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GIOVANNI PAOLO II

Karol Wojtyla

Nato a Wadowice, Cracovia il 1920
Papa dal 16 ottobre 1978 al 2 aprile 2005


Primo pontefice non italiano dal 1523

Il conclave
Sedici giorni dopo l'inattesa morte di papa Luciani, il 14 ottobre 1978, 114 cardinali tornarono in conclave. Erano sempre in minoranza i porporati italiani, che pure schierarono subito le loro candidature con Siri e Benelli. Non conclusero nulla; il loro atteggiamento chiarì che il prossimo papa non sarebbe stato italiano. Mancò probabilmente questa volta proprio l'opera diplomatica che un mese e mezzo prima Benelli aveva messo al servizio di Luciani; autocandidandosi bruciò le sue carte. Per questo prese subito consistenza la candidatura di un cardinale non italiano e di riflesso quella di Wojtyla, portata avanti dai cardinali tedeschi; il porporato polacco non era noto a tutti gli elettori. Pare che il cardinale guatemalteco Casariego andasse chiedendo chi era mai quel cardinale che si chiamava «bottiglia» o qualcosa di simile; quando lo seppe, gran parte del collegio sposò quella candidatura. È probabile che riaffiorarono precedenti rapporti tra il cardinale polacco e l'Opus Dei, presente in conclave indirettamente con alcuni porporati legati a quella associazione spagnola ancora «pia unione», ma già potente come organizzazione ecclesiastica politico-finanziaria. Così di colpo i voti di Wojtyla superarono il quorum. C'erano voluti solo tre giorni e otto scrutini per eleggere un papa che si presentava giovane e pieno di salute, garanzia per un pontificato a lungo termine; motivo anche questo, forse, determinante nella sua elezione. È certo che la scelta di un papa «non italiano» non costituì un problema per i cardinali, semmai piuttosto per il prescelto.

Quando si affacciò alla loggia della basilica Vaticana è indiscutibile che la folla restò sorpresa e smarrita quella sera del 16 ottobre, all'annuncio non solo di un nome poco noto, ma anche non italiano; dopo 455 anni, dall'olandese Adriano VI, nessun papa «straniero» era stato vescovo di Roma. Ci fu qualche attimo di silenzio, poi un bisbiglio che si tramutò gradatamente in un primo applauso a Giovanni Paolo II, come aveva deciso di chiamarsi quel cardinale che la gente lì per lì non sapeva ancora di che nazione fosse e che se ne stava con le mani giunte in atteggiamento di preghiera, teso nella commozione; e fu come un applauso d'incoraggiamento. E col silenzio tornato nella piazza, si presentò come «venuto di lontano», esprimendosi in un buon italiano, con preghiera di correggerlo se necessario; e quel modo di presentarsi generò allora un applauso d'entusiasmo nella gente. Che era «figlio della Polonia» lo avrebbe saputo poi, ma riconoscendolo infine «romano» già il 22 ottobre, il giorno della sua consacrazione, come egli stesso tenne a precisare di essere ormai diventato.

