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BENEDETTO XVI
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Il conclave
Vita
Joseph trascorre la sua infanzia e la sua adolescenza a Traunstein, piccola città alla frontiera con l'Austria, a circa trenta chilometri da Salisburgo. In quel contesto, che egli definirà "mozartiano", riceve la sua formazione cristiana, umana e culturale. Ma sono gli anni segnati dagli avvenimenti della grande storia. Poco più che adolescente nel suo paese infuriano le devastazioni causate dalla Seconda guerra mondiale: Joseph vede il suo parroco bastonato dai nazisti prima della celebrazione della Santa Messa e conosce quindi il clima di forte ostilità nei confronti della Chiesa cattolica in Germania. Quando le forze armate tedesche si trovano a mal partito, viene richiamato nei servizi ausiliari antiaerei. La vocazione ecclesiastica comincia a maturare dentro di lui, anche come reazione a tutti gli orrori che la guerra provoca.Nel '46, alla fine della guera, Joseph si iscrive all'università di Monaco per intraprendere gli studi molto "laici" della Filosofia. Intanto prosegue anche il faticoso studio anche nella Scuola superiore di filosofia e teologia di Frisinga. Non è da credere che il suo destino di porporato non fosse già in qualche modo segnato dato che, a fronte degli studi canonici, il 29 giugno 1951 Ratzinger viene ordinato sacerdote. Il suo servizio pastorale non si limita alla predicazione o al servir messa bensì mette la sua fresca sapienza, nell'insegnamento: nel 1952 don Joseph ha iniziato la sua attività didattica (con un un incarico di dogmatica e di teologia fondamentale) nella medesima Scuola superiore di Frisinga dove era stato studente, esperienza che durerà diversi anni. Nel 1953 si laurea in teologia con una dissertazione sul tema: "Popolo e Casa di Dio nella Dottrina della Chiesa di sant'Agostino" e nel 1957 ottiene la libera docenza col noto professore di teologia fondamentale di Monaco, Gottlieb Söhngen, con un lavoro su: "La teologia della storia di san Bonaventura". Continua la sua attività di insegnamento a Bonn (1959-1969), a Münster (1963-1966) e a Tubinga (1966-1969). Nel 1962 acquista notorietà a livello internazionale intervenendo come consulente teologico al Concilio Vaticano II. Dal 1969 è professore di dogmatica e di storia dei dogmi presso l'Università di Ratisbona dove ricoperto anche l'incarico di Vice Preside dell'Università. La sua intensa attività scientifica lo porta a svolgere importanti incarichi in seno alla Conferenza Episcopale Tedesca, nella Commissione Teologica Internazionale. Siamo nei primi anni '70 e il clima generale non è certo favorevole alla chiesa e ai suoi rappresentanti. Ma Ratzinger non è tipo da farsi intimidire o da seguire le mode del momento (anche quelle "intellettuali") e anzi fonda il suo carisma all'interno delle istituzioni ecclesiastiche attraverso una certa intransigenza di pensiero. Tra le sue pubblicazioni, particolare eco ha l'"Introduzione al cristianesimo" (1968),
raccolta di lezioni universitarie sulla "professione di fede apostolica".
