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PIO XII
Eugenio Pacelli

Nato a Roma il 2.III.1876

Eletto papa il 2.II
e consacrato il 12.III.1938
Morto il 9.X.1958

Il conclave
Il conclave che si aprì la sera dell'1 marzo 1939 fu il più rapido egli ultimi tempi; la causa determinante di tale rapidità risaliva senz'altro allo scoppio della guerra ormai imminente. Gli scrutini iniziarono il 2 e quello stesso giorno ci fu la «fumata bianca»; verso le 18 apparve alla loggia della basilica Vaticana il nuovo papa, il cardinale Eugenio Pacelli. Assumeva il nome di Pio XII.

Vita
Era nato a Roma il 2 marzo 1876 da una famiglia appartenente al patriziato papalino; frequentato il liceo Visconti di Roma, si era laureato in teologia alla Gregoriana. A 23 anni era ordinato sacerdote, e due anni dopo entrava come apprendista nella Segreteria di Stato, facendosi apprezzare dal cardinal Gasparri nella nuova codificazione del diritto canonico. Svolse le sue attività, riuscendo a mantenere una condotta immune dai riformismi religiosi come pure dalla zelante ortodossia, già mettendo in mostra un'estrema cautela nel comportamento diplomatico.

Nel 1917 arriva il frutto di questa impassibile diligenza; è nominato nunzio apostolico a Monaco e tre anni dopo a Berlino, dove esplica un'intensa attività diplomatica concludendo i concordati con la Baviera e la Prussia. Sono anni che influiscono in maniera determinante su quell'attaccamento viscerale dell'allora monsignor Pacelli alla Germania; lo colpì ovviamente il senso di serietà, l'impegno scientifico, la coscienza morale e l'efficienza organizzativa del popolo tedesco. E a Monaco proprio nasce forse, insieme a questo debole per la Germania, l'avversione per il marxismo; nella comunista città di Monaco Eugenio Pacelli ha una drammatica esperienza, ricordata da Franco Molinari. «Un branco forsennato di soldati rossi gli punta la rivoltella alla tempia»; in qualche modo si salva, ma l'episodio è di quelli che lasciano il segno.

Nel 1929 è nominato cardinale e l'anno dopo succede al Gasparri nella Segreteria di Stato; fa frequenti viaggi come legato pontificio. È in Argentina, a Lourdes, a Parigi, negli Stati Uniti e a Budapest. Acquista una personalità a livello internazionale; questo facilitò la sua elezione alla cattedra di Pietro.

Papa
Pio XII successe ad un papa morto mentre si apprestava a denunciare i crimini della violenza in Italia e in Europa con fermezza, senza badare in faccia a nessuno; lui non farà altrettanto, preso eternamente dal timore di arrecare più danno di quanto già non esistesse. Rifiuterà la condanna esplicita, come pure la «neutralità» di Benedetto XV e dichiarerà la sua «imparzialità»: «Neutralità potrebbe essere intesa nel senso di una passiva equivalenza che non viene al capo supremo della Chiesa di fronte a tanti fatti», avrebbe spiegato in una lettera all'arcivescovo di Monaco, cardinale Faulhaber, il 31 gennaio 1943. «Imparzialità vuol dire per noi giudizio delle cose secondo verità e giustizia.». Ma qualcosa non tornò in fatto d' «imparzialità».
II 3 marzo 1939, il giorno dopo la sua elezione, in un radiomessaggio al mondo invita le nazioni alla pace; il 12 marzo viene incoronato in S. Pietro e tre giorni dopo i Tedeschi entrano a Praga. L'l aprile invia un telegramma con la sua benedizione al generale Franco; il 7 aprile, giorno del venerdì santo, aerei italiani bombardano Tirana e l'Albania viene occupata. II giorno di Pasqua finalmente Pio XII parla: è «un'allocuzione, peraltro prevista anteriormente ai fatti», scrive il cattolico Emmanuel Mounier sul «Voltigeur» del 5 maggio. «In termini molto generali chiama i popoli alla pace. In termini più precisi, condanna le violazioni alla parola data. Il mondo, dolorosamente sorpreso, non sente nessuna parola dalla sua bocca su questo venerdì santo di sangue». Il 16 aprile, dimenticando Guernica e le migliaia di cadaveri, spedisce un messaggio di compiacimento alla Spagna che ancor più, scrive amaramente Mounier, «doveva accrescere il nostro turbamento. Non si trattava più di silenzi, ma di affermazioni. Vostra Santità si felicitava con "la parte sana del popolo spagnolo" per essere entrata in guerra "allo scopo di difendere l'ideale della fede e della civiltà cristiana"; esaltava i "nobilissimi sentimenti cristiani di cui hanno dato prove evidenti il capo dello Stato e tanti fedeli collaboratori"; riteneva che il procedimento usato per strappare la Spagna alle forze disgregatrici è "la prova più alta" che si possa dare sulla supremazia della religione e dello spirito». Questa non era «imparzialità»; si era giustificata una guerra, ma una guerra non è mai giusta.

E la guerra procede nel resto d'Europa; il 23 agosto Hitler e Stalin siglano il patto d'amicizia per spartirsi la Polonia. Il giorno dopo, l'ambasciatore francese presso la Santa Sede, François Charles-Roux, si reca dal papa e lo implora «di denunciare preventivamente tale aggressione di un paese cattolico, nella speranza, se non altro d'impedirla», segnala lo storico Anthony Rhodes, e «il papa preferì non pronunziare tale condanna, ritenendo che essa semmai avrebbe incoraggiato gli aggressori. Cionondimeno decise di parlare alla radio da Castel Gandolfo quella sera stessa, facendo tradurre il suo discorso nelle lingue straniere più note. Questo fu il suo ultimo appello a favore della pace, appello contenente una delle sue frasi più famose: «Nulla è perduto con la pace. Tutto può esserlo con la guerra», espressione suggerita da monsignor Montini, il futuro Paolo VI, allora «sostituto» per gli Affari esteri nella Segreteria di Stato.

