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PIO XI
Achille Ratti

Nato a Desio il 31.V.1857

Eletto papa il 6.II
e consacrato il 12.II.1922
Morto il 10.II.1939

Il conclave
Ci vollero 14 scrutini e quattro giorni di conclave ai 53 cardinali riuniti nella cappella Sistina dal 2 febbraio 1922 per eleggere il successore di Benedetto XV; le «fumate nere» si ripeterono davanti alla folla impaziente in piazza S. Pietro, nel susseguirsi all'interno di due candidature. Dapprima il francese Merry del Val, segretario di Stato di Pio X, e il cardinale Maffi, arcivescovo di Pisa; poi i cardinali La Fontaine e Gasparri. La scelta infine di Achille Ratti, arcivescovo di Milano, il 6 febbraio, fu un compromesso tra la fazione progressista e quella conservatrice.

L'eletto volle assumere il nome di Pio XI e compì subito un gesto mai più verificatosi dai tempi della breccia di porta Pia: si affacciò dal balcone esterno alla basilica e impartì la benedizione «urbi et orbi». La folla applaudì al grido: «Viva Pio XII Viva l'Italia!». Era un chiaro segno dei tempi nuovi; il papa si rivolgeva direttamente all'Italia senza mezzi termini per risolvere una volta per tutte la «questione romana». Venne incoronato il 12 febbraio in S. Pietro.

Vita
Achille Ratti era nato a Desio, presso Milano, il 31 maggio 1857, da una famiglia di bassa borghesia; il padre era direttore di una manda. A dieci anni era entrato in seminario a Seveso, distinguendosi per la precoce serietà; l'arcivescovo di Milano, durante una visita pastorale, lo notò e gli sembrò «un giovane vecchio». A 22 anni era ordinato sacerdote, ma i suoi grandi interessi erano gli studi storici, in special modo quelli civili ed ecclesiastici della Lombardia; venne pubblicando su quei temi numerosi scritti e nel 1888 divenne dottore alla biblioteca Ambrosiana. Sembrava destinato a passare la sua vita tra i libri, perché nel 1907 in quella biblioteca era divenuto prefetto e non c'era verso di attrarlo con altri interessi. Solo l'alpinismo lo distoglieva dalle «sudate carte»; era il suo hobby. Aveva compiuto la scalata del monte Rosa, passando una notte su una roccia a 3600 metri sul vuoto; aveva scalato anche il Bianco e il Cervino.
Poi nel 1911 arrivano ordini superiori; Pio X lo vuole a Roma alla biblioteca Vaticana e così lascia Milano. Ma non è destinato a finire tra i libri; Benedetto xv ne intuisce le doti diplomatiche e lo spedisce come nunzio apostolico in Polonia, Lituania e Slesia; nel 1921 è maturo per la porpora e in questa veste torna a Milano come arcivescovo.
In quella città gli basta un anno per rendersi conto dell'andamento politico tra i torbidi continui che si verificano, con un governo incapace di controllare la situazione.
In un discorso alla sua diocesi dichiara che «il papa è il più grande decoro dell'Italia» e in una situazione caotica come quella che la nazione sta vivendo è impensabile quale «prestigio e quali vantaggi potrebbero dalla sua presenza derivare al nostro Paese, quando fosse tenuto nel debito conto del suo essere internazionalmente e sopranazionalmente sovrano». È convinto che il papa in pratica debba rientrare in possesso del suo potere temporale; e una volta eletto s'impegnerà per raggiungere questo programma.

