Il conclave
La sera del 25 agosto 1978 entrarono in conclave 115 cardinali, solo 27 dei quali erano italiani; una minoranza che accreditava l'opinione che il papa molto probabilmente non sarebbe stato un italiano. C'erano tre correnti predominanti; la tradizionalista, la progressista e la centrista ovvero la montiniana, con un orientamento di massima su candidature che però difficilmente erano in grado di raggiungere il quorum. Era intuibile il ripiegamento su una "candidatura in comune", che finì appunto per prevalere già al terzo scrutinio del 26 agosto: così, dopo appena ventisei ore, il nuovo papa era eletto nella persona del patriarca di Venezia, Albino Luciani.
Veramente la folla in piazza S. Pietro e i telespettatori che seguivano l'avvenimento in mondovisione
non erano certi della conclusione positiva della votazione; la fumata che usciva dal comignolo della
cappella Sistina alle 18,24 non appariva nettamente bianca. Qualcosa di strano doveva aver combinato
il cardinale "fuochista" e si visse questa incertezza per un'ora, quando ogni dubbio fu sciolto
all'apertura delle vetrate della loggia e il primo cardinale diacono dette l'annuncio: Albino Luciani
si sarebbe chiamato, primo nella storia, con un doppio nome,
Giovanni Paolo I.
E già era una cosa originale, di cui non occorreva attendere la spiegazione fornita dal neoeletto il giorno
dopo a mezzogiorno, nella sua prima benedizione domenicale: simbolicamente quel doppio nome significava che
era sua intenzione "continuare l'opera di Paolo VI, nella scia già segnata con tanti consensi dal grande
cuore di Giovanni XXIII". Fu allora che, messo da parte il plurale majestatis, si rivolse ai fedeli
con un discorso breve e semplice in cui voleva precisare senza falsa modestia: "lo non ho né la sapientia cordis di papa Giovanni, né la preparazione e la cultura di papa Paolo, però sono al loro posto, devo cercare di servire la Chiesa. Spero mi aiuterete con le vostre preghiere". Era un modo genuino per conquistarsi la folla, che applaudì alla semplicità e al tono sorridente del suo linguaggio.
"C'era bisogno di un papa sorridente", si sentì dire. E ancora: "Pare di essere tornati ai tempi di papa Roncalli". Altri, già documentati su di lui, azzardavano accostamenti: "Il padre era socialista, come la madre di Pertini era di Chiesa; andranno d'accordo".
La vita
Albino Luciani era nato a Canale d'Agordo, presso Belluno,
il 17 ottobre 1912. Il padre
era effettivamente un socialista mangiapreti, un operaio emigrato in America latina per
lavorare, finché era tornato per stabilirsi a Murano; la madre era invece molto religiosa
e aveva educato i quattro figli cristianamente. Albino era entrato a undici anni nel seminario
di Feltre e poi, passato in quello di Belluno, a 23 anni era ordinato sacerdote.
Trasferitosi a Roma si era laureato in teologia alla Gregoriana con una tesi su Rosmini;
poi era tornato dalle sue parti come cappellano a Canale, quindi ad Agordo, per insegnare
infine al seminario di Belluno in varie discipline. Aveva svolto un'attività tranquilla nella
sua diocesi, come procancelliere e provicario, interessandosi principalmente all'ufficio
catechistico e raccogliendo i frutti dell'insegnamento nel libretto Catechesi in briciole;
era il segno di una cultura alla buona, campagnola, e papa Roncalli l'apprezzò, nominandolo vescovo di Vittorio Veneto nel 1958.
Dovette affrontare problemi di altro tipo allora, come lo scandalo di due preti
della diocesi invischiati in truffe e assegni a vuoto; era un tradizionalista e
per lui anche il Vaticano II fu qualcosa di traumatico. Dovette rivedere un po' tutta la
sua preparazione, aggiornarsi in materia di libertà e coscienza religiosa;
Paolo VI apprezzò
un suo intervento sulla "maternità responsabile" e lo fece patriarca di Venezia nel 1969.
Qui si manifestò ostile al dialogo coi marxisti, ma non si scalmanò dal
pulpito quando i comunisti entrarono nell'amministrazione della città lagunare;
oltretutto faceva discorsi semplici, a mo' di apologhi, e con questo stesso spirito
scriveva articoli per Il Messaggero di S. Antonio sotto forma di lettere
indirizzate a personaggi storici, biblici, della letteratura o addirittura fantastici,
che riunì poi in un volumetto intitolato Illustrissimi.
