al gennaio del '53 è nunzio apostolico a Parigi; ci sono i preti-operai ma Roncalli non li capisce.
Nel 1953 è creato cardinale e diventa patriarca di Venezia; qui le sue tendenze socialmente avanzate si manifestano più ampiamente. Non esita a dare il benvenuto ai socialisti che nel 1957 tengono il loro congresso nella città lagunare, ma nello stesso tempo invita «i fedeli a pregare affinché quanti credevano che "i cieli fossero spenti" non pensassero di costruire l'edificio sociale prescindendo dal Vangelo», come ricorda il Cushing. La sua vita però a questo punto è segnata; quando lascia Venezia per presenziare ai funerali di Pio XII e partecipare al conclave, promette che sarà di ritorno entro quindici giorni. Sono promesse da marinaio, ovvero da «pastor et nauta», secondo la profezia di Malachia; non le manterrà come non le aveva mantenute cinquant'anni prima Pio X. Al diciannovesimo giorno d'assenza è eletto papa. Papa
Non ripercorrerò qui tutte le tappe del suo rapporto costante con la gente, ma poche sono sufficienti a ricordare lo spirito di questo papa per il quale don Mazzolari, dal confino di Bozzolo, da dove papa Roncalli l'avrebbe tirato fuori, già pochi giorni dopo l'elezione sentiva di poter affermare: «Abbiamo un papa di carne e tutto il mondo ne è sollevato. La paternità non è un sentimento aereo: tant'è vero che il Figlio dell'Uomo è il Dio fatto carne». E Giovanni XXIII lo dimostra subito recandosi nel suo primo Natale da papa a visitare i malati degli ospedali romani di S. Spirito e del Bambin Gesù; il giorno dopo è tra i detenuti a Regina Coeli. E specialmente quell'entrata nel carcere, come nei più antichi tempi del papato, è l'avvenimento che marca profondamente il segno del nuovo pontificato. «Dunque, eccoci; sono venuto, m'avete visto. lo ho fissato i miei occhi nei vostri, ho messo il cuor mio vicino al vostro cuore», così si esprime quel giorno verso persone considerate emarginate dalla società, e per annullare ogni distanza racconta che anche un suo parente un giorno, chi sa per quale birbanteria, era finito in prigione. Insomma anche lui, il papa, sia pure indirettamente, è «dei loro». Da quel giorno per noi romani Giovanni XXIII diventa «er papa bono»; e seguitò ad esserlo uscendo più di cento volte dal Vaticano in visita, specialmente nelle borgate, con l'antico «camauro» in capo e ripetendo: «Innanzitutto vi raccomando alla vostra benevolenza l'uomo che vuol essere semplicemente vostro fratello, amabile, accostevole, comprensivo». E così fu accolto. Sorrisi a parte, papa Giovanni sapeva che non sarebbe vissuto a lungo e quindi già il 25 gennaio 1959 ai cardinali radunati a S. Paolo fuori le Mura annunciava tre decisioni: i problemi della diocesi romana sarebbero stati sottoposti all'analisi di un sinodo, quanto prima ci sarebbe stato un concilio ecumenico e inoltre una riforma del diritto canonico. Inutile dire la meraviglia dei porporati; quello che doveva essere un pontificato di transizione si rivelava in pratica un terremoto. «La Chiesa è un giardino da coltivare e non un museo di antiquariato», sarebbe stata la sua risposta e avrebbe chiesto l'aiuto di tutti quelli che ne facevano parte, restituendo la parola ai vescovi, decaduti dal concilio Vaticano I al ruolo di semplici comparse. Perché «capo della Chiesa è Cristo e non il papa» e inoltre «la Chiesa è di tutti, ma soprattutto dei poveri». Il fine ultimo è spianare la via all'unità dei cristiani, ma «la spinta è per una comunità cristiana che mette al proprio centro gli oppressi, gli emarginati, i senza-potere», come ha sottolineato Giancarlo Zizola, e questo «è assai più che un cambio di classe. È un salto di cultura». Lo si avvertirà anche nella riforma emanata col «motu proprio» Summi Pontifici electio nel settembre 1962, che «intende l'elezione come fatto ecclesiale, non politico, stabilisce che tutti i cardinali siano vescovi, associati a una Chiesa». Giovanni XXIII non è in tutto questo guidato da un preciso programma; è vero che si lascia «portare da Dio così come da bambino andava a messa o alla fiera del paese sulle spalle del padre terreno», come ha notato, in un'immagine fresca e genuina di questo papa, Franco Molinari. «Ma è proprio nella disarmante sincerità con cui riconosce a Dio il fardello dei propri limiti, che si sprigiona il fascino di un uomo vero. In questo mondo pieno di finzioni e di ipocrisie egli probabilmente ha impressionato l'umanità intera per il coraggio di essere se stesso.» In questa «svolta» improvvisata lo assisteranno il cardinale Domenico Tardini, segretario di Stato, e monsignor Loris Capovilla, come segretario particolare, mentre un vecchio gesuita, il cardinale Agostino Bea, percorrerà il mondo portando nei paesi cattolici e non il saluto di pace di Giovanni XXIII. La stessa famosa enciclica del 15 luglio 1961, Mater et Magistra, non è rivolta solo alla Chiesa ma a tutti gli uomini di buona volontà; vuole far pervenire un messaggio di giustizia e pace in tutto il mondo.