Papa
Il 1922 è l'anno della «marcia su Roma»; pare che le camicie nere avessero avuto precisi ordini per il rispetto del clero nella loro avanzata verso la capitale; era prevista una manifestazione in favore del papa in piazza S. Pietro. Su L'Osservatore Romano del 29 ottobre di quell'anno si legge: «S'annunzia che l'onorevole Mussolini intende avviare alla collaborazione governativa... uomini di ogni parte, solleciti soprattutto degli interessi del popolo». Non è un elogio, ma è perlomeno «un atteggiamento di cauto ottimismo verso il regime fascista», come ha scritto Giacomo Martina; Pio XI sapeva benissimo con chi aveva a che fare, ma giocava da gran diplomatico le sue carte, e con autorità.
Mussolini ha teso una mano ai cattolici riconoscendo l'importanza della religione cristiana nella storia e nella vita italiana e si mostra di sposto a concessioni alla Chiesa; il nuovo papa è propenso a soluzioni di vertice più che a mediazioni democratiche. Sta bene l' «Unione nazionale» di cattolici come Mattei-Gentile e Carapelle, ma non il Partito popolare di don Sturzo, che lascia l'Italia e va esule a Londra. Ai preti è proibita l'iscrizione a qualsiasi partito. Sta bene piuttosto l'Azione Cattolica riorganizzata sulla base dei quattro rami di giovani, uomini, gioventù femminile, donne, penetrando in ogni parrocchia; e secondo quanto nota il Tramontin, «questa rete capillare avrebbe dovuto contribuire a diffondere quella regalità sociale di Cristo nel paese».
È la strada sulla quale si attua appunto, per dirla con Carlo Falconi, nella proclamazione della festa di Cristo re nel 1925, il neo-temporalismo della Chiesa in Italia, sanzionato dai famosi «Patti lateranensi» dell'11 febbraio 1929, articolati com'è noto su un trattato politico, una convenzione finanziaria e un concordato. La Santa Sede ritrova se stessa; è la Città del Vaticano territorialmente, ma in sostanza è la ricostruzione di una teocrazia estesa gradatamente in tutto il mondo, con .papa Ratti pronto a cogliere qualsiasi opportunità per entrare in rapporto con tutti gli Stati, qualunque siano le caratteristiche del loro regime, e piazzando di nuovo le roccaforti cattoliche in scuole e partiti che consolidino il neo-temporalismo della Santa Sede nel mondo.

Una politica di presenza comunque attraverso appunto una serie di concordati; da quello con la Lettonia nel 1922 a quello con la Romania e la Lituania nel 1927 , con la Germania e l'Austria nel 1933 , con la Jugoslavia nel 1937 e la Polonia nel 1939. Concordati tutti motivati certo da impegni religiosi, con i quali Pio XI compie un capolavoro di alta scuola per una «restaurazione» più ampia. Al fine tutto spirituale di ricondurre l'umanità intera ai principi cristiani irradiati dalla sede di Pietro, si accompagna inesorabilmente la riaffermazione di una sovranità terrena del papato, tra concessioni e privilegi che danno sicurezza economica alle istituzioni ecclesiastiche.

Il grande politico si rivela in due momenti; nella fase iniziale d'aggancio a certe «alleanze ripugnanti» che sono quelle di dittatori come Dollfuss, Horthy, Salazar, Hitler, Franco e naturalmente Mussolini, e in una seconda fase quando, ottenuto lo scopo, appare pronto a condannare, forte del proprio ritrovato prestigio, o perlomeno a risentirsi da capo di Stato ormai universalmente riconosciuto.

Ed ecco nel 1931 l'enciclica in italiano Non abbiamo bisogno del 5 luglio contro la dottrina e la prassi fascista in difesa della sua Azione Cattolica, minacciata dalle organizzazioni ispirate all'ideologia fascista, che papa Ratti non esita a bollare come «statolatria pagana».
Ma nella Quadragesimo anno del 15 maggio aveva riconosciuto la «stringente necessità di resistere con fronte unico alle schiere dei partiti sovversivi», giustificando così la rinuncia ai sindacati cattolici e approvando l'organizzazione corporativa in una sorta di connubio clerico-fascista.

Nel 1937 poi l'enciclica in tedesco Mit Brennender Sorge, partendo da una protesta contro i danni alle persone e ai beni ecclesiastici tedeschi, si allarga ad una vera e propria condanna del paganesimo hitleriano. Essa denuncia «le violazioni del concordato, le mille forme di compressione della organizzata libertà religiosa, la divinizzazione idolatrice della razza e del sangue, le orrende campagne scandalistiche contro il clero, la lotta contro la scuola cattolica, il soffocamento della stampa». Pio XI avrebbe voluto rompere le relazioni diplomatiche, richiamando il nunzio da Berlino, ma fu trattenuto dal segretario di Stato Eugenio Pacelli, il futuro Pio XII.

