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INNOCENZO IV
Sinibaldo Fieschi

nato a Genova

Eletto papa il 25
e consacrato il 28.VI.1243
Morto il 7.XII.1254

Alla morte di Celestino IV subentrarono due anni di "sede vacante", spiegabili con le condizioni di scarsa sicurezza che regnavano in Roma, sempre sotto l'incubo di un assedio da parte di Federico II, con i tentativi compiuti dai cardinali per ottenere il rilascio dei due colleghi ancora prigionieri dell'imperatore e con le dure condizioni da questi imposte per la loro liberazione. Gli otto reduci del conclave del 1241, riuniti ad Anagni dal febbraio del 1242, riuscirono dopo varie trattative ad accordarsi con Federico, o meglio egli volle infine dare una prova della sua magnanimità rilasciando i due cardinali, che poterono unirsi al Sacro Collegio nel giugno e procedere con gli altri finalmente alla nuova elezione.
All'unanimità fu eletto il 25 giugno del 1243 Sinibaldo Fieschi, nato a Genova verso il 1195; già uditore della Curia al tempo di Onorio III e poi vicecancelliere della Chiesa, era stato creato cardinale da Gregorio IX con il titolo di S. Lorenzo in Lucina. Fu consacrato ad Anagni il 28 giugno e assunse il nome di Innocenzo IV.

Federico II gli scrisse da Melfi per congratularsi, infiorando la lettera di elogi sul suo casato genovese, tradizionalmente devoto all'impero. Innocenzo non si lasciò commuovere dalle parole, mostrando un atteggiamento deciso nell'avviare immediatamente delle trattative; gli inviò una delegazione guidata dal cardinale Ottone con la richiesta perentoria del rilascio di tutti i prelati ancora prigionieri. Peraltro gli fu fatto presente che la scomunica nei suoi confronti era pur sempre operante e quindi lo si invitava a dare segni evidenti di buona volontà per essere riammesso in seno alla Chiesa; il papa si riservava di esaminare il problema in un concilio. Federico, da parte sua, metteva avanti una serie di giustificazioni e lamentele, ma non intendeva comunque includere nelle trattative il problema dei Comuni lombardi; un'intesa era possibile sul rispetto dei diritti pontifici ai propri territori, in modo da permettere tra l'altro l'insediamento tranquillo in Roma di Innocenzo.

Nonostante queste discordanze le trattative non furono interrotte; a minacciarne seriamente la felice conclusione intervenne comunque un incidente provocato dal cardinale Ranieri, un battagliero avversario degli Svevi, che fomentò una rivolta a Viterbo, città fedele a Federico e presidiata appunto da una sua guarnigione. Questa si era asserragliata nel castello, mentre la maggior parte dei cittadini e le truppe pontificie guidate dal Ranieri avevano in mano il resto della città.
Federico pose subito Viterbo sotto assedio, ma non riuscì ad espugnarla; il cardinale Ottone lo convinse a desistere dall'impresa, garantendo personalmente sull'incolumità della guarnigione. E invece il Ranieri, volendo andare a fondo alla cosa, aggredì gli imperiali sottoponendoli a maltrattamenti: Innocenzo stesso condannò il vergognoso comportamento del cardinale e minacciò Viterbo di censure ecclesiastiche, ma i prigionieri non furono liberati. Alle ulteriori proteste dell'imperatore, il papa fece presente che in fin dei conti Viterbo era pur sempre una città dello Stato della Chiesa. E le trattative poterono così concludersi in un accordo che fu giurato a Roma, dove Innocenzo aveva potuto nel frattempo rientrare, il 31 marzo del 1244 in Laterano dai plenipotenziari imperiali. Federico II garantiva l'impunità dei sostenitori del papa e la restituzione dei territori della Chiesa, condizione questa essenziale per il proscioglimento dalla scomunica; non era stata chiarita la questione dei diritti imperiali in Lombardia e questo fu l'aspetto precario delle condizioni di pace che ne determinò di lì a breve tempo il fallimento.
Infatti, quando gli ambasciatori di Federico si presentarono al papa per conoscere le penitenze a cui doveva assoggettarsi l'imperatore per ottenere il proscioglimento dalla scomunica, fu risposto che condizione determinante e primaria era la immediata restituzione dello Stato della Chiesa. Ci fu ovviamente un rifiuto da parte della delegazione imperiale, al quale Federico stesso cercò di rimediare prospettando al papa un'immediata restituzione di una parte dei territori, pregandolo però di concludere la cosa in un incontro personale con lui.
Innocenzo accettò e, poiché l'imperatore aveva preso residenza a Terni, si portò a Narni, ma poi di lì andò a Civitacastellana, preferendo inviare a Terni il cardinale Ottone per tastare il terreno; in realtà lo scoglio era costituito dalla restaurazione dei diritti imperiali in Lombardia, conquista irrinunciabile per Federico, ma che al papa appariva come un pericolo mortale per la libertà della Chiesa e la sua stessa incolumità, stretto come sarebbe stato tra due fuochi in un'Italia perlopiù "imperiale".

