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CLEMENTE XI
Giovanni Francesco Albani

Nato a Urbino, della nobile famiglia degli Albani, il 23.VII.1649

Eletto papa il 23.XI
e consacrato l'8.XII.1700
Morto il 19.III.1721

Conclave
Il primo conclave del XVIII secolo, nel vivo dell' Anno Santo, non poteva prolungare scandalosamente i suoi lavori tra i pellegrini ancora in fila davanti alla porta santa; occorrevano tempi brevi per un'Europa che oltretutto sembrava pronta a dilaniarsi in nuove guerre. C'era più che mai bisogno di un papa neutrale che seguitasse l'opera religiosa di pace instaurata da Innocenzo XII; lo "squadrone volante" puntava su questo, ma non disponeva dei due terzi.

Poi l'1 novembre arrivò la notizia della morte di Carlo II; il 6 Luigi XIV salutava il nipote Filippo V come nuovo re di Spagna, con la frase "Ormai non esistono più i Pirenei" e il risentimento logico dell'imperatore Leopoldo I. Bisognava decidere e si arrivò al compromesso con i cardinali filofrancesi. Il 23 fu eletto il cardinale Giovanni Francesco Albani, chiaramente vicino al re Sole e a Filippo V, anche se ostentava una neutralità, che era più che altro segno d'insicurezza. Lo avrebbero infatti chiamato cunctator, ovvero "temporeggiatore", e questo comportamento sarebbe costato caro alla Santa Sede.

  Vita
Era nato ad Urbino il 23 luglio 1649 da una nobile famiglia; governatore di Rieti e di Orvieto, creato cardinale da Alessandro VIII, era stato molto vicino al suo predecessore nell'opera di riforma all'interno dello Stato pontificio; questo era una garanzia per il suo antinepotismo, anche se non fu così integro come in Innocenzo XII. La sua insicurezza si manifestò dal momento in cui venne eletto; rifiutava la nomina, tirando fuori vari pretesti, come quella di non aver ricevuto tutti gli ordini ecclesiastici. Fondamentalmente prevedeva i gravi problemi che il nuovo secolo avrebbe portato ad un pontefice e voleva trarsene fuori; era sincero, si riconosceva incapace a reggere l'urto. Gli fu fatto presente che il rifiuto della nomina era come un atto di ribellione al giudizio di Dio, perché era stato scelto dallo Spirito Santo; dovette arrendersi. Il 30 novembre fu consacrato vescovo e l'8 dicembre papa con il nome di Clemente XI.


Stemma di
Clemente XI

Papa
Nobili e in linea con il suo predecessore i primi giorni del pontificato. Gli si presentò il fratello Orazio con tutta la famiglia: "Avete perduto il vostro parente secondo natura; ora voi non avete più in me che un padre comune, come tutti i fedeli", fu la sua risposta. E proibì a qualsiasi parente d'ingerirsi in affari politici e religiosi, di accettare uffici o assumere titoli. Gli Albani non avrebbero infatti avuto un soldo da Clemente XI; se un suo nipote, Annibale, divenne poi cardinale fino a raggiungere la carica di camerlengo, tutto ciò l'ottenne per i meriti personali messi in mostra dallo stesso Sacro Collegio. Oltretutto lo zio si preoccupò che non affluissero nelle tasche del nipote rendite superiori a quelle previste.

Ma con la chiusura della porta santa del giubileo, per Clemente si aprì il dramma della guerra ormai operante. A nulla valsero i corrieri di pace pontifici diretti ai tre sovrani, anche perché Clemente aveva fornito a Filippo V sussidi dai beni ecclesiastici. La sua neutralità appariva equivoca: quella "duplice posizione di padre universale e di capo di uno Stato temporale lo teneva perplesso e lo impacciava nei movimenti", nota il Castiglioni. Riaffiorava insomma il dilemma di sempre, nonostante gli smacchi subiti in campo internazionale in passato: Clemente XI ci riprovava ostentando buone e sante intenzioni, ma in fondo non sapeva prendere una chiara posizione.

Gli Stati europei erano ormai troppo maturi per essere raggirati da certe meschine posizioni equivoche; l'Austria non perse tempo con Giuseppe I e per opporsi alla pressione francese trovò sbocchi nello Stato pontificio. Mantova, Parma, Piacenza e Comacchio finirono sotto il dominio imperiale; vane furono le proteste del papa, la Francia non venne in suo aiuto. Roma stessa era minacciata e nel gennaio del 1709 Clemente dovette firmare un trattato, nel quale riconosceva come re di Spagna l'arciduca Carlo.

Era un voltafaccia nei confronti di Filippo V e Luigi XIV, ma principalmente era la conseguenza di un'incapacità politica a livello internazionale del papa; e certi "temporeggiamenti" ormai si pagavano cari. L'ambasciatore francese lasciò Roma indignato; l'arciduca Carlo, divenuto imperatore col nome di Carlo VI prendeva in giro il papa non restituendo Comacchio, promessa da Giuseppe I nel trattato del 1709.