Sempre nel 1937 papa Ratti condannò in un'altra enciclica, la DiviniRedemptoris, il comunismo; in tal modo egli rifiutava categoricamente qualsiasi dittatura, che bloccasse la libertà religiosa dei cattolici.

In fondo tutta la politica concordataria di Pio XI con i poteri totalitari si risolse in un «confronto», mirabilmente aiutato da segretari di Stato preparatissimi come i cardinali Gasparri e Pacelli, che successe al primo nel 1930; seppe puntare i piedi sui principi fondamentali della Chiesa, condannando non appena i diritti dei cattolici venissero sopraffatti. Il pericolo era ovviamente il compromesso, nel quale egli non cadde mai, perlomeno nelle sue funzioni di capo della Chiesa di Roma.

E questo fu principalmente papa Ratti, capo di un potere religioso che egli era riuscito a ripristinare in tutto il mondo, con l’istituzione di 128 sedi arcivescovili e 113 prefetture apostoliche, nella fitta rete missionaria distribuita in tutti e cinque i continenti, tanto da passare alla storia come il «papa delle missioni». Notevole in questo campo fu infatti la fondazione aRoma nel 1927 della «Lega missionaria studenti» e la creazione del «clero indigeno» con i primi sacerdoti e vescovi di colore.

Nella figura del «pastore» rientrano l'elevazione alla gloria degli altari di 33 santi, tra cui don Bosco, nonché di 500 beati, ma soprattutto la celebrazione di ben tre giubilei; quello del 1925 rientrava nella normalità, e fu un Anno Santo contraddistinto dai pellegrinaggi per categorie sociali. Ci furono quelli dei ferrovieri, dei metallurgici e degli studenti, all'insegna un po' del corporativismo; ma arrivarono anche le sovrane europee, come la regina Olga di Grecia con le tre figlie, le due principesse del Belgio e l'arciduchessa d'Asburgo. Quell'anno ci fu anche l'attentato a Mussolini, che Pio XI si stava ancora «lavorando» per ottenere quanto aveva in mente nei «Patti lateranensi». E non poteva certo non definire «criminoso» quell'attentato e ricordandolo affermava: «anche il solo pensiero ci rattrista ancora, come ci allietava e faceva render grazie a Dio per il suo sventamento». Gli altri due giubilei furono straordinari; nel 1929 per il cinquantenario del suo sacerdozio e nel 1933 per il XIX centenario della Redenzione di Cristo.

Come uomo ebbe un tratto affabile e un gusto dell'umorismo, come molti dei suoi predecessori, ma particolarmente mise in mostra un tono confidenziale e familiare, specialmente nelle udienze con il popolo. Fu anche il primo papa ad avere al proprio servizio una donna, Teodolinda Banfi, sua cameriera per oltre quarant'anni; quando gli fecero notare che nessun pontefice aveva mai permesso a una donna di lavorare in Vaticano, rispose con semplicità: «Vorrà dire che io sarò il primo».

Nel febbraio del 1939 ricorreva il decennale della «conciliazione» della Santa Sede con l'Italia, il XVII anniversario della sua incorona zione e il LX del suo sacerdozio; ma il tutto in un momento quanto mai grave per l'Europa. Pio XI convocò a Roma per l'11-12 febbraio l'intero episcopato italiano per un'assemblea durante la quale avrebbe pronunciato un discorso al quale lavorava da diversi mesi; in esso si proponeva di denunciare la violazione dei «Patti lateranensi» da Parte del governo italiano, le persecuzioni razziali in Germania e i preparativi tedeschi per la guerra. Quel discorso, alcuni stralci del quale sarebbero stati pubblicati solo nel 1959 da Giovanni XXIII, non poté pronunciarlo; la morte glielo impedì la notte del l0 febbraio 1939.
Fu un attacco cardiaco; ma in un memoriale attribuito al cardinale Tisserant e pubblicato nel 1972 da «Paris-Match» e «Panorama» si affermava che Pio XI era stato assassinato per ordine di Mussolini, che temeva di essere scomunicato. Autore materiale del delitto, il professor Francesco Petacci, padre di Claretta, mediante un'iniezione di veleno; il cardinale Confalonieri, segretario particolare del papa, disse che erano «tutte fandonie». L'episodio è passato alla storia come il «giallo Tisserant»; il mistero resta.