La vita
L'infanzia e la giovinezza di Karol Wojtyla, nato a Wadowice, presso Cracovia, il 18 maggio 1920 da un sottufficiale di carriera, che sognava di diventare scrittore, e da una madre casalinga, di cui era rimasto orfano a soli nove anni, ci parla di una profonda educazione cristiana, trascorsa fra lo studio nel liceo vescovile, la passione per lo sport, che seguiterà a coltivare, e quella per le recite scolastiche. Gli amici lo chiamano Lolus. Finito il liceo nel '38 s'iscrive alla facoltà di lettere di Cracovia, ma con l'invasione nazista deve trovarsi un'occupazione se non vuol finire in un campo di lavoro in Germania; riesce a lavorare in una cava di pietra e così può seguitare a studiare, sia pure clandestinamente. Poi trova un posto nell'industria chimica Solvay, ma in quegli anni di guerra gli muoiono il padre e un fratello; unica consolazione al dolore, lo studio e la passione del teatro. Sfidando il coprifuoco e i rastrellamenti delle 55, mette in scena con alcuni compagni diversi spettacoli in un «Teatro rapsodico» fatto in casa; Karol fa l'attore e sua partner è spesso una diciottenne, Regina Reinsenfeld, che quarant'anni dopo si recherà a Roma per rendergli omaggio da papa. I compagni ora lo chiamano con un altro diminutivo, Lolek; sta con loro fino al '43, quando decide di entrare in seminario.
Tre anni dopo è ordinato sacerdote in una Polonia non più sottomessa ai nazisti e liberata dai sovietici; può venire a Roma e completare gli studi all'Angelicum. Poi viaggia per incarico dei superiori in molte nazioni europee, studia diverse lingue, finché torna a Cracovia come parroco della chiesa di S. Floriano; non più Lolus, ma nemmeno Lolek, ora è chiamato affettuosamente «zietto» dai ragazzi della parrocchia e con loro organizza gite, specialmente in montagna. Diventa esperto sciatore, ma si butta anche lungo i torrenti con la canoa. Intanto cresce ecclesiasticamente; nel '53 è professore al seminario di Cracovia, quindi all'università cattolica di Lublino, finché a soli 38 anni è nominato vescovo ausiliare di Cracovia e poi arcivescovo titolare. È il pupillo di Wyszinsky e collabora attivamente a tutto il concilio Vaticano II; nel '67 Paolo VI lo nomina cardinale col titolo di S. Cesario in Palatino.

Ma nel frattempo, pur dedicandosi alle attività ecclesiastiche, non trascura quelle artistiche. Scrive poesie e un dramma in tre atti, La bottega dell'orefice; viene spesso in Italia, tra l'altro per predicare la Quaresima in Vaticano, e ha occasione di cimentarsi nello sport. È’ stato visto nuotare nel mare di Palidoro e sciare sulle nevi del Terminillo. Sono notizie queste che vengono a galla una volta che Karol Wojtyla è diventato Giovanni Paolo Il.

Papa
È il papa-poeta con le due raccolte che saranno poi tradotte in italiano con i titoli Pietra di luce e Il sapore del pane; è il papa-sportivo, che si fa costruire una piscina a Castel Gandolfo provvista anche di trampolini per i tuffi; è il papa-attore, che avrebbe forse volentieri interpretato il film della sua vita girato da Krzysztof Zanussi destinato a fare il giro del mondo. Tutto questo crea il «personaggio» di «quel seduttore» di folle che egli in ultima analisi si rivela, secondo una definizione di Diego Fabbri.
È questo l'aspetto caratteristico di Giovanni Paolo II, la chiave di volta della sua figura; quello che riesce a farlo risaltare sugli stessi avvenimenti che hanno accompagnato i primi 20 anni del suo pontificato e che sono in gran parte noti a tutti. Dai viaggi da lui compiuti, secondo le sue parole, «per annunziare il Vangelo... per confermare i fratelli nella fede... per consolidare la Chiesa... per incontrare l'uomo», all'attentato subito il 13 maggio 1981 perpetrato dall'estremista turco Ali Agca e avvenuto mentre il papa faceva il suo ingresso in piazza San Pietro, con tutto il groviglio di spionaggio internazionale ad esso sotteso; dalle vicende dello IOR, collegate al fallimento del Banco Ambrosiano, agli avvenimenti della sua Polonia e dell'Europa orientale, che lo hanno fatto oggetto di critiche per un carattere politico tutto «polacco» del pontificato fortemente reazionario.