Il 20 ottobre 1939 arriva l'enciclica Summi Pontificatus con la condanna dell'invasione congiunta russo-tedesca della Polonia che stigmatizza la «statolatria delle dittature», ma non si capisce perché, come nota Franco Molinari, non ci fosse bisogno di fare nomi, tanto tutti avevano capito che la condanna colpiva Hitler, ma diciamo allora anche Stalin. Ora, è da qui che comincia il cosiddetto «silenzio» di Pio XII. Come si legge sull'edizione straordinaria de «L'Osservatore Romano» del 13 dicembre 1981, a firma di Michele Maccarrone, «è vero che Pio XII, accusato di essere "un papa diplomatico", non esercitò "la grande diplomazia". Non fece un appello ai belligeranti per la cessazione della guerra, come aveva fatto Benedetto xv nell'agosto 1917, non bandì crociate, non lanciò scomuniche, né pronunziò quella solenne, clamorosa "denuncia", con l'elenco dei crimini e dei criminali nazisti, richiestagli da Hochnuth nel dramma Il Vicario».
Lo si può difendere quanto si vuole, ricordando l'intervento a favore dei popoli occupati, il salvataggio di ebrei e internati nei campi di concentramento, tramite i suoi rappresentanti nei vari paesi; e ancora, come annota Molinari, che «Nenni nascosto in Laterano era chiamato don Emiliani, i capoccia dell'ateismo comunista figuravano come panciuti monsignori, gli ebrei circolavano in lunga talare»; e infine il suo accorrere a S. Lorenzo fuori le Mura tra le rovine dei bombardamenti incurante dei pericoli. Non basta. Tutto ciò rientrava nella normalità dello spirito apostolico del vicario di Cristo, gratificato peraltro come nuovo «Defensor urbis» dai Romani in lacrime.

È logico pensare che «il sensibilissimo Pio XII soffriva nella sua carne la tragica incertezza della situazione... tra "la discrezione o il prudente tacere o non piuttosto il parlare aperto e l'azione forte"»; non si vuoI mica affermare che subentrò in lui il disinteresse per gli eventi drammatici. Solo che non risulta esauriente la dichiarazione rilasciata all'ambasciatore italiano Alfieri sulle crudeltà compiute dai nazisti in Polonia, secondo quanto gli aveva riferito l’11 maggio 1940 il console italiano fuggito da Varsavia: «Dovremmo dire parole di fuoco contro simili cose e solo ci trattiene dal farlo il sapere che renderemmo la condizione di quegli infelici, se parlassimo, più dura».
Ma era già «più dura», come avrebbero confermato le tragiche notizie dalla Cecoslovacchia con le deportazioni di ragazze ebree in Germania destinate alle case di tolleranza. Gli avvenimenti sarebbero precipitati, le «parole di fuoco» non sarebbero mai arrivate perché il papa seguitava a ritenerle controproducenti; e non mi pare proprio che «la mancata dichiarazione spettacolare e clamorosa di Pio XII trova dunque la sua spiegazione esauriente in una motivazione umanitaria e realistica», come sostiene ancora Molinari.

È probabile che la protesta spettacolare contro Hitler non avrebbe ottenuto nulla ma, come afferma Hochnuth a proposito del suo Vicario, «in ogni caso il papa doveva tentare»; offrirsi al limite come capro espiatorio lui stesso. Dove erano finiti i suoi fieri propositi annunciati nei primi giorni del pontificato? «Dovremo combattere; io non ho paura», aveva detto ai cardinali-arcivescovi della Germania convocati in Vaticano. Lo aveva ripetuto nel 1940, facendo sapere a Mussolini, il quale ne aveva abbastanza dei suoi pubblici appelli alla pace, che «non temeva di andare in campo di concentramento». E avrebbe dovuto andarci spontaneamente, affrontare il martirio e non dichiarare, al contrario, di fronte al concretizzarsi di certe avvisaglie ai primi del ‘44: «Per andarmene di qui non basterà invitarmi a farlo, ma dovranno incatenarmi. Non basta; incatenato, dovranno trascinarmi con la forza».
E infine. Della rappresaglia tedesca a Roma, che portò all'eccidio delle Fosse Ardeatine, Pio XII inizialmente era all'oscuro, ma poi il cardinal Nasalli Rocca, allora suo cameriere segreto e cappellano a Regina Coeli, venuto a sapere ogni cosa nella notte tra il 24 ed il 25 marzo 1944, riferì tutto al papa che mormorò: «Non è possibile; non posso crederci». E si mosse: «è accertato che Pio XII inviò il padre salvatoriano Pancrazio Pfeiffer, che teneva i rapporti tra gli occupanti e il Vaticano», come ricorda Giulio Andreotti, «ad invocare clemenza presso quel comando. La risposta fu che Hitler era inavvicinabile e che era stata già una concessione il moltiplicare solo per dieci e non per cento il numero delle vittime della rappresaglia».
Ma era quella l'occasione che gli si offriva per un martirio che avrebbe illuminato di santità il papato come ai tempi delle sue origini; il mondo avrebbe visto, avrebbe capito il significato profondo del suo sacrificio. Chi non credeva forse avrebbe scoperto la fede o l'avrebbe ritrovata, secondo le parole di un laico come Dino Buzzati ricordate nell'introduzione a questa serie di biografie: «Se così non è stato, è segno che è intervenuto l'opportunismo, il problema preminente del "sussistere". E certe cadute dello spirito si pagano».

La guerra comunque volgeva alla fine; ma la Chiesa registrava le sue vittime. Tra le tante, il sacerdote polacco Massimiliano Kolbe nel lager nazista di Oswiecim offriva la sua vita per salvare quella di un padre di famiglia; Giovanni Paolo Il lo avrebbe santificato. In Germania il teologo gesuita Alfred Delp, arrestato nel luglio 1944, dopo il famoso attentato a Hitler, veniva impiccato a Plotzense il 2 febbraio 1945, in un martirio contro il quale da Roma non arrivava l'invettiva. Le parole di quel martire sono una condanna per papa Pacelli: «Un'onesta storia della Chiesa dovrà scrivere amari capitoli sui contributi delle Chiese al sorgere dell'uomo-massa, del collettivismo, del potere dittatoriale» .