Rifiuta ogni prudenza «politica»; cerca rapporti anche con la Cina di Mao e accoglie affettuosamente in udienza privata il giornalista sovietico Adjubei, genero di Krüscev, con la moglie. Come ricorda Giulio Andreotti, «Giovanni XXIII riteneva fermamente che l'Unione Sovietica, con i suoi venti milioni di morti della seconda guerra mondiale, non potesse che volere la pace. Lo disse, tra gli altri, al vicepresidente americano Johnson, incoraggiandolo a lavorare per la distensione con la Russia». Poi ci fu la questione di Cuba e il papa indirizzò a Krüscev un documento che fu efficace proprio nel suo carattere non politico, che così si concludeva: «Se avrete il coraggio di richiamare le navi portamissili proverete il vostro amore del prossimo non solo per la vostra nazione, ma verso l'intera famiglia umana. Passerete alla storia come uno dei pionieri di una rivoluzione di valori basata sull'amore. Potete sostenere di non essere religioso, ma la religione non è un insieme di precetti, bensì l'impegno all'azione nell'amore di tutta l'umanità che quando è autentico si unisce all'amore di Dio, per cui anche se non se ne pronuncia il nome si è religiosi». Krüscev dette l'ordine alle navi d'invertire la rotta e in data 15 dicembre 1962 inviò il seguente biglietto: «A Sua Santità Papa Giovanni XXIII. In occasione deUe sante feste di Natale La prego di accettare gli auguri e le congratulazioni di un uomo che Le augura salute e forza per la sua costante lotta per la pace e la felicità e il benessere». Ma il papa non stava bene; l’11ottobre di quell'anno aveva aperto il concilio ecumenico Vaticano II con la segreta speranza di concluderlo in fretta. I delegati all'assemblea provenienti dalle diocesi di tutto il mondo erano più di 2.500. Erano presenti 35 osservatori ed ospiti non cattolici, perlopiù ecclesiastici in rappresentanza di 17 gruppi protestanti ed ortodossi; in un'udienza speciale dichiara loro che brucia dal «desiderio di lavorare e soffrire perché si avvicini l'ora che si realizzerà per tutti la preghiera di Gesù nell’ultima Cena: Ut unum sint». Ma i problemi sono enormi; egli stesso finirà per accettare che il lavoro preparatorio del concilio, che sperava di poter concludere, venga ripreso e sviluppato; l'8 dicembre decide di chiudere la prima sessione che in pratica ha discusso solo «vita liturgica, rapporti sociali e relazioni della Chiesa col mondo moderno». Costituiranno però la traccia per la sua riapertura: «Il fulgente inizio del concilio è stato la prima introduzione alla grande opera intrapresa», dirà compiaciuto nel discorso di chiusura. Ma il cancro già divora il suo corpo e Giovanni XXIII capisce che non sarà lui a riaprire l'assemblea; per il «papa buono» arriva nel 1963 anche il premio Balzan della pace, e la cosa crea un po' di polemica. Appare superfluo assegnare quel riconoscimento a un papa, ma se si guarda tanta storia del papato precedente, la reazione sembra gratuita. D'altronde arrivano anche le critiche per il «papa buono» che forse non le ascolta neanche nella sua lunga agonia; gli affibbiano l'attributo di «bolscevico dello Spirito Santo» e la famosa enciclica Pacem in terris promulgata il 9 aprile sarà storpiata in Falcem in terris, perché è ritenuta colpevole di aver determinato il progresso elettorale del PCI nelle elezioni di quell'anno 1963. Un cardinale italiano arriverà a dire quando morirà: «Ci vorranno cinquant'anni per rimediare ai guasti che ha fatto alla Chiesa nei cinque anni del suo pontificato». Il tumore allo stomaco è chiaramente irreversibile; ma papa Giovanni non vuole che la gente stia in pena per lui sotto la sua finestra e si affaccia per tranquillizzarci dicendo una bugia: «La salute ritorna, anzi è già tornata!». E noi in piazza stiamo a questo gioco del vecchio con la morte; lo applaudiamo tra le lacrime di commozione. Lui si allontana e ha parole anche per tranquillizzare i medici: «Non preoccupatevi per me. Le valigie sono fatte e son pronto a partire». Muore il 3 giugno 1963; verrà sepolto nelle Grotte Vaticane.