A Utrecht poi, quei territori che il papa considerava propri feudi sarebbero stati assegnati a nuovi principi, senza nemmeno sentire il suo parere. Italia meridionale e Sardegna andavano all'Austria; i Savoia assumevano il titolo di re di Sicilia. Il ducato di Parma e Piacenza, che da due secoli era universalmente riconosciuto sotto la sovranità pontificia con tanto d'investitura ai Farnese, ormai in via di estinzione, e con regolare pagamento di tributo, restava dominio austriaco. Le ulteriori proteste papali non ebbero peso.

Se fino ad allora lo Stato pontificio aveva retto nell'urto con i principati della penisola, da allora anche il suo prestigio "italiano" sarebbe calato: "l'autorità terrena del soglio pontificio era così scossa anche presso gli Stati direttamente confinanti", commenta il Ranke, e "questa situazione doveva ripercuotersi nelle controversie riguardanti la giurisdizione ecclesiastica, che sono così strettamente connesse con lo stato dei rapporti politici".

I contrasti si sarebbero ingigantiti e la Santa Sede non avrebbe avuto più l'energia interiore per tener legati a sé i suoi fedeli nello Stato Pontificio e nell'Italia in genere; si sarebbe diffuso sempre più quel laicismo elevato esso stesso a "sistema" contro la Chiesa. La bolla Unigenitus Dei Filius del 1713, ad esempio, con l'ennesima condanna ai giansenisti non fece che rinnovare i contrasti di fondo, con appelli ad un concilio e dubbi sull'infallibilità pontificia: "a Roma, se si consideravano le cose nel loro complesso, se ci si guardava intorno, si doveva ammettere che si rischiava di perdere tutto", osserva ancora il Ranke.
Dovette rendersene conto per primo proprio Clemente XI, che finì per chiudersi nel proprio regno; distribuì in elemosine e opere pie circa un milione di scudi del suo patrimonio, sempre puntando ad accattivarsi come Innocenzo XII l'animo della povera gente. Rientrava in fondo anche in questi accorgimenti l'autorizzazione concessa a ripristinare il gioco del Lotto, già esistente in Roma ai tempi di Alessandro VII, ma poi soppresso.

Il Lotto

Il Lotto "fu incominciato a cavare nel cortile di palazzo Pamphili" racconta il diarista Francesco Valesio, fornendoci tutte le curiosità di un'estrazione di quegli anni. "Sotto il portico doppio di tal palazzo che divide i due cortili, era formato un palco della lunghezza dell'arco, sopra del quale si pose a sedere su sedia d'appoggio il giudice del Lotto, che era uno dei sollecitatori della Camera, detto Pian Castelli. Alla sua dritta vi era un tavolino con notaro che scriveva, e di qua e di là sopra il palco due urne con vetri intorno, in una delle quali vi erano i bollettini bianchi, Corrispondenti al numero degli altri, tra i quali v'erano quelli dei premi. Cavavano i biglietti due putti, e quello che li leggeva al pubblico era Mattia Matto, uomo curioso. Assistevano in detto luogo, mentre si cavava il Lotto, sei soldati di Castello con brandistocchi."

Papa mecenate

Il riscatto all'interno dello Stato pontificio Clemente XI lo ebbe comunque come mecenate: arricchì la biblioteca Vaticana di molti codici orientali e diede grande impulso all'archeologia con i primi scavi scientifici nelle catacombe; in Campidoglio istituì un'accademia di pittura e scultura, disponendo la tutela delle opere artistiche cittadine. Ma soprattutto nell'opera edilizia apparve benemerito ai sudditi: dalla famosa meridiana di S. Maria degli Angeli all'erezione dell'obelisco a piazza del Pantheon e al porto di Ripetta sul Tevere. Questo sarebbe stato funzionante fino alla costruzione del ponte Cavour, che ne avrebbe determinato purtroppo la demolizione.

Ma l'attività edilizia di Clemente XI si rivolse anche ad altre città dello Stato pontificio: a Civitavecchia fu terminato l'acquedotto e a Civitacastellana fu costruito un viadotto. E principalmente Urbino godette del mecenatismo del papa, come suo luogo di nascita: dalla cancellazione dei debiti del Comune alla costruzione di un istituto educativo per la gioventù; dalla restaurazione dei palazzi arcivescovile e ducale e delle mura alla fondazione di una biblioteca pubblica con nuovi privilegi concessi all'università, che avrebbe mantenuto poi grande fama fino ai nostri giorni.

Si può dire che i favori negati ai parenti furono trasferiti da Clemente sulla città natia e questo fu, sotto certi aspetti, una variante del nepotismo. Pasquino non poteva ignorarlo in una delle sue battute col "collega" Marforio:

MARFORIO  Dimmi: che fai, Pasquino?
PASQUINO  Eh, guardo Roma, ché non vada a Urbino.
Clemente XI morì il 19 marzo 1721 e fu sepolto sotto il pavimento del coro di S. Pietro, come aveva desiderato; una semplice lastra di marmo lo ricorda. Ebbe un ruolo decisivo nella condanna del giansenismo. Condannò l'uso dei riti cinesi da parte dei missionari. Favorì lo sviluppo delle Chiese orientali riunite e il ritorno degli scismatici alla Chiesa di Roma.


Filippo Juvarra:
Stemma di Clemente XI
di Francesco Fontana
in Vaticano
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Filippo Juvarra:
Stemma di Clemente XI
di Francesco Fontana
nella Chiesa de' SS. Apostoli
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