Non sarà stata «viltà» il comportamento di Pio XII, ma fu in ogni caso un voler «sussistere» ad occhi chiusi in un pontificato che fu sempre più caratterizzato dall'autocrazia. Morto nell'agosto del 1944 il segretario di Stato, cardinal Maglione, il papa non volle nominare un successore, preferendo seguire personalmente il governo della Chiesa. Al prosegretario Tardini dichiarò: «Non voglio collaboratori, ma solo esecutori».
E si chiuse in se stesso: il problema del dopoguerra non era più la Germania nazista, ma i paesi dell'Europa orientale, entrati nell'orbita dell'Unione Sovietica, con un regime comunista. Il problema era la persecuzione che indiscutibilmente la Chiesa venne allora subendo oltre cortina, quella che Pio XII chiamò la «Chiesa del silenzio». Ne fanno testo i processi all'arcivescovo di Zagabria Stepinac e al primate d'Ungheria Mindszenty; e ancora le prigionie sofferte dall'arcivescovo di Praga Beran e dal cardinale polacco Wiszynsky.

Probabilmente un dialogo concreto con i regimi comunisti per aiutare la «Chiesa del silenzio» sarebbe stato improduttivo come lo era stato quello con Hitler. Ma se contro il nazismo e il fascismo non ci fu scomunica, per il marxismo sì. L'anticomunismo di Pio XII, già manifestatosi nel corso della guerra, prese consistenza nel 1949 con un decreto del Sant'Uffizio che scomunicava i marxisti e coloro che scienter et libere aderissero o collaborassero al Partito comunista; e lo faceva affiggere in ogni parrocchia.

Insomma finiva la guerra vera e propria, ma iniziava una «guerra fredda» instaurata da papa Pacelli con le sue dogmatiche chiusure che trovarono la loro più vasta eco nella celebrazione del giubileo del 1950, anno in cui fu proclamato anche il dogma dell' Assunta. «Difesa della Chiesa contro i rinnovati attacchi dei suoi nemici, e impenetrazione della vera fede per gli erranti, gli infedeli, i senza-Dio», era uno degli scopi di quell'Anno Santo; che fu un trionfo personale del papa in un'organizzazione impeccabile. All'apertura della porta santa erano presenti le più illustri personalità del nuovo Stato italiano, della repubblica nata da poco, con la quale si sarebbe instaurato il nuovo connubio clericale.

Infatti l'impegno religioso, che contraddistingue gli ultimi otto anni del pontificato di Pio XII, con le numerose canonizzazioni, tra le quali quella di Pio X nel 1954, che fu anche l'Anno Mariano, si tramutò in pratica in una crociata antimarxista per l'esaltazione della «supremazia della religione e dello spirito». L'impegno religioso si fa politico, legandosi oltretutto a vecchi e superati schemi, nei quali non c'è posto per gruppi laici di rinnovamento con personalità come La Pira o Dossetti. Il papa li evita, non si fida; al limite ha più credito suor paschalina Lehnert «sul cui posto fiduciario presso il Santo Padre molti scalpitarono», come ricorda Giulio Andreotti.

Uno dei pochi su cui Pio XII conti ciecamente è padre Riccardo Lombardi, soprannominato il «microfono di Dio» per la grande arte predicatoria; sorge il «Movimento per un mondo migliore», base per un'opera di riconciliazione tra i popoli a livello ecumenico. Ma è in pratica la «Crociata della bontà» contro la «barbarie rossa»; gli è vicino Luigi Gedda. E si dà grande incremento all' Azione Cattolica che riprende l'attività a più vasto raggio e vengono istituiti i «Comitati civici», strumento del consenso cattolico verso la Democrazia cristiana.
E arrivano anche alcuni aggiornamenti nella liturgia, espressi in forma ufficiale nell'enciclica Mediator Dei, secondo direttive che tendevano ad essere più «moderne»; erano però solo intuizioni temporanee.
Cambiavano le vecchie disposizioni sul digiuno eucaristico, si permetteva la celebrazione della messa vespertina, tornavano le funzioni della Settimana santa alla loro forma originaria. Tutto questo poteva essere il preludio a un rinnovamento totale; secondo Giacomo Martina «un'analisi accurata e minuta dimostrerebbe che dal '40 al '58 si preparava per un complesso di fattori, in parte favoriti, in parte repressi da Pio XII, il rinnovamento che esploderà poi durante e dopo il concilio». La recente pubblicazione di alcuni documenti testimoniano in effetti un interessamento di papa Pacelli ad un'assemblea conciliare, tanto che si è parlato di lui come precursore del Vaticano Il. Franco Molinari ne è proprio convinto: «Il progetto di concilio non è di marca giovannea, bensì pacelliana». Sta di fatto che l’«apertura protesa verso un futuro ricco di più ampi sviluppi» non ci fu, e prevalse una mentalità di fondo statica. Ne fecero le spese personalità di avanguardia come Mazzolari e Maritain; Montini, ancora monsignore, favorevole a un dialogo più ampio col mondo contemporaneo, venne «esiliato» a Milano, sia pure come arcivescovo.

Probabilmente Pio XII fu tradito dal suo spirito autarchico e dal compromesso politico, pecche dalle quali restò immune Giovan ni XXIII, e in questo senso la figura del «pastor angelicus», profetizzata in lui da Malachia e difesa dai pacelliani in un contesto tutto mistico, non ha alcun riscontro concreto. Per quanto dure possano apparire, sono peraltro significative le parole che invece il poeta Pier Paolo Pasolini farà dire a questo papa in una sua poesia, perché stigmatizzano in maniera netta l'immagine del pontefice feticcio e faraonico, quale in ultima analisi egli viene a rivelarsi:

Sono un Papa politico, e perciò enigmatico.
La carità in me, è sepolta nel mio comportamento.
È, forse, divenuta fIatus vocis, anche lamentoso
(la melopea d'ogni Nostro effato).
Mi proteggo. È mio dovere di Papa. Sono un solo blocco. 
Chiesa e Borghesia son divenute unità di comportamento.
Il Dogma ha solo un'altra faccia possibile: il Fare.
E il Fare, per un borghese, non è una cosa sola col Comportarsi?
I suoi ultimi anni non furono in definitiva sereni, «né gli fecero onore le voci di miracoli e visioni che egli avrebbe avuto quasi ottantenne durante una grave malattia», come ricorda Mario Pancera, «e che individui interessati propagandarono a puro scopo commerciale sorprendendo la sua buona fede».