Così, improvvisamente, Innocenzo IV decise di troncare ogni trattativa e mettersi in guerra con Federico, cercando alleati oltre le Alpi; il 17 giugno abbandonava Civitacastellana e, travestito, raggiungeva Civitavecchia, dove lo attendevano delle galere genovesi. Salpato di lì il 30 giugno, raggiungeva Genova, dove si trattenne per malattia fino ai primi di ottobre, proseguendo poi la sua fuga verso Lione, dove aveva deciso di convocare un concilio ecumenico, che giudicasse Federico II, per il giugno del 1245. .

Intanto nell'agosto del 1244 Gerusalemme era nuovamente caduta nelle mani dei Turchi; il patriarca Alberto di Antiochia, desideroso di vedere in pace il papa e l'imperatore, con il quale era in amichevoli rapporti, per predisporre un clima favorevole ad una nuova crociata, si fece intermediario di un recupero delle trattative. Ma il comportamento di Federico mandò a monte tutto: le sue truppe avevano invaso lo Stato della Chiesa e posto nuovamente sotto assedio Viterbo. Il patriarca di Antiochia, che era riuscito ad ottenere da Innocenzo la promessa del proscioglimento dalla scomunica, fece pressioni sull'imperatore perché desistesse dall'impresa; Federico tolse l'assedio, ma il cardinale Ranieri, che fungeva in Italia da controllore pontificio sullo Stato della Chiesa, denunciò immediatamente l'accaduto al papa, che fece marcia indietro. E tutto fu rimesso al concilio. Il tredicesimo concilio ecumenico si aprì a Lione il 28 giugno del 1245, ma i prelati intervenuti erano soprattutto spagnoli e francesi, oltre ad alcuni inglesi: argomento principale, la posizione di Federico Il, rappresentato e difeso dal giudice Taddeo di Suessa. Il 17 luglio egli veniva scomunicato e deposto dalla carica d'imperatore; fu ritenuto colpevole di eresia, di esser venuto meno al giuramento di vassallaggio al papa e di aver tenuto prigionieri i prelati che si stavano recando a Roma per il concilio bandito da Gregorio IX. I suoi sudditi tedeschi e italiani vennero sciolti dal giuramento di fedeltà e il collegio elettorale e germanico ricevette l'ordine di procedere ad una nuova elezione. La deposizione di Federico fece un'enorme impressione sull'Europa del tempo e la cancelleria dell'ex imperatore fu quanto mai attiva nel diffondere editti ed appelli a tutta la cristianità perché insorgesse contro l'Anticristo rappresentato da Innocenzo IV: si rinnovò subito il clima di guerra ideologica e militare che aveva caratterizzato lo scontro tra Federico e Gregorio IX, e il re di Francia cercò invano d'interporvi la sua mediazione.