Il 24 marzo 1977 Papa Paolo VI lo nomina Arcivescovo di Monaco e Frisinga ed il 28 maggio successivo Joseph riceve la consacrazione episcopale, primo sacerdote diocesano ad assumere, dopo 80 anni, la gestione della grande Diocesi Bavarese. Sceglie come motto episcopale: "Cohoperator Veritatis". Sempre Papa Montini lo crea e pubblica Cardinale, del Titolo di Santa Maria Consolatrice al Tiburtino, nel Concistoro del 27 giugno 1977. È Relatore alla Quinta Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi (1980) sul tema della famiglia cristiana nel mondo contemporaneo. In quell'occasione, nella sua prima Relazione, svolge un'ampia e puntuale analisi sulla situazione della famiglia nel mondo, sottolineando in proposito la crisi della cultura tradizionale di fronte alla mentalità tecnicistica e meramente razionale. Accanto agli aspetti negativi, non manca di evidenziare la riscoperta del vero personalismo cristiano come lievito che feconda l'esperienza coniugale di molte coppie di sposi, e rivolge anche un invito ad una retta valutazione del ruolo della donna, che va annoverata tra le questioni fondamentali nella riflessione sul matrimonio e sulla famiglia. Nella seconda parte della relazione, dedicata al disegno di Dio sulle famiglie di oggi, ricorda soprattutto che la mascolinità e la femminilità sono espressione della comunione delle persone come segno originale del dono d'amore del Creatore. Ne consegue - sottolinea - che l'amore dell'uomo e della donna non è cosa privata, né profana, né meramente biologica, ma qualcosa di sacro che introduce ad uno "stato", ad una nuova forma di vita, permanente e responsabile. Il matrimonio e la famiglia - ha ricordato con forza - precedono in qualche modo la cosa pubblica, e quest'ultima deve rispettare il diritto proprio del matrimonio e della famiglia e il suo intimo mistero. Nella terza parte affronta i problemi pastorali legati alla famiglia: da quello della costruzione di una comunità di persone a quello della generazione della vita, dal ruolo educativo dei genitori alla necessità della preparazione dei giovani al matrimonio e alla vita familiare, dai compiti sociali a quelli culturali e morali. La famiglia, conclude, può testimoniare dinanzi al mondo una nuova umanità di fronte al dominio del materialismo, dell'edonismo e della permissività. Il 25 novembre 1981 Giovanni Paolo II lo nomina Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Ratzinger diviene anche Presidente della Pontificia Commissione Biblica e della Commissione Teologica Internazionale. Il 15 febbraio 1982 rinuncia quindi al governo pastorale dell'Arcidiocesi di München und Freising. Nel 1983 è Presidente Delegato della Sesta Assemblea, che ha per tema la riconciliazione e la penitenza nella missione della Chiesa. Nel suo intervento ai lavori ribadisce le norme pastorali promulgate dalla Congregazione per la Dottrina della Fede riguardanti il Sacramento della Riconciliazione ed approfondisce, in particolare, le questioni legate a due interrogativi emersi più volte durante i lavori assembleari: quello riguardante l'obbligo di confessare i peccati gravi già assolti durante l'assoluzione generale e quello concernente la confessione personale come elemento essenziale del Sacramento. La serie delle sue incalzanti pubblicazioni prosegue copiosa e puntuale nel corso degli anni: "Rapporto sulla fede" è del 1985, "Il sale della terra" del 1996. In occasione del suo settantesimo compleanno dà alle stampe il libro "Alla scuola della Verità" . Il suo servizio come Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede è instancabile ed è impresa impossibile elencare questo lavoro nello spazio di una biografia. Amato da certe frange del cattolicesimo più ortodosso, il cardinale è stato spesso criticato dal mondo laico per certe sue posizioni, a torto o a ragione, ritenute eccessivamente dogmatiche. Tra i tantissimi punti-fermi della sua opera, va segnalato il suo ruolo di Presidente della Commissione per la Preparazione del Catechismo della Chiesa nel periodo 1986-1992. Il 5 aprile 1993 è chiamato a far parte dell'Ordine dei Vescovi e prende possesso del Titolo della Chiesa Suburbicaria di Velletri-Segni.
In occasione del suo cinquantesimo di ordinazione
sacerdotale, Giovanni Paolo II gli invia un messaggio nel quale,
riferendosi alla coincidenza del suo giubileo con la solennità liturgica
dei Santi Pietro e Paolo, con parole in qualche modo "profetiche" gli
ricorda che "in Pietro risalta il principio di unità, fondato sulla fede
salda come roccia del Principe degli Apostoli; in Paolo l'esigenza
intrinseca del Vangelo di chiamare ogni uomo ed ogni popolo all'obbedienza
della fede.
Al Cardinale Ratzinger sono affidate le meditazioni della Via Crucis 2005 celebrata al Colosseo. In quell'indimenticabile Venerdì Santo, Giovanni Paolo II, stretto, quasi aggrappato al Crocifisso, in una struggente "icona" di sofferenza, ascolta in silenzioso raccoglimento le parole di colui che diventerà il suo successore alla Cattedra di Pietro: Se il chicco di
grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce
molto frutto" (Gv 12, 24). Con queste parole il Signore ha offerto una
interpretazione "eucaristica" e "sacramentale" della sua Passione. Ci
mostra che la Via Crucis non è
semplicemente una catena di dolore, di cose nefaste, ma è un
mistero: è proprio questo processo nel quale il chicco di grano cade
in terra e porta frutto. Con altre parole, ci mostra che la Passione è
un'offerta di se stesso e questo sacrificio porta frutto e diventa quindi
un dono per tutti".