(Autore: Claudio Rendina)
APPROFONDIMENTO BIOGRAFICO Nell’autunno del 1900, il vescovo di Bergamo, monsignor Camillo Guindani, si interessò a lui e lo spinse a frequentare il quadriennio di teologia alla prestigiosa scuola "Apollinare" di Roma. A diciannove anni Angelo Roncalli frequentava il terzo corso di teologia, cioè era già al penultimo anno, ma fino ai ventiquattro anni il diritto canonico gli avrebbe impedito di essere ordinato sacerdote. Ma Angelo aveva fatto i conti senza pensare alla cartolina di leva, la quale, puntualmente, arrivò. La mattina del 30 novembre 1901 Angelo Roncalli, recluta dell’esercito di sua maestà il Re d’Italia, varcò il portone della caserma Umberto I a Bergamo, ed entrò a far parte del settantatreesimo reggimento fanteria, brigata Lombardia. Durata della ferma: un anno. Per sentirsi più sicuro fra i compagni di caserma, il futuro pontefice si era fatto crescere un paio di baffi e, poco prima di congedarsi, ricevette la nomina a sergente. Terminato il servizio militare, tornò agli studi dell’Apollinare con un entusiasmo rinnovato. L’11 aprile 1903 il cardinale Respighi, vicario di Papa Leone XIII, lo ordinò suddiacono; il 18 dicembre diacono. Il 10 agosto 1904, Angelo Roncalli fu ordinato sacerdote. Alla morte di monsignor Guidani, l’alto prelato bergamasco che era stato in qualche modo il protettore di Angelo Roncalli, gli succedette al vescovato di Bergamo monsignor Radini Tedeschi, il quale portò con sé come segretario il giovane prete Roncalli: era il 9 aprile 1905. Roncalli ricoprì il suo incarico fino alla morte del vescovo, avvenuta nel 1914, poco tempo dopo la morte di Papa Pio X. Il 24 maggio 1915, a guerra già iniziata, Angelo fu richiamato alle armi nel corpo della sanità. Dopo qualche mese di servizio in un paio di caserme dell’Italia settentrionale, fu promosso tenente cappellano e destinato a Bergamo. Dopo la guerra gli fu affidato, in seminario, il compito di direttore spirituale. Per aiutare i giovani bisognosi, decise di fondare, con i suoi risparmi, la "Casa dello Studente", che venne aperta nell’antico palazzo Marenzi, a Bergamo Alta. Fu la prima istituzione del genere in Italia. Don Angelo Roncalli si occupò anche dell’organizzazione del primo Congresso di Benedetto XV a Bergamo. Nel 1920 il prefetto della Congregazione per la Propagazione della Fede, il cardinale Van Rossum, chiese e ottenne dal vescovo di Bergamo il trasferimento di Don Angelo Roncalli a Roma. L’8 maggio 1921 fu nominato prelato domestico di Sua Santità: gli si doveva, quindi, il titolo di monsignore. Fu in quegli anni che Angelo Roncalli, a quarant’anni compiuti, si trasformò in viaggiatore di Dio. Visitò molti Paesi europei: Francia, Belgio, Germania, Olanda, Svizzera, Austria. Tutte missioni delicate, per vincere le resistenze dei prelati legati ai vecchi schemi. Nel 1925 era quindi pronto, secondo Papa Pio XI, per il nuovo e più impegnativo incarico di visitatore apostolico. Per questo, il 19 marzo 1925, il cardinale Tacci, segretario della Congregazione della Chiesa Orientale, lo consacrò vescovo di Aeropoli, e la sua destinazione fu la Bulgaria. Dopo quasi dieci anni trascorsi in terra bulgara, Angelo Roncalli fu nominato, il 24
novembre 1934, delegato apostolico in Turchia. Reggerà la delegazione apostolica per
la Turchia e la Grecia quasi dieci anni, dal 1935 al 1944.
