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MARTINO V
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Dopo l’abdicazione di Gregorio XII, il concilio di Costanza cercò di arrivare ad un pacifico accordo con Benedetto XIII, mediatore lo stesso imperatore Sigismondo in un incontro a
Perpignan, ma il papa di Avignone restò "impenitente", deciso a resistere nella sua sovranità, anche quando gli stessi principi spagnoli lo abbandonarono. Mentre egli lasciava la Francia e, per timore di finir prigioniero come Giovanni XXIII, si insediava nel castello-fortezza di Peñìscola, in Valencia, l’assemblea, preso atto del suo rifiuto di abdicare, giungeva il 26 luglio del 1417 a dichiararlo decaduto dalla dignità pontificia come scismatico ed eretico. Anche se Benedetto XIII seguitò a considerarsi ufficialmente pontefice, il concilio di Costanza ritenne ormai concluso lo scisma e si dedicò ai preparativi del conclave nel quale sarebbe stato eletto il nuovo papa legittimo; eccezionalmente avrebbero avuto diritto al voto, oltre ai 23 cardinali, 6 rappresentanti di ciascuna delle cinque nazioni. Trionfò però la raccomandazione fatta da Gregorio XII che l’eletto riportasse la maggioranza dei due terzi dei presenti.
La sera dell’8 novembre 1417 i 53 elettori entrarono in conclave nella Camera di Commercio di Costanza; tre giorni dopo, i lavori erano conclusi. L’11 novembre fu eletto il cardinale diacono Oddone Colonna, nato a Genazzano nel 1368; elevato alla porpora cardinalizia da Innocenzo VII, era intervenuto al concilio di Pisa, parteggiando in seguito per Giovanni XXIII fino alla fuga di questi a Sciaffusa. Ordinato subito sacerdote e consacrato vescovo, il 21 novembre fu incoronato nella cattedrale di Costanza e assunse il nome di Martino V; dopo 39 anni la Chiesa d’Occidente ritrovava l’unità sotto un sovrano pontefice. Martino V assunse subito la presidenza del concilio, che avrebbe ora dovuto affrontare la questione della riforma; su questo punto sorsero diverse complicazioni, specialmente per il diritto che la Chiesa romana si arrogava di imporre tasse, giustificandolo con i gravi bisogni causati dallo stato di abbandono nel quale si era ridotta dai tempi di Avignone e poi con lo scisma; si arrivò ad un compromesso impostando tre concordati diversificati. Uno con la Germania, al quale aderirono Polonia, Ungheria e i paesi della Scandinavia; un secondo con Francia, Spagna e Italia; un terzo con l’Inghilterra. In generale essi stabilivano le norme sulla composizione del collegio dei cardinali, fissavano un limite al diritto pontificio di provvista dei benefici e imposizione di tributi, nonché l’immunità giudiziale della Curia. La sottomissione alle definizioni dogmatiche del papa in compenso doveva ritenersi di precetto per tutti i fedeli; e questo fu un punto importante per il riscatto della figura del romano pontefice. Peraltro, in sede di chiusura dei lavori, vennero ufficialmente convalidati tutti i decreti; sul fronte dell’eresia il concilio aveva già espresso il suo parere nelle prime sedute del 1415, condannando gli scritti dell’inglese Giovanni Wicliffe e di conseguenza il suo discepolo Giovanni Hus. Di fronte al rifiuto di questi di ritrattare i propri "errori", era stato consegnato al braccio secolare della legge come eretico e condannato al rogo il 16 luglio 1415; la stessa sorte era toccata al suo seguace Girolamo da Praga, ma le loro idee si erano radicate specialmente in Boemia e avrebbero determinato posizioni irreversibili con Lutero. Chiuso il concilio il 22 aprile 1418, con la promessa della convocazione di un sinodo per il 1423 a Pavia, Martino V si trattenne per qualche tempo ancora a Costanza; Sigismondo lo invitò a porre la sua residenza in Germania, offrendogli le città di Basilea, Magonza e Strasburgo; il re di Francia Carlo VI premeva per averlo ad Avignone. Il papa cortesemente rifiutò, pienamente consapevole che era Roma la vera sede dalla quale il vicario di Cristo doveva guidare la Chiesa, sentendosi lì veramente libero e sovrano. Nel maggio 1418 lasciava Costanza e, passando per Berna e Ginevra, arrivava in Italia; il 12 ottobre era a Milano ove consacrò l’altar maggiore della cattedrale che si stava allora edificando. Passò quindi per Brescia e arrivò a Mantova, dove risiedette tre mesi; le condizioni di anarchia in cui si trovavano Roma e lo Stato pontificio, completamente sottratti alla sovranità del papa, rendevano problematico il suo ritorno nella sede apostolica. Tuttavia nel febbraio 1419 vi si avvicinò maggiormente arrivando a Firenze, dove restò un anno e mezzo; qui strinse un accordo con il potente condottiero Braccio da Montone che controllava gran parte dei territori pontifici dell’Italia centrale.