E lo fecero morire due volte: si trovava a Castel Gandolfo dall'estate di quel 1958 e vi aveva prolungato la sua residenza perché era malato. L'8 ottobre era moribondo e qualcuno chiuse «incautamente» un'imposta della fmestra della sua camera; fu interpretato come un «segnale» e a Roma i giornali uscirono con le edizioni straordinarie che annunciavano la sua morte. Non c'era stata una comunicazione ufficiale e infatti arrivò la smentita nei flash d'agenzia: «TI papa è ancora vivo. È stato un errore». E intanto il medico personale Riccardo Galeazzi Lisi scattava fotografie di Pio XII agonizzante che avrebbero fatto il giro del mondo; lo scandalo si sarebbe concluso con un processo.

Pio XII morì veramente, dopo nove ore di agonia, la notte del 9 ottobre, stroncato da una crisi della circolazione cerebrale. Nel pomeriggio dellO la sua salma fu trasferita con un solenne corteo in S. Pietro, ove venne disposta su un enorme catafalco. Durò quattro giorni l'omaggio dei fedeli; l'archiatra pontificio aveva provveduto ad avvolgere il cadavere nel cellophane per evitarne la decomposizione, ma il tanfo all'intorno era tremendo.

Nella notte tra il 13 e il 14, chiuse le porte della basilica, i medici completarono la laboriosa imbalsamazione della salma, che il giorno dopo fu temporaneamente sepolta in S. Giovanni e poi definitivamente tumulata nelle Grotte Vaticane; un monumento in bronzo, opera dello scultore Francesco Messina, gli sarebbe stato eretto in S. Pietro.

(autore: Claudio Rendina)


APPROFONDIMENTI

Carismatica e contraddittoria; così potrebbe sintetizzarsi la figura di Pio XII, un papa che rappresenta l'anello di congiunzione e di passaggio tra il vecchio ruolo di papa monarca e quello moderno di pastore ecumenico, umano e spirituale al tempo stesso.

Eugenio Pacelli venne eletto Papa il 2 marzo 1939, poco dopo le ore 18. L'annuncio urbi et orbi veniva fatto dalla loggia della basilica centrale Vaticana dal cardinal Dominioni: era una nomina scontata, perché correva voce che il cardinal Pacelli, dotto e affermatissimo in tutto il mondo, come apprezzato e fedele collaboratore di Pio XI, "aveva studiato da papa sin da piccolo".

E' curioso notare che negli Stati Uniti, in Francia, in Inghilterra l'elezione venne celebrata come una vittoria sugli stati totalitari, ad eccezione di Berlino dove si assunse una posizione di fredda riserva.

Nato a Roma nel 1876 dalla nobildonna Virginia Graziosi e dall'avvocato Filippo Pacelli, patrizio romano, il giovane Eugenio, volitivo, ascetico, fermo, compie un rapido iter di studi dal Liceo Visconti all'Università Gregoriana, a 23 anni è sacerdote e inizia presto la carriera diplomatica e curiale grazie al cardinal Gasparri, che lo coinvolge nella Riforma del codice di Diritto Canonico. Nel 1917 è già nunzio apostolico a Monaco, vi rimarrà fino all'estate del 1925, e poi starà Berlino dal 1925 fino al 1929 (in tutto rimarrà in Germania 12 anni) dove forgerà ancora di più il suo rigore, appassionandosi alla cultura del popolo germanico, ma anche riportando una conoscenza diretta dei problemi di quella nazione: durante la prima guerra mondiale ricopre infatti delicatissimi incarichi diplomatici, come ad esempio, quando il 29 luglio 1917 presenta a Guglielmo II le proposte di pace formulate dal pontefice. Ottiene di visitare e di assistere i prigionieri militari nei campi di concentramento in Germania.

Sfasciatosi l'impero tedesco, dopo la sconfitta militare, e formatosi il Reich repubblicano, rimase presso la nuova Germania sempre come Nunzio e firmò i Concordati con la Baviera e col Reich.
Anche il suo criticatissimo "silenzio" sulle stragi di Hitler, durante la seconda guerra mondiale, verrà collegato a questo suo amore per la Germania, ma non sarà motivato da sue simpatie verso il nazismo. La sua aperta e ferma opposizione a ogni forma di marxismo e comunismo si collega, invece, a un'aggressione da lui subita a Monaco da parte di alcuni soldati russi che lo minacciarono con una pistola.

Suoi furono i Concordati stipulati dalla Santa Sede e con la Baviera (1925) e con la Prussia (1929).

Nel 1929 Pio XI lo nomina cardinale e Segretario di Stato, succedendo al cardinal Gasparri. In tale veste conduce personalmente i negoziati decisivi per i Concordati con il Baden (1932) e con il Reich di Hitler (1933). Compie viaggi in tutto il mondo, durante i quali cresce la sua fama di uomo ascetico, poliglotta, diplomatico.
Nel 1936 si recherà negli Stati Uniti, viaggio cui risale l'inizio della corrispondenza diretta con il Presidente Roosevelt che durerà fino alla morte di quest'ultimo.

Eletto papa il 2 marzo 1939, subito si preoccupa di parare la minaccia di guerra gravante sull'Europa ad opera soprattutto del nazismo. Invia un messaggio invitando le nazioni alla pace e successivamente dichiara la sua imparzialità. Ma anche benedice il generale Franco che ha concluso l'alzamiento con la vittoria, gesto che turba le coscienze di molti cattolici di fronte all'atteggiamento della Chiesa in quel frangente storico mondiale.