Ad Istanbul giunse direttamente da Sofia, il 5 gennaio 1935, ma già conosceva la città essendoci
stato una prima volta nel dicembre del '28 per fare gli esercizi spirituali a
Bebek, sul Bosforo, ed una seconda nel giugno del'31 per le celebrazioni del
settimo anniversario della morte di Sant'Antonio. Mons. Roncalli diventava cosi
il responsabile di 35 mila cattolici assistiti da 800 religiosi quasi tutti
latini. Un arrivo quello del nuovo delegato in punta di piedi. L'Ambasciatore
francese ad Ankara, Kammerer, scrisse in suo dispaccio al Quai d'Orsay che
Rocalli era entrato in Turchia dalla porta di servizio, prendendo possesso
della sua sede senza sfoggio, con bonomia, quasi eclissandosi. "Appena
sbarcato, è andato dal capo della Polizia per declinare le proprie generalità e
far stabilire il suo permesso di soggiorno. Egli ha dato prova di una umiltà
soddisfatta ricevendo poco dopo una carta d'identità del tipo che la polizia
rilascia ai consoli stranieri".
Il 29 luglio 1935 muore papà Roncalli. A Natale, in una lettera al suo amico colonnello Cocconi, Roncalli scriveva:
"Oggi, continuando il sistema che feci come prova a Sofia, mi sono
introdotto nell'omelia leggendo una pagina intera di Vangelo in turco moderno,
che vengo studiando alla meglio e, nel pomeriggio, ho introdotto il canto del
"Dio sia benedetto" pure in turco. Piccoli passi che forse mi apriranno la strada
ad una piu profonda penetrazione".
Incline sempre ad aiutare il
prossimo, Roncalli ad Istanbul non si occupava solo di questioni diplomatiche
ma anche di tenere i rapporti con la gente e soprattutto con i bisognosi. Era sua abitudine andare ogni settimana a visitare gli
ammalati in ospedale, i bambini negli orfanotrofi, i carcerati nelle prigioni,
i poveri nel quartiere di Palgalti, i vecchi nell'istituto
"L'Artigiano".
Dava fondo alle elemosine e spesso vuotava la cassa della
delegazione. Nei mesi caldi villeggiava a Buyukada, l'isola grande nel Mare di
Marmara. Ogni giorno però partiva alle 14 con un vaporetto per tornare ad
Istanbul ed andare a tenere le lezioni di catechismo nella chiesa del Santo
Spirito. A chi gli rimproverava amabilmente quella fatica, rispondeva: "Lo
so che il mio uditorio è piccolo. So anche che le quattro vecchiette che
vengono ad ascoltarmi sonnecchiano mentre parlo. Ma non ha importanza. Io sono
vescovo di questa città, e Dio e testimone della mia azione. Preparo le mie
lezioni come se dovessi parlare al pubblico di una grande cattedrale. Prima di
salire sul pulpito, mi rivolgo agli angeli custodi di tutti i fedeli del
vicariato e li supplico di portare la mia parola a tutti, anche ai fedeli che
non sono mai venuti in chiesa".