Le condizioni di Roma erano veramente misere, tra case e chiese semidistrutte, con carestie ed epidemie dilaganti. Il Platina parla appunto di "case a pezzi, templi cadenti, strade fangose, una città lurida e abbandonata", tale che "non aveva volto, senza un indizio di vita urbana", in un quadro di decadenza spaventosa. Martino V si rimboccò le maniche per ridare un volto alla città e prima di tutto si preoccupò di assicurare in Roma la libera circolazione, ristabilendo i "magistri viarum" cioè gli ispettori stradali che da autentici poliziotti ripulissero le strade da ladri e malviventi. Cercò inoltre di ingentilire l’animo della cittadinanza, introducendo il costume di distribuire la domenica precedente la Pasqua le "rose d’oro" a cittadini illustri e nobildonne, nonché cappelli e spade d’onore ad alti impiegati all’inizio di ogni anno.
Si dimostrò inoltre tollerante verso gli ebrei, mitigando le misure vessatorie del suo predecessore contro di loro. Nel 1423 indisse il V Giubileo, in rapporto ai 33 anni di Cristo e quindi in riferimento a quello del 1390. Vennero introdotte due novità: la coniazione di una speciale medaglia commemorativa e l’apertura della Porta Santa a San Giovanni in Laterano. Questo giubileo forse più dei precedenti mantenne un suo aspetto tutto religioso, grazie anche alle prediche di Bernardino da Siena, che contribuirono alla "rievangelizzazione" di Roma, così abbandonata a se stessa in un venir meno della fede, traviata com’era dalla miseria senza speranza da un lato e da uno sfrenato paganesimo di vita dall’altro. Martino V rinnovò da parte sua la devozione dell’eucarestia e approvò l’istituzione di diverse congregazioni religiose, tra cui quella di S. Francesca Romana. Sempre in quell’anno il papa dette disposizioni per l’apertura del concilio a Pavia, già promesso a Costanza; quando fu dichiarato aperto il 23 aprile 1423, pochi vescovi si trovavano in quella città a causa della peste, per cui i legati pontifici lo trasferirono a Siena rinviandone l’apertura al 21 luglio.
Assalti più concreti alla supremazia papale di Martino V vennero invece dalla Francia dove, nonostante il clima di guerra ancora in atto con l’Inghilterra, Carlo VII tendeva a non riconoscere un concordato firmato a Genazzano, perché limitativo di buona parte delle libertà gallicane in fatto di antichi diritti di benefici e giurisdizioni; Martino resistette alle sue forti pressioni, come pure reagì con fermezza al clima di disobbedienza che cominciava di nuovo a serpeggiare in seno al clero francese. In previsione del concilio di Basilea, l’l gennaio 1431 il papa nominò il cardinale Cesarini presidente di quell’assemblea, conferendogli anche il potere di trasferirla ad altra sede se lo avesse ritenuto opportuno per un sereno svolgimento delle sedute.
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