È un papa evidentemente al centro di molte polemiche, spesso riecheggianti quelle che travolsero Paolo VI in un amletico isolamento, ma di fronte alle quali la sua tempra sembra non esser stata minimamente turbata. In seno alla stessa Chiesa, di fronte all'accusa lanciatagli dal cardinale Pellegrino di tendenze anticonciliari e le lamentele dei Gesuiti per i rimproveri venuti al loro Ordine nella primavera del 1980, Giovanni Paolo ha riaffermato il rigore della disciplina proprio per correggere confusioni postconciliari. E così è riuscito a sgonfiare il caso dell'arcivescovo conservatore Lefebvre, una sorta di antipapa anticoncilio Vaticano II morto nel 1991; si è addomesticata la Chiesa olandese e si è ripristinata quella ucraina, con la nomina nel 1983 del primo cardinale dell'Unione Sovietica, ancor prima della caduta del regime comunista, là dove evidentemente ha finito per dare i suoi frutti l'ex segretario di Stato, il cardinale Casaroli con la sua Ostpolitik.
E ancora, in Italia, durante la campagna per il referendum sull'aborto, accusato d'interferenze in violazione del concordato tra lo Stato italiano e la Santa Sede, egli ha respinto le accuse ritenendo di dover intervenire ogni volta che i valori fondamentali, umani e spirituali, appaiono minacciati. Così in senso più ampio è venuto riaffermando la difesa di una visione cristiana della sessualità e della famiglia in maniera categorica: «Il matrimonio è indissolubile e irrevocabile; il rapporto sessuale fuori del matrimonio è immorale; il comportamento omosessuale è moralmente disonesto; e bisogna riaffermare il diritto alla vita, inclusa quella dei bambini appena nati».
«La conclusione, comunque sorprendente, è che nonostante Giovanni Paolo voglia andare contro corrente nella società e su molte tendenze della Chiesa post-conciliare», come ha osservato Desmond O'Grady, «il suo pontificato è stato meno controverso di quello di papa Paolo VI». Infatti è indiscutibile che egli appare estremamente deciso, non è un Amleto; ma questo restar fermo sulle proprie posizioni e non scendere se non a patti comunque a confronti, non si può sapere fino a quando potrà essere produttivo per la Chiesa stessa. Solo il domani potrà chiarircelo in un completamento della linea pontificale di Giovanni Paolo II.
Quello che si tende a sottolineare è che Giovanni Paolo II, con la personale partecipazione autoritaria al quotidiano degli uomini, ha dalla sua le folle plaudenti: «ma resta da domandarsi se tale maniera di esercitare l'ufficio, che condiziona l'istituto», come ha notato Benny Lai, «serva realmente a mutare in consenso la presenza delle masse intorno a Wojtyla». E qui appunto entra in gioco il «personaggio» Giovanni Paolo II che ha veramente cambiato la figura del papa, superando sia la semplicità sprovveduta di papa Luciani, sia la tempestosa bontà di papa Roncalli. Se ti accosti a lui vedi, ancor prima del pontefice, l'uomo, quello che ha le tue stesse abitudini, come quando saluta la folla, chiudendo il discorso così: «La sera è fatta per dormire, andate a dormire»; oppure: «È ora di andare a pranzo. Buon appetito».
Saltano le distanze: e in questa dimensione la stessa Polonia, che resta chiaramente un punto di riferimento incancellabile della sua attività pastorale, va vista in controluce. Non è la «patria» personale, è il riflesso di tutte le patrie, come fa capire il papa stesso in una poesia scritta nel 1979:

Quando penso «patria» - esprimo me stesso, affondo le mie radici,
è voce del cuore, frontiera segreta che da me si dirama verso gli altri,
per abbracciare tutti, fino al passato più antico di ognuno:
da questo emergo... quando penso «patria» - quasi celando in me un tesoro.
Mi chiedo come accrescerlo, come dilatare lo spazio che esso riempie.
Almeno così pare. E lo confermerebbero i suoi viaggi, ispirati da un'apertura universale del cattolicesimo, con privilegio ai paesi del Terzo Mondo, all' Africa e all' America latina. Ci si chiede però se non siano motivazioni politiche a spingerlo, e comunque certamente un fatto di prestigio ha il suo peso. È una spinta in avanti per la sua persona, un mettere in evidenza se stesso, ancor prima del significato apostolico delle parole. E non è chiaro se la gente, nel mondo, veda principalmente in lui il portavoce evangelico o il capo di uno Stato. In ogni caso il protagonismo politico sembra prevalere sull'emergenza delle singole Chiese nel servizio di Pietro.
I primi tempi oltretutto le distanze saltavano maggiormente in questi viaggi e nel rapporto con i fedeli. L'immagine che il papa polacco dava di se era più internazionale, ritrovando in certi atteggiamenti l'uomo e un suo modo tipico di familiarizzare; come quello, ad esempio, di mettersi il cappello della gente con cui s'incontrava. Il cappello d'alpino quando parlava con le «penne nere», il sombrero tra i Messicani a Puebla e addirittura il copricapo di piume multicolori dei guerrieri Masai tra i Kenioti a Nairobi. E ancora, si abbandonava a spensierate ragazzate: cantava con i giovani che venivano a fargli visita a Castel Gandolfo, al Suono delle chitarre, e faceva il girotondo con loro intorno al falò. E infine, infrangeva il protocollo: afferrava bambini, l'innalzava verso il cielo, li baciava, li rituffava nelle braccia dei genitori; benediceva personalmente le nozze della figlia di un netturbino.
Atteggiamenti in parte venuti meno e comunque attenuatisi con gli anni, fino all'intervento chirurgico del luglio 1992 per un tumore «benigno». Che lo ha indiscutibilmente ridimensionato nel fisico, se non nello spirito apostolico, sempre impegnato su tutti i fronti.
Roma, in ogni caso, e l'Italia si scoprono terra di missione per Giovanni Paolo Il, che imposta un lavoro episcopale di fondo, là dove la capitale d'Italia diventa per tre quarti capitale del Terzo Mondo. E il papa seguita le visite alle parrocchie come Paolo VI, con uno spirito anche più deciso, pur cosciente che un «secolarismo devastante», secondo un'osservazione dell'ex vicario Poletti, «tocca la città». Roma ha bisogno di una nuova evangelizzazione, dove le distanze saltino ovviamente anche su un piano religioso, in un abbraccio ecumenico che giunga ad accogliere gli ebrei: l'8 febbraio 1981 il papa riceve in S. Carlo ai Catinari una delegazione della Sinagoga romana guidata dal rabbino capo Elio Toaff. Wojtyla ricorda le stragi degli ebrei di Cracovia, Toaff «il doloroso passato dell'umiliazione nel ghetto». È un evento definito di portata storica, che Antonello Trombadori, l'ultimo poeta «belliano», così ricorda in un sonetto intitolato Le risate d'Elia:
Dopo letta la predica in latino
Hai 'nteso che t'ha fatto Wojtyla?
Da Papa dritto e de cervello fino
Mica ha fatto a San Carlo marco-silla.

Ha detto: «Annàte in ghetto dar Rabbino,
Diteje che oramai sémo ar duemila
E ch'è fenito er tempo de Caino,
Pe 'ncontrà Noi non c'è da fà la fila

Nun z'era visto mai a li Catinari!
Toàffe è entrato in tubba e co l'anelli,
Ridenno in mezzo a li su' diggnitari.