Ma è in fondo tutta la vita di Pio XI un «enigma», come ha detto Carlo Falconi, nel suo gioco di potere con i regimi dittatoriali del tempo, nei confronti dei quali seppe ora strepitare, ora sorridere, ora tacere. Ma è questo il volto del grande politico, e Pio XI lo fu, enigmatico appunto; probabilmente, come ha osservato Franco Molinari, non è ancora stata scritta una biografia storicamente convincente di questo papa. Forse ogni mistero sarà svelato quando potranno essere consultati i documenti vaticani ancora top secret. Nel frattempo non potrà certo illuminarci al riguardo lo splendore del sarcofago che accoglie le sue ossa nelle Grotte Vaticane.


Achille Ratti, nato il 31 maggio 1857 a Desio, studia da seminarista a Monza, quindi a Milano e nel seminario lombardo di Roma, dove nel 1879 viene ordinato sacerdote. Laureatosi in teologia, in diritto e in filosofia all'Università gregoriana di Roma, dopo un breve periodo di insegnamento, diventa professore di dogmatica al Seminario maggiore di Milano, nel 1914 prefetto della Biblioteca Ambrosiana di Milano, quindi sottoprefetto e prefetto della Biblioteca Vaticana di Roma.

Quattro anni dopo, nel 1918, riceve da Benedetto XV la nomina a visitatore apostolico della Polonia e della Lituania con lo scopo ufficiale di assistere la Chiesa polacca nella sua ricostruzione.

Nel 1919 è nominato nunzio apostolico e arcivescovo titolare di Lepanto. In occasione dei plebisciti nell'Alta Slesia e nella Prussia Orientale, per i quali era stato nominato commissario pontificio, il suo operato è al centro di una vivace polemica, ma Benedetto XV ne appoggia appieno l'operato, nominandolo arcivescovo di Milano, nel marzo del 1921, e, nel giugno dello stesso anno, cardinale. Nel capoluogo lombardo resta solo pochi mesi perché nel gennaio del 1922, dopo la morte di Benedetto XV, lascia Milano per recarsi al conclave che il 6 febbraio lo elegge Papa.

Assunto il nome di Pio XI, inizia il suo pontificato impartendo la benedizione urbi et orbi dalla loggia esterna di San Pietro, chiusa dal 1870, anno dell'annessione di Roma al Regno d'Italia, manifestando così il desiderio di togliere la Chiesa dal suo isolamento e di concludere finalmente il Concordato con l'Italia, cui si giungerà con i Patti Lateranensi nel 1929 che restituiscono al papa il potere temporale sulla Città del Vaticano.

Dal 1922 e al 1933 il Papa svolge un'intensa attività per salvaguardare i diritti della Chiesa di fronte al potere statale, concludendo concordati con molti paesi, indipendentemente dai regimi politici (Lettonia, 1922; Polonia, 1925; Lituania, 1927; Cecoslovacchia e Portogallo, 1928; Italia, 1929, Romania, 1932; Germania, 1933) Questa politica attira su Pio XI molte critiche. Il Concordato con la Germania in particolare, che protegge i diritti della Chiesa sotto il Terzo Reich, ha lo sventurato effetto di annichilire parte dell'opposizione a Adolf Hitler).

Nonostante il Concordato,  i contrasti col governo italiano rimangono molti. Il regime fascista, mal sopportando l'esistenza di organizzazioni giovanili svincolate dalla sua autorità, ne impone lo scioglimento. A questo grave fatto, Pio XI, il 29 giugno 1931, risponde con l'enciclica Non abbiamo bisogno e solo l'anno successivo giunge a un accordo con Benito Mussolini.