"Non dobbiamo pensare anche a quanto Cristo debba soffrire per
la sua stessa Chiesa? A quante volte si abusa del santo sacramento della
sua presenza, in quale vuoto e cattiveria del cuore spesso egli entra!
Quante volte celebriamo soltanto noi stessi senza renderci conto di lui!
Quante volte la sua Parola viene distorta e abusata! Quanta poca fede c'è
in tante teorie, quante parole vuote! Quanta sporcizia c'è nella Chiesa, e
proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere
completamente a Lui! Quanta superbia, quanta autosufficienza!". "Signore, spesso la tua Chiesa ci
sembra una barca che sta per affondare, una barca che fa acqua da tutte le
parti. E anche nel tuo campo di grano vediamo più zizzania che grano. La
veste e il volto così sporchi della tua Chiesa ci sgomentano. Ma siamo noi
stessi a sporcarli! Siamo noi stessi a tradirti ogni volta, dopo tutte le
nostre grandi parole, i nostri grandi gesti. Abbi pietà della tua
Chiesa... Ti sei rialzato, sei risorto e puoi rialzare anche noi. Salva e
santifica la tua Chiesa. Salva e santifica tutti noi". Appena ventiquattr'ore prima della morte di Giovanni Paolo II, ricevendo a Subiaco il "Premio San Benedetto" promosso dalla Fondazione sublacense "Vita e famiglia", ribadisce: Abbiamo bisogno di uomini come Benedetto da Norcia, che in un tempo di dissipazione e di decadenza, si sprofondò nella solitudine più estrema, riuscendo, dopo tutte le purificazioni che dovette subire, a risalire alla luce. Ritornò e fondò Montecassino, la città sul monte che, con tante rovine, mise insieme le forze dalle quali si formò un mondo nuovo. Così Benedetto, come Abramo, diventò padre di molti popoli". Venerdì 8 aprile - come Decano del Collegio Cardinalizio - presiede la Santa Messa esequiale di Giovanni Paolo II in Piazza San Pietro. La sua omelia esprime la grande fedeltà al Papa e la sua stessa missione. "Seguimi" dice il Signore risorto a Pietro, come sua ultima parola a questo discepolo, scelto per pascere le sue pecore. "Seguimi" - questa parola lapidaria di Cristo può essere considerata la chiave per comprendere il messaggio che viene dalla vita del nostro compianto ed amato Papa Giovanni Paolo II, le cui spoglie deponiamo oggi nella terra come seme di immortalità - il cuore pieno di tristezza, ma anche di gioiosa speranza e di profonda gratitudine". "Seguimi!" è anche la parola-chiave, il filo-conduttore dell'omelia che il Cardinale Ratzinger rivolge al mondo intero durante le esequie del Santo Padre. "Seguimi!" Insieme al mandato di pascere il suo gregge, Cristo annunciò a Pietro il suo martirio. Con questa parola conclusiva e riassuntiva del dialogo sull'amore e sul mandato di pastore universale, il Signore richiama un altro dialogo, tenuto nel contesto dell'ultima cena. Qui Gesù aveva detto: "Dove vado io voi non potete venire". Disse Pietro: "Signore, dove vai?". Gli rispose Gesù: "Dove io vado per ora tu non puoi seguirmi; mi seguirai più tardi" (Gv 13, 33.36). Gesù dalla cena va alla croce, va alla risurrezione - entra nel mistero pasquale; Pietro ancora non lo può seguire. Adesso - dopo la risurrezione - è venuto questo momento, questo "più tardi". Pascendo il gregge di Cristo, Pietro entra nel mistero pasquale, va verso la croce e la risurrezione. Il Signore lo dice con queste parole, "...quando eri più giovane... andavi dove volevi, ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi" (Gv 21, 18). Nel primo periodo del suo Pontificato il Santo Padre, ancora giovane e pieno di forze, sotto la guida di Cristo andava fino ai confini del mondo. Ma poi sempre più è entrato nella comunione delle sofferenze di Cristo, sempre più ha compreso la verità delle parole: "Un altro ti cingerà...". E proprio in questa comunione col Signore sofferente ha instancabilmente e con rinnovata intensità annunciato il Vangelo, il mistero dell'amore che va fino alla fine (cfr Gv 13, 1)". "Egli ha interpretato per noi il mistero pasquale come mistero della divina misericordia... Il Papa ha sofferto ed amato in comunione con Cristo e perciò il messaggio della sua sofferenza e del suo silenzio è stato così eloquente e fecondo". E ha così concluso, con parole che costituiscono una "sintesi", si può dire, del Pontificato di Giovanni Paolo II ma anche della sua stessa missione di fedele, diretto e stretto Collaboratore del Papa dal 1981 come Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede: "Divina Misericordia: Il Santo Padre ha trovato il riflesso più puro della misericordia di Dio nella Madre di Dio. Lui, che aveva perso in tenera età la mamma, tanto più ha amato la Madre divina. Ha sentito le parole del Signore crocifisso come dette proprio a lui personalmente: "Ecco tua madre!". Ed ha fatto come il discepolo prediletto: l'ha accolta nell'intimo del suo essere - Totus tuus. E dalla madre ha imparato a conformarsi a Cristo. Per tutti noi rimane indimenticabile come in questa ultima domenica di Pasqua della sua vita, il Santo Padre, segnato dalla sofferenza, si è affacciato ancora una volta alla finestra del Palazzo Apostolico ed un'ultima volta ha dato la benedizione "Urbi et orbi". Possiamo essere sicuri che il nostro amato Papa sta adesso alla finestra della casa del Padre, ci vede e ci benedice. Sì, ci benedica, Santo Padre. Noi affidiamo la tua cara anima alla Madre di Dio, tua Madre, che ti ha guidato ogni giorno e ti guiderà adesso alla gloria eterna del Suo Figlio, Gesù Cristo nostro Signore". Alla vigilia della sua elezione al Soglio Pontificio, nella mattina di lunedì 18 aprile, nella Basilica Vaticana, celebra la Santa Messa "pro eligendo Romano Pontifice" insieme con i 115 Cardinali, a poche ore dall'inizio del Conclave che lo eleggerà. In quest'ora di
grande responsabilità ascoltiamo con
particolare attenzione quanto il Signore ci dice". "la misericordia divina pone un
limite al male. Gesù Cristo è la misericordia divina in persona:
incontrare Cristo significa incontrare la misericordia di Dio. Il mandato
di Cristo è divenuto mandato nostro attraverso l'unzione sacerdotale;
siamo chiamati a promulgare - non solo a parole ma con la vita, e con i
segni efficaci dei sacramenti, "l'anno di misericordia del Signore".
[...] La
misericordia di Cristo non è una grazia a buon
mercato, non suppone la banalizzazione del male. Cristo porta nel suo
corpo e sulla sua anima tutto il peso del male, tutta la sua forza
distruttiva. Egli brucia e trasforma il male nella sofferenza, nel fuoco
del suo amore sofferente. Quanto più siamo toccati dalla misericordia
del Signore tanto più entriamo in solidarietà con la sua
sofferenza e diveniamo disponibili a completare nella nostra carne "quello
che manca ai patimenti di Cristo". [...] Non dovremmo rimanere fanciulli nella fede, in stato di
minorità. Quanti venti di dottrina abbiamo conosciuto
in questi ultimi decenni, quante correnti ideologiche, quante mode del
pensiero... La piccola barca del pensiero di molti cristiani è stata non
di rado agitata da queste onde, gettata da un estremo all'altro:
dal marxismo al liberalismo, fino al libertinismo; dal collettivismo
all'individualismo radicale; dall'ateismo ad un vago misticismo religioso;
dall'agnosticismo al sincretismo e così via. Ogni giorno nascono nuove
sette e si realizza quanto dice san Paolo sull'inganno degli uomini,
sull'astuzia che tende a trarre nell'errore (cfr Ef 4, 14). Avere una fede
chiara, secondo il Credo della Chiesa, viene spesso etichettato come
fondamentalismo. Mentre il relativismo, cioè il lasciarsi portare "qua e
là da qualsiasi vento di dottrina", appare come l'unico atteggiamento
all'altezza dei tempi odierni. Si va costituendo una dittatura del
relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come
ultima misura solo il proprio io e le sue voglie.