«Cussi se fà la storia de l'eventi!»
Ha detto un prete. E da la fossa er Belli:
«Chi ride cosa fà? Mostra li denti!» 
E poi la restituzione della visita. Il 13 aprile 1986 per la prima volta un papa entra nella Sinagoga di Roma: chiama gli ebrei «nostri fratelli maggiori». Ma improvvisa arriva un'incrinatura: Wojtyla durante un'udienza ai fedeli del mercoledì, affollatissima come sempre, nell'agosto 1989 dà degli «infedeli» agli ebrei, come traditori dell'alleanza con Dio. E stranamente, poco dopo spuntano fuori le polemiche sulconvento carmelitano di Auschwitz, con il Vaticano che non vuol rispettare un accordo sullo spostamento delle suore dal campo di concentramento nazista; solo ad aprile del 1993 il papa ordina che il convento sia abbandonato. Ma non è una decisione serena. È che per Giovanni Paolo II una volta di più c'è di mezzo la «sua» Polonia e gli ebrei ricadono automaticamente nel mezzo di vecchie concezioni teologiche. Che sembrano non venire meno se, nel 1992, il nuovo vicario di Roma, il cardinal Ruini, non si mostra tenero nei confronti degli ebrei; rispunta fuori la loro colpevolezza nella crocifissione di Cristo. C'è molta ambiguità, insomma.
È un papato fortemente politico che s'identifica con la restaurazione di un potere ecclesiastico capace d'inftltrarsi nelle trame infide della finanza internazionale, accompagnato ad una linea dura verso una società internazionale carica di bisogni spirituali, con posizioni che sembrano aver riportato negli ultimi anni la Chiesa di Roma a compiere un gran balzo all'indietro rispetto alle posizioni del Concilio Vaticano II. E in quest'opera di restaurazione si evidenzia la grande funzione dell'Opus Dei, divenuta nel 1982 «prelatura personale», che è in pratica un'autonomia giuridica con libero accesso a tutti i posti che contano nella Chiesa di Roma. Non è un caso che il suo fondatore, José Maria Escriva de Balaguer, venga acclamato Beato dopo un riscontro lampo della «eroicità delle virtù», mentre papa Giovanni XXIII da vent'anni staziona in «odore di santità». Per molti la beatificazione del monsignore fondatore dell'Opus Dei il 17 maggio 1992, voluta fortemente dal papa, è una conferma dell'affinità ideologica tra Giovanni Paolo II e la cosiddetta «Piovra di Dio», per la quale Pasquino ha parodiato l'Agnus Dei in questi termini:
Opus Dei, qui tollis pecunia mundi, dona nobis partem. 
Tra l'altro dal 1984 il direttore della sala stampa del Vaticano, ovvero il portavoce del papa ai mass-media, è uno spagnolo dell'Opus Dei, Joaquin Navarro Valls. Ma non è evidentemente l'unico rappresentante della «prelatura personale», operante a fianco del papa. E soprattutto questa organizzazione ecclesiastico-politica è divenuta la salvezza delle finanze vaticane: grazie a lei è stato spazzato via ogni strascico che in qualche modo oscurasse lo IOR, ovvero la banca vaticana, che ha avuto i suoi guai dal 1982 al 1989 con il crack del Banco Ambrosiano e la morte di Roberto Calvi. Sono stati esautorati gli addetti ai lavori come i monsignori Donato De Bonis e Paul Marcinkus, rivelatisi incapaci di gestire in sostanza il denaro, che purtroppo resta «lo strumento al servizio della Chiesa», come lo stesso Marcinkus ebbe a dire. Aria nuova e denaro pulito; specialmente nella gestione di quell'8 per mille dell'Irpef, l'autentica novità delle finanze vaticane.

Infine, nel maggio 1993, in occasione del suo viaggio in Sicilia, Giovanni Paolo II mostra improvvisamente un'immagine nuova: prende posizione con durezza contro la mafia. È un anatema che sembra d'un colpo riscattare certa politica reazionaria su una linea di decisa missione apostolica, rievocando la voce più pura dell'impegno sociale della Chiesa di Roma. Potrebbe significare un cambiamento di tendenza.

Tutto questo è dietro Giovanni Paolo II, che pure resta una personalità di grande prestigio di questi nostri anni, molto spesso sulla base dell’effimero supporto dei mass media, dietro i quali c'è sempre l'ambiguità, la mancanza di sincerità, se non addirittura un rendiconto materiale. Perché lui canta, incide dischi e cassette; è un paroliere di canzoni; fa il giornalista con ritagli di omelie pubblicate in tutto il mondo; è il personaggio di film e fumetti. La sua immagine tira sul mercato e questo non è nello spirito evangelico di un messaggio cristiano. In tal senso appaiono significative le critiche rivoltegli da sempre per certi atteggiamenti da superstar; lo scrittore australiano, premio Nobel, Patrick White, ha evidenziato la sua «teatralità» e ha chiesto scherzosamente se Giovanni Paolo II avesse i «lustrini sul suo elicottero». Ma direi che è la massa che così lo vuole e il tempo gioca dalla parte di un «culto della personalità». È inutile nascondercelo; e papa Wojtyla si è adattato volentieri a questa immagine, l'ha incarnata alla perfezione. Ciò non toglie che nella sua estemporaneità egli sappia ritrovare in sé la piccola quotidiana dimensione che ha l'anonimo della porta accanto. È un fatto che possiamo ascoltarlo anche al telefono: basta formare il numero 00.6110.411.613 e la voce registrata di Giovanni Paolo II arriva in casa dalla cornetta. Miracoli della tecnica. Ma un giorno potrebbe capitare che suoni di persona alla porta di casa.