Cerca di mantenere buoni rapporti con il governo italiano, che non valgono a distogliere il regime fascista dai suoi folli propositi di guerra.
Nel dicembre del 1939 addirittura fa visita, evento senza precedenti, al re d'Italia Vittorio Emanuele III, episodio che segna una svolta nei rapporti fra Italia e Santa Sede. (per un approfondimento vedi Rapporti Stato e Chiesa)

Il gesto ha anche un significato politico. Ricapitoliamo. Il 10 febbraio è morto Pio XI improvvisamente. Il 2 marzo il Conclave ha eletto il cardinale Eugenio Pacelli, che era il Segretario di Stato e che prende il nome di Pio XII.
Il 1° settembre scoppia la guerra, che terminerà, fra lutti e distruzioni immani, solo nel 1945. Ma Mussolini tiene, per il momento, l'Italia fuori dal conflitto, pur sollecitato da molte parti.
A dicembre del '39, re Vittorio Emanuele III rende visita ufficiale al nuovo Papa, e si reca solennemente in Vaticano, proprio come dieci anni prima, accompagnato dalla regina Elena, vestita di bianco e con un lungo velo in testa. Solenni cerimonie, colloquio fra i due personaggi nella Sala del Trono, accorati appelli di Pio XII affinchè l'Italia si tenga fuori dal conflitto. Il Re vorrebbe replicare al Papa, ma il ministro degli esteri, Ciano, fa furtivamente segno di no, che non è il caso di parlare di quelle cose.

Ed ecco il colpo di scena, la sorpresa per tutti. Il cardinale Maglione, nuovo Segretario di Stato, non viene inviato al Quirinale per restituire la visita, ma è il Pontefice stesso, pochi giorni dopo, il 28 dicembre, che decide di recarsi di persona a rendere la visita ai Sovrani d'Italia.
E' un avvenimento mai visto, in passato. E così, in quel giorno di dicembre del 1939, Roma assiste a questo spettacolo mai visto: il Papa Pio XII si reca, in solenne corteo ufficiale, fino al Quirinale. Pioveva forte, ma il Papa volle che l'automobile su cui viaggiava fosse decapottata, in modo che tutte le migliaia di persone assiepate lungo il percorso, potessero vederlo. Portava in testa il cappello rosso dalle ampie falde, e questo, con il mantello papale, pure rosso, era l'unico riparo dalla pioggia battente.
Fra le acclamazioni di un popolo romano letteralmente impazzito al vedere questo grande e mai visto spettacolo, il Vescovo di Roma passava, dopo decenni di "invisibilità", per le vie della capitale, e in modo ufficiale e solenne, fra due interminabili ali di soldati che presentavano le armi, e per andare a rendere visita al loro sovrano. Il corteo di automobili nere, raggiunse alfine il palazzo del Quirinale, antica residenza dei pontefici, e Pio XII venne ricevuto, ai piedi dello scalone d'onore, dal vecchio Re, in alta uniforme militare.
Vittorio Emanuele III, nel Salone dei Corazzieri, gli presentò poi i vari componenti della Famiglia reale, i funzionari, i politici. Seguì il discorso privato, nella Sala del Trono.
Stranamente Mussolini era assente. Probabilmente non aveva affatto gradito che a Roma risuonassero, per le strade, grida di giubilo e applausi rivolti ad una personalità che non faceva parte né dei Savoia né del Regime fascista. Forse la figura del Papa gli dava ombra e l'omaggio del popolo e delle autorità ad un personaggio unico al mondo, con un grande potere spirituale che durava da secoli, lo infastidiva non poco.

Non aveva, naturalmente, potuto opporsi alla storica visita, ma aveva sottolineato il suo distacco e la sua critica per questa inusuale iniziativa pontificia, rimanendo nell'ombra, in un silenzio corrucciato, e "brillando per la sua assenza" nel Palazzo del Quirinale. Inoltre, se fosse stato presente, per motivi di protocollo avrebbe dovuto occupare un posto secondario, sia rispetto al Papa che rispetto al Re, e questo naturalmente non poteva non dare fastidio ad un dittatore.
Così un Pontefice ritornava, questa volta da ospite, nell'antica residenza dei Papi, il palazzo del Quirinale, abbandonato in tutta fretta nel lontano settembre del 1870.
Scoppiata la seconda guerra mondiale, Hitler e Stalin si alleano per invadere la Polonia: Pio XII il 20 ottobre 1939 emana l'enciclica Summi Pontificatus, condannando l'invasione russo-tedesca della Polonia.

Da questo momento iniziò il silenzio del Papa, che gli procurò molte critiche, sebbene egli si impegnasse nel salvataggio di ebrei e internati nei campi di concentramento, oltre che di uomini e valori senza distinzione di fede. L'atteggiamento del pontefice fu condizionato dalla sua convinzione che (vedi in altre pagine) una condanna aperta dei crimini nazisti si sarebbe rivelata controproducente; ma proprio la sua dote massima, la diplomazia, egli non osa spenderla fino in fondo, ma la usa come il "male minore". Il popolo, e in particolare molti tra i romani, che lo avevano elevato a nuovo Defensor urbis, non gli perdonarono questa incertezza che divenne drammatica in occasione della rappresaglia tedesca a Roma, dopo l'attentato di via Rasella, che portò all'eccidio delle Fosse Ardeatine il 25 marzo 1944.

Ma contro il regime hitleriano denunciò i crimini dell'eugenetica e del razzismo nazista.
Robert M.W. Kempner, ex delegato degli Stati Uniti al Consiglio del Tribunale dei crimini di guerra di Norimberga ha scritto: "Ogni tentativo di propaganda della Chiesa cattolica contro il Reich di Hitler non si sarebbe rivelato che un suicidio provocato, come ha dichiarato Rosenberg (ideologo del nazismo) ma avrebbe accelerato l'esecuzione di un numero ancor più alto di ebrei e di sacerdoti". Pertanto il riserbo di Pio XII fu tutto il contrario di una forma di indifferenza nei riguardi delle vittime. Mentre il Pontefice mostrava in pubblico un apparente silenzio, la sua Segreteria di Stato sollecitava nunzi e delegati apostolici in Slovacchia Romania Ungheria prescrivendo loro di intervenire presso i rispettivi governi e presso gli episcopati allo scopo di suscitare un'azione di soccorso, la cui efficacia fu riconosciuta all'epoca, dai ripetuti ringraziamenti delle organizzazioni ebraiche e che uno storico israelita, Pinchas Lapide, non esitò a tradurre in cifre: 850.000/1.000.000 DI persone salvate.