In Germania il nuovo re, Enrico Raspe, riusciva anche a sconfiggere il figlio di Federico, Corrado, ma nel febbraio del 1247 moriva. In Sicilia era il caos, con sommosse e congiure in continuazione; l'imperatore vagava nell'Italia settentrionale, dove poteva contare su Ezzelino da Romano e il figlio Enzo, ma la sua vita era in pericolo tra i Comuni in continuo fermento. Riuscì a mettere sotto assedio Parma, ma gli assediati il 18 febbraio del 1248 in un'improvvisa sortita distruggevano l'enorme tendopoli di Vittoria eretta dall'imperatore nei pressi della città; negli scontri trovò la morte Taddeo di Suessa e Federico si salvò a stento rifugiandosi presso Cremona. Nel maggio dell'anno dopo gli veniva anche meno l'aiuto di Enzo, sconfitto e fatto prigioniero nella battaglia di Fossalta dai Bolognesi. E' la guerra ricordata da Fra' Salimbene da Parma nella sua Cronica.
A questo punto si trasferì nel sud; diffidente ormai di tutti, giunse a far accecare il cancelliere Pier delle Vigne, supponendolo reo di segrete intese col papa, e lo rinchiuse in carcere dove l'incolpevole giurista si uccise. L'Alighieri così lo ricorda nel suo Inferno (XIII, 58-78).

Morte di
Federico II
Federico era ormai solo e non lo entusiasmò neanche la notizia delle vittorie riportate da Ezzelino al nord; il 13 dicembre del 1250 moriva a Fiorentino, in Puglia, all'età di cinquantasei anni. Come lui aveva goduto per la morte di Gregorio IX, così allora fu il papa a manifestare la propria gioia per la scomparsa del "nemico giurato della Chiesa cristiana" con lettere ai sovrani europei rimaste famose per il tono sprezzante nei confronti del defunto imperatore e poco dignitose in verità per il vicario di Cristo in terra.

Innocenzo IV lasciava Lione dopo la Pasqua del 1251 e ai primi di novembre era a Perugia, dove si trattenne un anno e mezzo. Ora lo attendeva lo scontro con gli eredi di Federico II: in Germania Corrado IV e in Puglia Manfredi, il figlio nato da una relazione dell'imperatore con la contessa Bianca Lancia, che fungeva da luogotenente del fratellastro in Italia. Il papa era intenzionato ad incorporare nello Stato della Chiesa il regno di Sicilia, deciso a stroncare qualsiasi rivendicazione sveva; così, quando il re Corrado nell'ottobre del 1251 scese dalla Germania fino in Sicilia, ricevendo dalle mani di Manfredi il governo del regno dell'Italia meridionale, senza incontrare peraltro resistenza nel fratellastro, al quale concedeva solo il principato di Taranto, il papa oppose un netto rifiuto agli ambasciatori di Corrado che chiedevano il riconoscimento di costui a re di Sicilia e imperatore.
In Sicilia meglio
un principe inglese?
Fu allora che Innocenzo, comprendendo di non poter contrastare solo con i propri mezzi militari e finanziari la potenza sveva, pensò di affidare la conquista del regno di Sicilia a un principe straniero; svanite in un primo tempo le trattative con Carlo d'Angiò, il cardinale Ottobono Fieschi, suo nipote e futuro papa col nome di Adriano V riuscì a concludere nel 1253 un accordo preciso con Enrico III d'Inghilterra per l'investitura della Sicilia nella persona del figlio di nove anni, il principe Edmondo.
Scomunicato nell'aprile del 1254 Corrado IV, accusato di commettere soprusi contro la Chiesa, Innocenzo IV conferiva ufficialmente l'investitura del feudo di Sicilia al principe inglese il 14 maggio, ma undici giorni dopo Corrado IV moriva improvvisamente all'età di soli ventisei anni. L'accordo momentaneamente veniva accantonato in attesa degli eventi, perché nel testamento Corrado aveva affidato il figlioletto di due anni Corradino alla custodia della Chiesa, incaricandone indirettamente della tutela il papa, quale presupposto ad un suo futuro riconoscimento come re di Sicilia. Innocenzo IV doveva vedere la reazione di Manfredi e per questo si recò ad Anagni, ai confini dello Stato della Chiesa, dove ricevette una delegazione germanica guidata da Manfredi stesso, che richiese ufficialmente il riconoscimento di Corradino. Il papa affermò che avrebbe preso in considerazione gli eventuali diritti del piccolo Svevo quando questi avesse raggiunto la maggiore età; per ora, forte della tutela di cui era stato insignito da Corrado, esigeva l'immediata consegna del regno. Manfredi, che si sottomise al papa senza riserve, probabilmente per prendere tempo anche lui e allontanare il pericolo dell'investitura del principe Edmondo, fu nominato vicario pontificio nel sud, con la conferma del feudo di Taranto.