Notevole l'impegno di Pio XI per incrementare l'attività missionaria, tanto da essere chiamato il Papa delle missioni. Con le sue encicliche, Pio XI precisa la dottrina della Chiesa e la posizione del suo pontificato su molti problemi come l'educazione dei giovani e l'istituzione religiosa (Rappresentanti in terra, 1929), la famiglia (Casti connubi, 1930), il lavoro e la questione sociale ( Quadragesimo anno, 1931, che riconferma la dottrina sociale esposta da Leone XIII), l'educazione del clero (Ad Catholici sacerdotii, 1935).

Una curiosità: il 12 febbraio 1931, nono anno dalla sua elezione, Pio XI inaugura la stazione della Radio Vaticana, rivolgendo in lingua latina il primo radiomessaggio di un Papa al mondo.

Se Pio XI non esita a venire a patti con qualsiasi regime, una netta opposizione però la manifesta sempre contro la Russia sovietica, contro il comunismo ateo (condannato dall'enciclica Divini Redemptoris); e pertanto contro il Messico e la Spagna repubblicana, dichiaratamente antireligiosi: durante la guerra civile spagnola sostiene il regime del dittatore spagnolo Francisco Franco. 

Con il governo fascista italiano le relazioni rimangono abbastanza amichevoli fino al 1938; in seguito, tuttavia, pio IX si oppone ai governi italiano e tedesco e pubblica molte suppliche contro l'antisemitismo e la guerra. In particolare, di grande interesse storico, è l'enciclica in lingua tedesca "Mit brennender Sorge" ("Con viva ansia"), del 14 marzo 1937; che è una denuncia dell'incompatibilità tra i presupposti razzisti e pagani del nazismo e il cattolicesimo e lamenta le condizioni in cui è costretta la Chiesa tedesca, questione cui rimane indissolubilmente associato il pontificato di Pio XI.

La storia del rapporto fra la Chiesa e il neonato regime nazista

Si trattò, almeno a livello del Vaticano e dell’episcopato tedesco, di un rapporto inizialmente di appoggio o di neutralità. Questa posizione fu determinata dal desiderio di opposizione al "bolscevismo", garantita solo da uno Stato autoritario, e alle "trame degli ebrei". Inoltre, si temeva di perdere, ponendosi su un piano di opposizione, la fedeltà di molti cattolici, soprattutto tedeschi, oppure di creare dei rischi proprio per i cattolici di Germania. Di conseguenza, si preferì passare sopra a elementi che potevano preoccupare già da prima che Hitler prendesse il potere nel ’33, oppure negli anni immediatamente successivi.
Fra questi ricordiamo la creazione da parte del regime di una nuova "religione della razza", già espressa da "Il Mito del XX Secolo" di Rosenberg e dall’invito rivolto nel 1930 a tutti i cristiani a rifiutare l’Antico Testamento; e le violenze inaudite sul popolo ebreo, inconciliabili con la dottrina cristiana, che facevano parte del programma di Hitler. A questo problema si ovviò da parte dei teologi escogitando distinzioni bizantine fra antisemitismo teso al controllo dell’influenza ebraica sulla società e antisemitismo su base razzistica. (Se il Vaticano cominciò ad avere riserve sul regime, in particolare in merito alla situazione della Chiesa in Germania, esse furono dovute alle vivissime preoccupazioni dell’allora Segretario di Stato Cardinal Eugenio Pacelli, il futuro Pio XII). Inizialmente l’appoggio  venne anche da dichiarazioni di eminenti prelati soprattutto tedeschi, oltre che dalla stampa cattolica. Fra queste personalità possiamo citare i prelati Faulhaber e Bertram, pur ricordandone anche lettere pastorali in cui si condannava il razzismo nazionale del regime. Il secondo, (presidente della Conferenza Episcopale di Fulda) dichiarò che molte idee naziste facevano parte della tradizione cattolica, mentre il primo (cardinale arcivescovo di Monaco) operò una distinzione fra gli ebrei dell’Antico Testamento, popolo eletto, e quelli contemporanei, dispersi e pericolosi per l’ordine statale in quanto bolscevichi e comunisti. Altra voce autorevole fu quella dell’arcivescovo di Friburgo Gröber, di cui, oltre allo zelo patriottico e antisemitico, ricordiamo l’appartenenza alle SS fino all’espulsione nel 1938.