La Santa Sede abituata com'era alle delusioni, ai rifiuti, ai fallimenti non coltivò alcuna illusione sulla portata della propria influenza, anche se altri, mossi da buone intenzioni, o , al contrario, da intenzioni ostili le accreditavano un potere illimitato.

Durante il conflitto organizzò in Vaticano un ufficio d'informazioni per i prigionieri e i dispersi e si adoperò per far dichiarare Roma "città aperta" riuscendo nel suo intento e meritandosi l'appellativo di "Defensor civitatis". Accolse in Vaticano i rappresentanti dei partiti oppositori del regime e si adoperò per salvare gli ebrei. Già durante il conflitto, ma specialmente dopo la sua conclusione, Pio XII lottò tenacemente per liberare l'Italia dall'avanzata del comunismo.

Il 1948 portò alla vittoria l'allora partito dei cattolici italiani, risparmiando alla nazione la triste esperienza dello stalinismo. Nell'ambito precipuamente religioso Pio XII svolse una vasta attività nel campo della dogmatica: pur lasciando ai principi la loro essenziale immutabilità, volle rivedere molti punti per adeguarne la formulazione esterna ai progressi tecnici e scientifici con opportuni aggiornamenti in campo morale e disciplinare.

Obbediscono a questa linea le sue encicliche:

  • la Divino Afflante Spiritu (1943), sui principi che devono informare i problemi della ricerca biblica specialmente di fronte alle nuove esigenze e ai progressi scientifici;
  • la Mystici Corporis (1943), dove il pontefice svolge un'ampia esposizione della dottrina rivelata della Chiesa;
  • la Mediator Dei, in cui trovano adeguata puntualizzazione molte questioni di teologia sacramentaria assieme ad una trattazione sistematica della teologia liturgica;
  • la Humani generis che definisce ex cathedra il dogma dell'Assunzione di Maria Vergine in Cielo;
  • la Munificentissimus Deus (1950) che delinea il progressivo affermarsi delle verità implicitamente contenute nella Rivelazione;
  • la Sempiternus Rex (1951), pubblicata in occasione del XV centenario del Concilio di Calcedonia.

Nel campo delle scienze Pio XII diede impulso alla Pontificia Accademia delle Scienze; ordinò scavi sotto l'altare della confessione in S. Pietro per rintracciare il sepolcro del primo pontefice romano.

Sui problemi morali papa Pacelli ebbe a cuore la tutela del matrimonio come sacramento e della santità della vita familiare proponendola nei suoi numerosissimi discorsi ai giovani sposi, con un decreto del Sant'Uffizio del 1944, con un noto discorso alle ostetriche nel 1951, etc...; nell'ambito del diritto canonico fece pubblicare i libri De Matrimonio, De Iudicibus, De bonis, De religiosis, De verborum significatione del Codice per le Chiese Orientali.
Grandissima corrispondenza da parte dei fedeli ebbe la celebrazione dell'Anno Santo 1950, culminata con la proclamazione del dogma di Maria Assunta in Cielo.
La celebrazione del Giubileo del 1950 fu un trionfo per papa Pacelli, grazie ad una perfetta organizzazione e alla presenza delle più illustri personalità del nuovo Stato italiano: accetta consigli da Luigi Gedda e da Giulio Andreotti, mentre si fida di meno di Giuseppe Dossetti e Giorgio La Pira. Tra fiumi di persone accorsi da tutto il mondo, papa Pacelli proclama, pur tra le perplessità di molto teologi e vescovi circa le negative ripercussioni di un dogmatismo troppo spinto, il dogma di fede dell'Assunzione di Maria Vergine in cielo, incrementando le processioni alla "Madonna Pellegrina".

Nel clima di una crociata antimarxista, diede incremento all'Azione Cattolica di Luigi Gedda e permise l'istituzione dei Comitati civici, strumenti di consenso per la DC. Pensò anche di indire un Concilio per affrontare l'immensa mole di problemi emersi dalla guerra, ma preferisce organizzare questa materia nei suoi discorsi e da il via a una prima parziale riforma liturgica, venendo incontro alle nuove esigenze del mondo moderno, Pio XII permise la celebrazione della Messa anche nelle ore vespertine e ridusse gli obblighi del digiuno eucaristico. Sotto il suo pontificato fu elevato agli onori degli altari papa Pio X (1951), mentre San Francesco d'Assisi e Santa Caterina da Siena furono proclamati patroni d'Italia (1939).
I suoi ultimi istanti di vita sono drammatici, le foto della sua agonia sono vendute alla stampa dal suo medico, dottor Giuseppe Galeazzi, che sarà poi radiato. Dopo la sua morte, avvenuta la notte del 9 ottobre 1958, le sue spoglie, portate frettolosamente a Roma, e imbalsamate in modo maldestro, vengono esposte in San Pietro il 15 ottobre, per essere sepolte dopo solenni funerali in San Giovanni e poi nelle Grotte Vaticane. In San Pietro lo ricorda una bellissima statua di Giuseppe Messina.

Sui "silenzi" di PIO XII...

...un'utile opera di divulgazione storica su una sicura base scientifica di mons. AGOSTINO MARCHETTO

Con la sua pubblicazione (Pierre Blet, S.J., Pie XII et la Seconde Guerre mondiale d'après les archives du Vatican, Librairie Académique Perrin, 1997, p. 336) il P. Blet compie una utilissima opera di divulgazione storica, sulla sicura base scientifica degli "Actes et Documents du Saint Siège relatifs à la Seconde Guerre mondiale" (Libreria Ed. Vaticana, Città del Vaticano, 1965-1981, in 11 tomi e 12 volumi). Sono così ora offerte, in pubblicazione unica, abbordabile, le conclusioni riassuntive della generosa e preziosa ricerca d'archivio dei PP. R. Graham, A. Martini e B. Schneider, oltre che dello stesso P. Blet. Essa illustra l'atteggiamento e l'azione di Papa Pacelli e della Santa Sede durante la terribile ultima guerra. "Questa documentazione fa vedere - e lasciamo qui la parola all'Autore - la situazione nella quale la guerra mise il papa, con le informazioni più o meno complete che gli pervengono, i ricorsi che si fanno alla sua influenza morale e religiosa, che alcuni immaginano illimitata e che ciascuno cerca di utilizzare nell'interesse della propria causa, i suoi sforzi per salvare ciò che lo può ancora essere, conservando l'imparzialità tra le parti in lotta, i suoi passi per sviare il flagello, i tentativi per contenerlo e, quando fu scatenato a scala europea (e) poi mondiale, i suoi sforzi per addolcire le sofferenze e soccorrere le vittime" (p. 9).