Encicliche di Giovanni Paolo II

 


APPROFONDIMENTO

Il suo approccio attivo ed energico all'ufficio pontificio, la sua incessante attività apostolica svolta in innumerevoli viaggi nelle più diverse nazioni del globo, la capacità di riflessione e di mediazione politica e la difesa dei valori tradizionali della Chiesa (ma patrimonio anche del mondo laico) quali il diritto alla vita, i diritti umani, la libertà di culto, la difesa della famiglia, la pace nel mondo e la sconfitta dell'oppressione - oltre alle decise prese di posizione contrarie all'aborto e all'eccessiva materializzazione dei costumi e della vita pubblica - hanno conferito un'ampia risonanza e popolarità alla sua persona, che ha raggiunto una vastissima notorietà sia nel mondo cattolico sia, anche grazie ai mezzi di comunicazione di massa, presso ambienti laici e di altre confessioni.

Giovanni Paolo II è anche autore fecondo: ha pubblicato raccolte di poesie, l'opera teatrale "La bottega dell'orefice" (1960, sotto lo pseudonimo di Andrzej Jawien), numerosi scritti etici e teologici tra cui Amore e responsabilità, Dei fondamenti del rinnovamento (1972) e Segno di contraddizione (1977).

Encicliche di Giovanni Paolo II

La sua prima enciclica, Redemptor hominis (1979), indaga le connessioni tra la redenzione di Cristo e la dignità umana.
Le encicliche successive concernono il potere della misericordia nella vita dell'uomo (Dives in misericordia, 1980), l'importanza del lavoro quale "via di santificazione" (Laborem exercens, 1981), la posizione della Chiesa in Europa orientale (Slavorum apostoli, 1985),le posizioni cattoliche in materia di marxismo, materialismo e ateismo (Dominum et vivificantem, 1986),
il ruolo della Vergine Maria, fonte di unità cristiana (Redemptoris mater, 1987),
gli effetti distruttivi della rivalità fra le potenze secolari (Sollicitudo rei socialis, 1987),la necessità di conciliare il capitalismo con la giustizia sociale (Centesimus annus, 1991) e una dissertazione contro il relativismo morale (Veritatis splendor, 1993).

A partire dalla metà degli anni Novanta il pontefice ha compiuto visite pastorali in numerosi paesi, alcune delle quali, come quelle nella natia Polonia e in altri paesi dell'Europa orientale, o quella a Cuba all'inizio del 1998, hanno avuto una forte valenza politica sul piano interno e internazionale.
Battendosi strenuamente contro il dissenso dottrinale sorto in seno alla Chiesa e contro gli orientamenti di pensiero eccessivamente aperti agli influssi della cultura secolare e alla contaminazione con correnti di pensiero contemporanee, che secondo il suo parere possono condurre a posizioni eterodosse, ha riaffermato, sottolineando con autorevolezza il magistero pontificio, le dottrine tradizionali della Chiesa cattolica rispetto ad argomenti di attualità come l'omosessualità, l'aborto, i metodi di contraccezione e inseminazione artificiale e il controllo delle nascite, esprimendosi costantemente a favore del celibato sacerdotale e contro, ad esempio, il sacerdozio femminile, pur riconoscendo alla donna un ruolo preponderante nella Chiesa contemporanea.

Il suo libro Varcare la soglia della speranza (1994) articola e ribadisce numerose posizioni che hanno caratterizzato il suo papato.

Delineando più precisamente le responsabilità personali e verso la Chiesa da parte dei laici, dei sacerdoti e dei membri di ordini religiosi, Giovanni Paolo II si è opposto alla partecipazione diretta all'attività politica e all'elezione a cariche secolari dei sacerdoti, riconoscendo tuttavia il valore della partecipazione delle associazioni di matrice cristiana alla vita pubblica.

I suoi primi passi in direzione dell'ecumenismo si sono rivolti alle Chiese ortodosse e all'anglicanesimo piuttosto che al protestantesimo; le sue visite in Palestina hanno anche sancito l'avvio di un dialogo interconfessionale non circoscritto solo ai cristiani, ma, cancellando il secolare pregiudizio negativo della Chiesa cattolica nei confronti degli ebrei, rivolto anche al popolo cui appartenne la figura storica di Cristo.