L’atteggiamento della Chiesa venne ratificato nel 1933 dalla Conferenza Pangermanica di Fulda (Marzo) e dal Concordato fra Santa Sede e Terzo Reich (Settembre). L’appoggio comportò anche l’accettazione delle teorie razziste e, nel 1935, delle leggi di Norimberga. Vennero create soluzioni improbabili per conciliare la politica eugenetica e arianistica del regime con il cattolicesimo: tutto questo perché si commise il duplice errore di equiparare il nazismo ad altri regimi totalitari, ritenendolo un baluardo contro il comunismo e di ritenere quindi conciliabili cristianesimo e nazismo.
Questi atti, volti a ratificare l’appoggio del Vaticano al regime, disorientarono molti cattolici tedeschi che furono quindi attratti dall’ideologia nazista, e ottennero il risultato di lasciare isolato chi cercava di opporsi. Infatti, non mancarono certo le voci che si levarono contro il nazismo, fra cui quella del prevosto di Berlino Lichtenberg, ma furono appunto quelle di singoli coraggiosi.

Questo isolamento si protrasse in parte anche durante gli anni 1937-38, che segnarono un visibile peggioramento dei rapporti fra Vaticano e Hitler, con lo scioglimento delle associazioni studentesche e operaie cattoliche e delle scuole confessionali e l’introduzione di criteri razzisti e anticristiani (il "culto della razza") nell’educazione della gioventù.

Le encicliche

Per condannare la situazione di violazione dei patti, che in realtà si era venuta a creare già da due o tre anni, Pio XI scrisse la già accennata famosa enciclica "Mit Brennender Sorge", al centro di tante polemiche. L’aspetto più criticato è la genericità del documento, non riscontrata nella di poco successiva "Divini Redemptoris" contro il comunismo. E’ però da dire che la genericità è parte dello stile dell’enciclica, che per sua natura si rivolge a diversi destinatari, e poteva essere particolarmente importante in questo caso per evitare ritorsioni. Inoltre, il documento è scritto in tedesco, e già questo sottolinea la specificità del problema. Nello scritto, il Papa condanna chi vuol proibire l’uso scolastico dell’Antico Testamento, senza citare i nomi di chi effettua la proibizione o sottolineare lo spiccato antisemitismo del provvedimento. Sempre in linea generale, viene condannata ogni idolatria della razza, senza alcun riferimento al regime nazista; inoltre, si afferma che il "problema della razza" resta comunque importante nell’ "ordine naturale".

Per quel che riguarda più strettamente i rapporti con il governo tedesco, segnati da continue violazioni del Concordato, si afferma di aver cercato l’accordo spinti più che altro dal desiderio di evitare ripercussioni sui cattolici tedeschi e con la presenza di vari dubbi. Viene poi detto che la Santa Sede, come il contadino della parabola, non intende condannare il nazismo per non estirpare, insieme alla "zizzania" degli estremismi, anche il "grano" di quanto c’è di buono, sia a livello di persone sia a livello di pensiero.

Quello che dell’enciclica viene criticato è, oltre alla genericità, questo atteggiamento "pacifista", volto a cercare di mantenere l’accordo. Inoltre, viene fatto rilevare come in molti luoghi compaiano ancora espressioni antisemite. Esse si ritrovano anche nella "Humani Generis Unitas"; questa, scritta pochi mesi prima della morte del Papa e mai pubblicata (e anche di questo possiamo chiederci il motivo: considerazione dell’opportunità dell’atto per i cattolici tedeschi o per l’aiuto "nascosto" che il Vaticano poteva offrire ai perseguitati, paura o magari ancora altro?), doveva contenere invece, nonostante questi passaggi criticati, una fermissima condanna delle persecuzioni naziste e fasciste.

Pio XI muore il 10 febbraio 1939. È sepolto nelle Grotte vaticane.

Encicliche di Pio XI