Dopo aver menzionato i limiti dell'analisi di un qualsiasi archivio ("anche il più completo non rende giammai conto della realtà totale", per esempio), l'Autore conclude che questi documenti risultano però essere la sorgente essenziale e insostituibile della storia della Santa Sede durante la II Guerra mondiale. Il P. Blet continua peraltro il suo dire facendo una constatazione ben triste, e cioè "l'esperienza dei quindici anni trascorsi dall'apparire dell'ultimo volume (dei citati "Actes") mostra che il contenuto, se non l'esistenza stessa di questa pubblicazione, sono ancora sfuggiti a molti di coloro che parlano e scrivono sulla Santa Sede durante l'ultima guerra".
E proprio da tale constatazione è nata l'idea del presente volume, che cerca di illustrare il loro contenuto. In effetti, essendo ciascuno degli undici tomi che compongono l'opera preceduto da una introduzione dalla quale risulta l'essenziale dei documenti presentati, l'Autore ora qui le riprende, sia pur sinteticamente, alleggerendo altresì il libro suo dell'apparato di riferimento alle fonti. Si limita di fatto a indicare all'inizio di ogni suo capitolo i volumi nei quali tali documenti sono pubblicati. Così il P. Blet utilizza il lavoro dei suoi antichi colleghi, dei quali egli è il solo sopravvissuto, citandone altresì qualche contributo scientifico posteriore agli "Actes" , con richiamo infine a collezioni di storia diplomatica (Documenti diplomatici italiani, Documents on British Foreign policy, Foreign Relations of the United States, Diplomatic papers, Akten zur deutschen Auswaertigen Politik - 1918-1945) e a qualche "diario" di protagonisti della storia contemporanea, insieme a talune opere particolarmente importanti o significative. Il tutto è compiuto, in nota, all'inizio di ogni capitolo.
Essi portano i seguenti titoli:
* la diplomazia vaticana contro la guerra;
* Pio XII, Roosevelt e Mussolini;
* il Papa e la Chiesa di Germania;
* la Chiesa nella Polonia invasa;
* al tempo del Reich trionfante;
* dalla guerra europea alla guerra mondiale;
* leggi e persecuzioni razziali;
* la deportazione in Slovacchia e in Croazia;
* la Romania e l'Ungheria;
* la sorte della Città eterna;
* gli affari di Francia e ultimi combattimenti e destino dei popoli.
Non possiamo naturalmente qui seguire l'Autore nel dipanarsi del suo procedere, ma desideriamo ugualmente offrire al lettore qualche conclusione, traendo lo spunto dal riassunto finale della valida ricerca, fornitoci nell'ultima parte dell'opera (p. 317-326).
Da essa risulta evidente che Pio XII fece tutto il possibile per allontanare il pericolo della guerra: passi segreti diplomatici, discorsi solenni, appelli patetici ai popoli e ai loro governanti, insistendo affinché fosse evitata ogni provocazione, specialmente tra Polonia e Germania, fino al famoso, estremo, appello: "Nulla è perduto con la pace, tutto può esserlo con la guerra".
Vi è poi illustrazione della sua "politica" nel tempo della guerra: assecondare le occasioni per incamminare di nuovo i popoli verso la conclusione di una pace onorevole per tutti e intanto sollevarli dalle terribili ferite, già inflitte o che saranno inferte in avvenire. Intanto la sua prima preoccupazione fu di trattenere l'Italia dall'entrare in battaglia. Al tempo stesso trasmise a Londra le proposte dei generali tedeschi che volevano liberarsi di Hitler, ma chiedevano garanzie per una pace onorevole per il loro Paese. Su questa linea giunse a prevenire Francia ed Inghilterra dall'attacco tedesco contro Belgio, Olanda e Lussemburgo. Una volta realizzatasi poi la invasione, la condannò, servendosi dei telegrammi di condoglianza ai tre loro sovrani. Lo fece per imparzialità, che giudica le cose secondo verità e giustizia, non per neutralità.
Anche per questo rifiutò di accedere al desiderio di una sua dichiarazione a favore dei soldati italiani e tedeschi impegnati nella battaglia contro la Russia sovietica e tolse gli scrupoli, pur con un cammino specialmente studiato, ai cattolici americani a proposito dell'aiuto che il loro governo si proponeva di fornire alla Russia.
Per la Polonia, ci si pose la questione di una dichiarazione pubblica, mentre già l'Enciclica Summi Pontificatus aveva evocato il passato eroismo e le attuali sofferenze della nazione polacca. Tardini scrisse al riguardo: "di fronte a una condanna solenne, la potenza occupante appesantirà ancor più la sua mano sulle vittime e proibirà quel poco di bene che la Santa Sede può ancora fare loro". Si ripiegò così su una lettera a Ribbentrop, firmata dal Card. Maglione, che non fu nemmeno accettata. Finalmente nel suo discorso ai Cardinali del 2 Giugno 1943 Pio XII esaltò le sofferenze del momento e le glorie passate della Polonia, ricevendo dagli alti Dignitari di quella Chiesa locale l'espressione della più calorosa riconoscenza.
A proposito della persecuzione contro i Giudei, in risposta agli appelli al soccorso, da più parti giunti, pur regnando "incertezza sulla loro sorte, con l'andare del tempo i sospetti di un tragico destino divennero più pesanti". In effetti, in data 5/5/43, la Segreteria di Stato "riassumeva in una breve, ma impressionante nota, i comunicati che pervenivano sulla sorte dei Giudei: si parlava di campi della morte, di vittime rinchiuse a centinaia in camere, dove morivano per l'azione dei gas o stipati in vagoni ermeticamente chiusi". E ci si domandava "quale fosse la esatta portata di tali informazioni che lasciavano i governi alleati, e molti degli stessi ambienti giudaici, esitanti su ciò che si doveva credere e su ciò che si poteva fare".