Lo Stato della Chiesa
diventa immenso
Innocenzo IV aveva finalmente raggiunto lo scopo della sua politica: era a tutti gli effetti sovrano dell'Italia meridionale e non esitò a partire verso il sud per prenderne possesso. Improvvisamente, ma per breve tempo, lo Stato della Chiesa diventava immenso come poi non fu mai più, dalla Toscana alla Sicilia. Nel suo viaggio verso Napoli Innocenzo passò tra ali di folla esultanti e nella città partenopea, ove giunse il 27 ottobre del 1254, ebbe onoranze splendide. Già aveva dato le prime istruzioni per l'impostazione dell'amministrazione pontificia, con concessioni di autonomia ad alcune città, distribuendo privilegi e favori per l'immediata instaurazione della sovranità papale, quando seppe che Manfredi stava tramando in Puglia alle sue spalle. Organizzava tumulti e soprattutto aveva ripreso al proprio servizio le schiere dei Saraceni, già fedeli a suo padre; l'esercito pontificio si organizzò in una resistenza a Foggia, dove venne sconfitto il 2 dicembre.

La triste notizia raggiunse Innocenzo che giaceva infermo a Napoli, nel palazzo che era stato di Pier delle Vigne; morì cinque giorni dopo, il 7 dicembre del 1254. Fu sepolto in un primo tempo nella chiesa di S. Restituta, ma le sue ossa furono poi definitivamente traslate nella cattedrale di S. Gennaro, in un fastoso monumento funebre che gli fu eretto nel 1318.

Fu essenzialmente un politico e, sia pure per pochi giorni, vide coronato il sogno di alcuni suoi predecessori; certamente il comportamento tenuto nei confronti degli ultimi Svevi può apparire un po' avventato ed è un fatto che il deciso abbandono di una politica filogermanica avrebbe avuto bisogno di maggior coerenza, per affrontare l'intrico dei singoli regni e principati tra i quali si stava invischiando il papa ormai solo, privo del suo imperatore.

Con l'impero minacciava di decadere anche la potenza politica del papato nel contesto europeo e rischiava così di essere compromessa la portata universale del messaggio cristiano della Chiesa. Una dimostrazione poteva offrirla già il fatto che l'appello rivolto a Lione nel 1243 a tutte le nazioni per una nuova crociata fosse stato raccolto soltanto dal re di Francia Luigi IX, in una spedizione che si risolse oltretutto in un disastro; completamente inascoltato rimase poi l'appello a una crociata contro i Mongoli.

Più redditizia si fece invece l'attività missionaria con i due grandi Ordini dei Francescani e Domenicani, dall'Europa orientale fino al Caracorum, in una serie d'iniziative di ampio spirito evangelico. Macchia indelebile resta poi la bolla Ad extirpanda emanata nel 1252, con la quale Innocenzo IV permise che l'Inquisizione facesse uso della tortura.

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