Nell'agosto del 1938 fece conoscenza con il nuovo ambasciatore
della Germania in Turchia, Franz von Papen, ex cancelliere del Reich. Istanbul,
allo scoppio della II guerra mondiale, era diventata un crocevia strategico dei
rapporti internazionale. In quel luogo incantevole che è il Bosforo, Roncalli
prega ardentemente. Si legge nel suo diario: "Dalla finestra della mia
camera, qui presso i Padri Gesuiti, osservo tutte le sere un assembrarsi di
barche sul Bosforo; spuntano a decine, a centinaia dal Corno d'Oro; si radunano
ad un posto convenuto e poi si accendono, alcune più vivacemente, altre meno,
formando una fantasmagoria di colori e di luci impressionanti. Credevo che
fosse una festa sul mare per il Baraim che cade in questi giorni. Invece è la
pesca organizzata delle palamite. Grossi pesci che si dice vengano dai punti
lontani del Mar Nero. Queste luci durano tutta la notte e si sentono le voci
gioiose dei pescatori. Lo spettacolo mi commuove". Roncalli pensa anche al
suo rapporto con von Papen e agli impegni rischiosi presi da quest'ultimo a
favore degli ebrei.
Durante il suo apostolato in terra turca il 20 febbraio 1939 si era spenta mamma Marianna. Il 10 febbraio dello stesso anno era morto Pio XI e, il 2 marzo era stato eletto con il nome di Papa Pio XII, Eugenio Pacelli, esaminatore in teologia di Angelo Roncalli nel lontano luglio 1904 e poi suo ripetitore di diritto canonico all’Apollinare. Sarà il suo predecessore. Con lo scoppio della seconda guerra mondiale, Roncalli, come ricordava
anche Papen, continuò
a raccogliere migliaia di informazioni riguardanti i soldati scomparsi, fatti
prigionieri o dispersi. Si fa ascendere a venticinquemila il numero degli Ebrei
concretamente aiutati dal delegato apostolico in Turchia.
Il 28 agosto riceve improvvisamente dalla Santa Sede l’ordine di passare in Grecia. Il popolo greco era disperato. All’invasione italiana era seguita l’invasione tedesca e si era aggiunta ferocia alla violenza propria della guerra. Anche in Grecia Angelo Roncalli dà prova della sua capacità di vivere due vite, la pubblica e la privata, con la medesima intensità e naturalezza. Il 27 dicembre del '44, con un aereo americano vola alla volta di Roma. Il 6 di quel mese aveva ricevuto un telegramma del cardinal Tardini. Era in cifrato: "284145 stop 416564 stop 855003 stop 641100". Quei numeri, tradotti, significavano una sola cosa: "Torni subito a Roma": è stato nominato Nunzio apostolico in Francia, dove, a Parigi tornata libera dopo lo sbarco in Normandia, Charles De Gaulle ha assunto il comando del governo provvisorio. Monsignor Roncalli ha sessantatre anni. A Parigi arrivò la mattina del 30 dicembre e, come sempre in vita sua, si accinse in letizia alla nuova fatica. I francesi amarono Angelo Roncalli. Ebbe anche una parte, marginale ma non secondaria, nella preparazione dell’incontro di Alcide De Gasperi con Bidault alla vigilia della definizione del trattato di pace. Nel 1947, per la prima volta nella storia dell’Accademia di Francia, un Nunzio fu invitato alla nomina di un immortale: Paul Claudel. Il 12 gennaio 1953 diventa cardinale stando a Parigi, perché è il presidente della Repubblica a imporgli la berretta. Solo in un secondo tempo viene a Roma per ricevere il cappello cardinalizio dalle mani del Papa. Il 28 dicembre 1953 muore monsignor Agostini, patriarca della Serenissima. Si sa già che Roncalli è destinato a succedergli. Una delle prime decisioni prese a Venezia fu quella di ricevere quotidianamente, dalle 10 alle 13, chiunque volesse parlargli, senza distinzioni. Il 10 agosto 1954, in grande semplicità, il cardinale Roncalli celebrò nella parrocchia di Sotto il Monte i suoi cinquanta anni di sacerdozio. Il 9 ottobre 1958 Papa Pio XII muore; Roncalli è profondamente addolorato per la perdita del grande pontefice che aveva mantenuto alla Chiesa, durante la guerra, tutta la sua dignità. Tra i suoi successori qualcuno colloca il patriarca di Venezia: nessuno in realtà crede che il successore di Pacelli possa essere lui. Il Conclave ha inizio il 25 ottobre 1958. Dopo tre giorni di fumate nere, dal comignolo svettante sulla Sistina si sprigiona una nuvoletta di fumo bianco. Sono le 16,45 del 28 ottobre 1958. Dopo un’ora il cardinale Canali, protodiacono, appare alle finestre della loggia detta di Paolo V e annuncia: "Habemus Papam"". Poi si affaccia Giovanni XXIII. I cardinali erano convenuti sul suo nome dopo una fase di stallo: occorre un
papa di transizione. Non solo Papa
Giovanni non sarebbe stato un pontefice di transizione, ma il suo nome sarebbe
stato scritto fra quelli dei grandi della Chiesa.
