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MARTINO IV
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Alla morte di Niccolò III a Roma scoppiarono violenti tumulti fomentati dagli Annibaldi contro gli Orsini;
i senatori in carica furono scacciati e sostituiti con membri delle due famiglie in lotta tra loro.
I tumulti ebbero una ripercussione a Viterbo, dove era riunito il collegio dei cardinali
per provvedere alla elezione del pontefice, nel solito contrasto tra il gruppo filoitaliano
e quello filofrancese: Carlo stesso si era recato a Viterbo per cercare in ogni modo
di far eleggere un papa che gli assicurasse nuovo prestigio. D’accordo con lui,
Riccardo Annibaldi era riuscito a togliere ad Orso Orsini l’ufficio di podestà,
per controllare personalmente il conclave; sotto la sua guida i Viterbesi,
ormai abituati a certe imprese, assalirono il palazzo episcopale, misero le mani
addosso ai cardinali della famiglia Orsini, Matteo Rosso e Giordano, e li segregarono
in una stanza impedendogli di partecipare all’elezione. Di fronte a tale violenza,
i cardinali rimasti nominarono il 22 febbraio 1281 il nuovo papa nella persona del
francese Simone de Brion, cardinale di S. Cecilia. Carlo d’Angiò aveva raggiunto il suo scopo.
Il neoeletto infatti non era altri che il legato incaricato da Urbano IV delle lunghe trattative che avevano portato il papato al contratto d’investitura feudale con Carlo d’Angiò; era certamente una persona su cui il re poteva contare. Non avrebbe tradito le sue aspettative chi aveva percorso una carriera ecclesiastica tutta all’insegna della Francia; arcidiacono e cancelliere di Tours, poi tesoriere della chiesa di S. Martino in quella città, era stato assunto dal re Luigi IX, fratello di Carlo, come consigliere, diventando cancelliere e guardasigilli. A onor del vero, Simone de Brion, forse cosciente che sarebbe diventato uno strumento docile nelle mani del re angioino, riconoscendosi incapace di contrastare la sua personalità, tentò di opporsi alla propria consacrazione; era verosimilmente sincero, non compiva l’usuale "rito della renitenza", sintomo di falsa modestia in tanti suoi predecessori. Ma fu evidentemente raggirato ovvero costretto ad accettare da Carlo, al quale egli finì per affidarsi completamente, in una indegna sottomissione; permise a questi di abusare di lui in quattro anni di pontificato che fecero perdere alla Chiesa quanto aveva recuperato con Niccolò III. Il nuovo papa avrebbe voluto essere incoronato a Roma, ma i Romani si rifiutarono di esaudire questo suo desiderio. E così egli, pronunciato l’interdetto contro Viterbo per i tumulti verificatisi durante la sua elezione, si trasferì ad Orvieto, dove fu consacrato il 23 marzo del 1281 assumendo il nome di Martino IV; era in realtà il secondo pontefice con questo nome, ma nella catalogazione fasulla dei papi di allora, Marino I e II erano stati erroneamente classificati come Martino II e III. Carlo provvide a spianare al "suo" papa il terreno favorevole per tornare
a Roma, tramite gli Annibaldi, o meglio si era aperto la strada per il grande
rientro personale ai vertici del potere nella città. I Romani improvvisamente volevano Martino tra loro e gli offrivano addirittura la carica di senatore a vita, come era avvenuto con Niccolò III. Ma egli si mostrò inizialmente schivo dell’autorità, titubante e solo poi infine deciso ad accettare la dignità senatoria per trasmetterla a Carlo d’Angiò. Egli tutt’a un tratto abbandonava, così, senza apparente giustificazione, una conquista della politica energica del suo predecessore, la sovranità sulla città di Roma.
Ma non si fermò qui; quando, con voto unanime, i rivoltosi offrirono la corona di Sicilia a Pietro d’ Aragona e questi ben contento l’accettò, sbarcando già in agosto a Trapani e prendendo possesso dell’isola, Martino IV scomunicò anche lui. E tirò fuori una serie di bolle contro l’Aragonese, giungendo a far predicare una crociata per la riconquista della Sicilia, deciso ad impegnare nell’impresa tutti i Comuni italiani. Il comportamento del papa finì nel ridicolo a questo punto; la Curia cominciò a criticarlo apertamente. Ma il papa proseguì nella politica insensata. Considerò vacante il regno d’Aragona e l’offrì in feudo al figlio del re di Francia, Carlo di Valois; l’atto di cessione veniva decretato da Martino il 5 maggio del 1284. Comunque il tentativo di conquista di questo regno sarebbe naufragato l’anno successivo nella completa disfatta della flotta francese ad opera di quella aragonese al comando di Ruggero di Lauria, lo stesso ammiraglio che nel giugno del 1284 aveva sconfitto nel golfo di Napoli la flotta angioina e fatto prigioniero il giovane figlio del re, l’omonimo principe Carlo. Così Carlo d’Angiò, quando moriva il 7 gennaio del 1285, vedeva il vuoto dietro di sé, dopo tanto improvviso e facile ritorno ai vertici del trionfo. Martino IV da parte sua aveva commesso ormai tanti errori che non poteva fare nulla di meglio che evitarne altri. Così fece sapere a Rodolfo che era opportuno rinviare l’incoronazione imperiale a causa dei tumulti che senza tregua turbavano Roma; e mantenne vivo in tal modo il motivo di una restaurazione imperiale. Peraltro, stando ad Orvieto, riuscì a far sentire il suo risentimento quando Giovanni di Cinzio Malabranca fu eletto dal popolo tribuno della repubblica; non potendo contare più su Carlo d’Angiò, si risvegliò in lui un minimo di dignità nel lamentarsi perché, nella circostanza, erano stati offesi i diritti pontifici nonché quelli di senatore a vita, da lui trasmessi all’Angioino. Fu ascoltato; ed egli, sempre magnanimo, confermò Giovanni di Cinzio ma solo come "prefetto dell’annona" e acconsentì a riconoscere il consiglio dei priori, eletto dalle corporazioni artigiane; per la carica di senatore avrebbe provveduto lui personalmente a nominare due suoi rappresentanti.
Uno dei pochi meriti è l’aver abbellito Roma con il Campidoglio, giardini e altre grandiose opere. Martino IV morì a Perugia il 28 marzo del 1285 dopo aver abusato, in un lautissimo pranzo, di anguille, di cui era molto goloso. Dante lo mette nel Purgatorio, fra i golosi, a espiare con il digiuno "l’anguille di Bolsena e la vernaccia". Fu sepolto nella cattedrale di quella città. |