Su questa pubblicazione, di modesto impegno culturale, una volta eletto papa,
si sarebbero avventati i colossi dell'editoria mondiale, specialmente inglese
ed americana, per assicurarsene i diritti; poi il boom delle opzioni
si sarebbe naturalmente sgonfiato con la morte improvvisa dell'autore.
Il suo pontificato sarebbe stato infatti brevissimo, 33 giorni.
Papa
Il tempo di essere consacrato il 3 settembre sul sagrato di S. Pietro nel corso
di una cerimonia ridotta all'essenziale, senza triregno, trono e sedia gestatoria,
con la celebrazione di una messa su un bianco altare, e di prender possesso di
S. Giovanni in Laterano il 23 settembre come vescovo di Roma. Per il resto,
aveva intenzione di riconfermare tutti i titolari dei dicasteri vaticani,
a cominciare dal segretario di Stato Jean Villot, proprio per proseguire nelle linee generali il cauto riformismo di Paolo VI.
Intanto però nelle udienze che iniziò a dare dal 6 settembre, quei pochi mercoledì che ancora gli restarono da vivere, ci fu un'affluenza di fedeli che da tempo non si vedeva nella sala Nervi; e in quelle quattro udienze rivelò tutto se stesso, con aneddoti e trovate candide, ma anche sprovvedute, da "cultura frammentata", disse Ignazio Majore. Nessuna tecnica da stratega nel paragonare l'anima ad un'automobile, nel dire che Dio è mamma o nel citare Pinocchio; piuttosto "tutti segnali di un papa che è come un operaio di fabbrica, come un contadino dell' Abruzzo", osservò invece Alfonso di Nola. Ma erano appunto segnali positivi queste prime avvisaglie, destinate a restare le uniche; forse Giovanni Paolo I, vivendo più a lungo, non avrebbe esaudito i desideri dei suoi grandi elettori come
Benelli e Felici, convinti di aver trovato un papa "influenzabile da parte della Curia, le cui esigenze sono molto mondane, molto politiche".
Avrebbe potuto "diventare quello che dovrebbe essere un papa, un uomo
come tutti gli altri, disposto, anche nella sua veste candida, ad abbandonare il Vaticano e ad andarsene ad abitare al Merulano o in qualsiasi altro quartiere di Roma in un appartamento di tre camere". Queste parole
del di Nola rievocavano l'immagine, sognata anni prima da Pier Paolo Pasolini, di un papa che andasse "a sistemarsi in clergyman coi suoi collaboratori, in qualche scantinato di Tormarancio o del Tuscolano".
La Curia cominciò a mugugnare, cresceva il suo imbarazzo, dal quale Giovanni Paolo I la liberò, senza scalpore, così come con semplicità era arrivato ad accettare l'alta nomina. Era malato; lui stesso, nell'ultima udienza del 26 settembre dedicata ai malati, raccontò che era stato otto volte in ospedale ed aveva subito quattro interventi chirurgici. Fu trovato morto nel suo letto, questa la versione ufficiale, con il libro della Imitazione di Cristo in mano, la mattina del 29; i medici certificarono che era morto già dalle 23 del giorno prima, il 28 settembre per infarto. Fu sepolto nella cripta della basilica Vaticana. Qualche giornale riportò illazioni, destinate a restare gratuite, su una morte per avvelenamento; e più tardi sarebbero usciti anche due libri, La vraie mort de Jean-Paul I di Jean-Jacques Thierry e In nome di Dio di Daniel Yallop, che presentarono la morte di Giovanni Paolo I come un assassinio, frutto di un complotto all'interno del Vaticano. Tutto era probabilmente nato da qualche pettegolezzo interno che trovò conferma solo molti anni dopo:
la versione ufficiale della morte era stata effettivamente un poco edulcorata,
ma solo perché in realtà Papa Lucani era stato trovato a terra, colpito da infarto,
e con vicini i fogli degli incarichi di curia: probabilmente aveva in mente
qualche sostituzione, e di qui la messe delle voci.
Omelie e udienze di Giovanni Paolo I