La prima udienza della giornata del Papa era riservata al segretario di Stato. Toccava poi ai cardinali, che però potevano telefonargli anziché presentarsi di persona per esporgli i loro problemi. Fra l’una e le due del pomeriggio, ora in cui di solito pranzava, Papa Giovanni accordava qualche udienza privata. Molto rapidamente lo stile Roncalli diventò una caratteristica del nuovo pontificato. Nessun Papa aveva dato, in tutta la lunga storia della Chiesa, quello che correntemente si chiama una “conferenza stampa”: lo fece Papa Giovanni pochi giorni dopo la sua elezione, precisamente il 6 novembre 1958. I giornalisti ammessi nella sala Clementina, circa cinquecento, provenivano da tutte le parti del mondo. Secondo la tradizione, il nuovo pontefice doveva uscire per la prima volta dalle mura vaticane per prendere possesso, in qualità di vescovo di Roma, della sua cattedrale, la basilica di San Giovanni in Laterano. Invece Papa Giovanni, infrangendo anche questa consuetudine, visitò prima Castelgandolfo. E fu la prima delle centocinquanta uscite che il Papa, innovatore anche in questo fra i pontefici di Santa Romana Chiesa, compì dal Vaticano. Il 25 dicembre 1958 radio e televisione trasmisero in tutto il mondo la cronaca della visita del Papa all’ospedale romano del Bambino Gesù. Il giorno dopo, Papa Giovanni decise di compiere una visita al carcere romano di Regina Coeli. Erano esattamente ottantotto anni che un pontefice non si avvicinava ai reclusi. Dopo soli tre mesi di pontificato, Giovanni XXIII annunciava il Concilio Vaticano II, per il quale furono necessari quattro anni di preparazione e tre di celebrazione, giacché venne chiuso da Papa Paolo VI nel dicembre del 1965. All’apertura di questo Concilio parteciparono, oltre a tutti i vescovi membri del collegio episcopale, anche i delegati di confessioni cristiane non cattoliche e alcuni laici particolarmente rappresentativi. (Leggi QUI un intervento di Ruggero Simonato sulla scelta del Concilio Vaticano II) Del 29 giugno 1959 è l'enciclica Ad Petri Cathedram Dopo l’enciclica Mater et Magistra del 15 luglio 1961, il 31 marzo 1963 Papa Giovanni annunciò di avere preparato un "Concilio dal nome augurale e benedetto". Era la Pacem in Terris, scritta interamente a mano in italiano e affidata per la versione in lingua latina al cardinale Bacci. Nessun altro documento pontificio s’era mai proiettato tanto in avanti nel delineare il futuro del mondo. La prima
avvisaglia della malattia che avrebbe accompagnato il Papa fino alla morte, si
era avuta nel novembre del 1962, allorché era stato colpito da un’emorragia.
Fino al maggio del 1963, tuttavia, quella roccia di antico contadino bergamasco
tenne duro. Il 27 maggio 1963 le condizioni del Papa si aggravarono. Alle 19,40
del 3 giugno 1963 Papa Giovanni XXIII morì.
Conferenza dopo la beatificazione. Bibliografia:
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