Per il Natale del 1942, Pio XII aveva, intanto, denunciato tutte le crudeltà della guerra in corso, la violazione delle convenzioni internazionali, evocando "le centinaia di migliaia di persone che, senza colpa propria alcuna, a volte unicamente in ragione della loro nazionalità o razza, sono destinate alla morte". Sull'argomento il Papa tornò nel giugno (il 2) seguente, del 1943 dunque, ancora con vivi accenti, ma non era - è vero - quella condanna "esplicita" che certuni volevano egli fulminasse. E il Vescovo di Roma se ne giustifica, quasi, spiegando che ogni parola delle sue pubbliche dichiarazioni "doveva essere considerata e pesata con una serietà profonda nello stesso interesse di coloro che soffrono".
Siamo al nocciolo della questione dei cosiddetti "SILENZI" di Pio XII, perché egli ormai si attesta su questa riserva di fondo, anche se la gravità di una tale decisione gli era apparsa in tutta la sua drammaticità già in antecedenza. Egli così scriveva, infatti, il 20 febbraio 1941: "Là dove il papa vorrebbe gridare alto e forte, è sfortunatamente l'attesa e il silenzio che gli sono sovente imposti; là dove egli vorrebbe agire ed aiutare, ecco la pazienza e l'aspettativa (che si impongono)". E più tardi (il 3 marzo 1944) affiderà allo scritto, un'altra volta, il suo dramma: "Con frequenza è doloroso e difficile decidere ciò che la situazione comanda: una riserva e un silenzio prudenti, o al contrario una parola franca e un'azione vigorosa".
Il Rev. P. Blet cerca di sondare, a questo punto, i motivi che stanno alla base dell'atteggiamento di Pio XII, e li trova, all'esterno, in una formula lapidaria della Croce Rossa ("le proteste non servono a niente e possono rendere un pessimo servizio a chi si pensa di aiutare") e in una considerazione del Dipartimento di Stato ("La sola maniera dì aiutare i Giudei è vincere la guerra"). L'Autore, a conferma, cita anche R. M. W. Kempner, antico delegato degli U.S.A. al Consiglio del Tribunale di Norimberga, il quale così si esprime: "Ogni tentativo di propaganda della Chiesa cattolica contro il Reich di Hitler non sarebbe stato soltanto un suicidio provocato, come l'ha dichiarato attualmente Rosenberg, ma avrebbe affrettato l'esecuzione dì ancor più Giudei e preti". In questo modo si fa intravedere anche la preoccupazione del Papa per i cattolici tedeschi.
Ma mentre vi era un'apparenza di silenzio in pubblico, la Segreteria di Stato "pungolava" Nunzi e Delegati Apostolici, in Slovacchia e Croazia, in Romania e Ungheria, specialmente, a intervenire presso governi ed episcopati per suscitare una azione di soccorso, la cui efficacia fu riconosciuta anche dalle Organizzazioni giudaiche e il cui frutto uno storico israeliano, Pinchas Lapide, non teme di valutare attorno alle 850.000 (ottocentocinquantamila) vite salvate.
A questo punto il P. Blet affronta l'argomento della "resa incondizionata" esigita dagli Alleati e che tanto pregiudicò l'azione della Santa Sede, anche se Pio XII non intendeva certo farsi avvocato di una "pace zoppa". Il Papa pensava che tale condizione alleata non poteva che "prolungare inutilmente le rovine e i massacri".
Ma c'era altresì la questione orientale, noi la chiameremmo.
E la Polonia già faceva appello a Pio XII per un intervento presso gli Alleati occidentali contro le pretese della Russia sovietica... Ma a Yalta, nonostante le intenzioni iniziali di Roosevelt e di Churchill, la Polonia e l'Europa Orientale furono abbandonate al potere sovietico.
Intanto però ancora continuava la guerra sicché Pio XII continuò nel proprio sforzo di alleviarne almeno le sofferenze. E qui il P. Blet riesce felicemente, pur in breve spazio, a dare un quadro impressionante di tale opera, dell'attività cioè caritativa ed umanitaria della Santa Sede. Era il segno che malgrado la "secolarizzazione" della società, la Chiesa cattolica rimaneva cosciente della sua azione umanitaria, intimamente legata alla sua missione religiosa. E detta azione, coordinata anche con altre forze "umanitarie" (quali il Comitato Internazionale della Croce Rossa o le diverse Organizzazioni giudaiche), andò a tutte le vittime della guerra, senza distinzione di nazionalità, di razza, di religione o di partito.
Di fronte a tutti gli ostacoli la Santa Sede mostrò una tenacia ostinata e una perseveranza degna della nobiltà delle finalità che essa si era prefisse, e cioè, in termini pacelliani, "rendere la guerra più umana, addolcirne i mali e soccorrerne e consolarne le vittime".
Nel maggio 1952, Pio XII osò porre la seguente questione: "che cosa avremmo dovuto fare che non abbiamo fatto?". E Papa Pacelli si dichiarò cosciente, per evitare la guerra, per alleggerirne le sofferenze, per diminuire il numero delle vittime, "d'aver compiuto tutto ciò che egli aveva creduto poter fare".
Il P. Blet conclude, a sua volta, così: "Per quanto sia possibile ai documenti di penetrare i cuori, essi conducono alla stessa conclusione". Ma aggiunge, citando giudizi di Montgomery e de Gaulle, in fondo sulla "altezza di visione pacelliana, sopra gli interessi opposti e le rivali passioni", che essa "renderà sempre arduo il compito di comprendere la politica e la personalità di Papa Pio XII".
(L'articolo è tratto da L'OSSERVATORE ROMANO 16-17 febbraio 1998. L'autore, Mons. Agostino Marchetto, è Nunzio Apostolico alla Santa Sede e grande studioso di Storia.)

 

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Encicliche di Pio XII