Noi, invece, abbiamo un'altra misura: il Figlio di Dio, il
vero uomo. È lui la misura del vero umanesimo. "Adulta" non è una fede che
segue le onde della moda e l'ultima novità; adulta e matura è una fede
profondamente radicata nell'amicizia con Cristo. È quest'amicizia che ci
apre a tutto ciò che è buono e ci dona il criterio per discernere tra vero
e falso, tra inganno e verità. Questa fede adulta dobbiamo maturare, a
questa fede dobbiamo guidare il gregge di Cristo". "Il nostro ministero -
ha ricordato in conclusione - è un dono di Cristo agli uomini, per
costruire il suo corpo - il mondo nuovo. Viviamo il nostro ministero così,
come dono di Cristo agli uomini! Ma in questa ora, soprattutto, preghiamo
con insistenza il Signore, perché dopo il grande dono di Papa Giovanni
Paolo II, ci doni di nuovo un pastore secondo il suo cuore, un pastore che
ci guidi alla conoscenza di Cristo, al suo amore, alla vera gioia.
Papa
A Benedetto XVI sono bastati due giorni per dare un’idea di che papa sarà:
semplice nei modi, lontano dalla politica, concentrato sulla fede. Fino ad
ora l’abbiamo più visto che ascoltato e dunque sulla politica e la fede
abbiamo solo qualche spunto, ma la gestualità è già chiara e ce lo
prefigura come il papa dell’antiretorica. La prima immagine che il mondo
ha colto, martedì sera, quando si è affacciato dopo l’elezione, è stata
quella di un uomo davvero ridente. Poi lui ha detto di aver accolto
l’elezione come un «dono» e i cardinali hanno raccontato d’averlo visto
«sicuro» e «gioioso» al momento dell’accettazione. Tutto ciò era già
visibile sulla faccia ridente con cui si è mostrato alla folla. Non c’era
nessuna «mediazione» tra il suo sentimento e l’atteggiamento esterno:
questa immediatezza sarà la sua cifra. Anche il modo dei saluti era nuovo.
Non quello ieratico dei papi italiani, ma neanche quello creativo, si
direbbe «d’autore», di Giovanni Paolo II. C’è nel gesto di papa Ratzinger
una tonalità quotidiana, piana, senza pretese, che lo salva dal paragone
col predecessore. Quel modo di alzare le braccia sopra la testa,
stringendo le mani l’una con l’altra, in un saluto da sportivi, si vede
che gli viene del tutto spontaneo e si può scommettere che non l’aveva mai
compiuto in vita sua. L’elezione l’ha come liberato dai suoi modi timidi,
da intellettuale educato alla riservatezza.
LA QUOTIDIANITÀ MODESTA - In quella prima
apparizione ha colpito che dall’apertura delle maniche della veste bianca
si vedessero gli avambracci coperti da una maglia scura. Niente camicia,
dunque, con tanto di gemelli, com’è la tenuta dei papi. Papa Ratzinger ci
si è presentato alla buona, proprio come qualche volta capita di vedere un
prete che indossa un maglione sotto i paramenti da messa. Una quotidianità
modesta, quella di Benedetto XVI, propria di chi è cresciuto in povertà e
nulla cura della propria immagine. Alla semplicità dei modi vanno anche
ricondotte le due uscite dal Vaticano, per tornare al suo vecchio
appartamento, dove si è trattenuto due ore e tre ore nei pomeriggi di
mercoledì e di ieri. Stava preparando i discorsi che dovrà tenere oggi ai
cardinali, domani ai giornalisti e domenica al mondo, dalla piazza di San
Pietro. Possiamo immaginare che aveva bisogno di una citazione, di
consultare un libro, ritrovare un appunto. Si erano visti papi che
uscivano dal Vaticano appena eletti per fare visita a cardinali malati, o
ad amici ricoverati al Gemelli, o per un «salto» a un santuario mariano,
come fece Wojtyla con quello della Mentorella. Ma ora abbiamo un papa che
esce per tornare a casa sua. Sempre al titolo «semplicità» va ricondotta
la decisione di restare al Santa Marta finché non sarà pronto
l’appartamento del Palazzo vaticano, che stanno «rinfrescando».
LA SCELTA DELL'ALLOGGIO - >Era uso recente
- da Giovanni XXIII in poi - che per tale contingenza i papi prendessero
alloggio alla Torre di San Giovanni, che si trova nella parte alta dei
giardini vaticani, vicino all’eliporto. L’hanno portato a fargliela
vedere, mercoledì, ma l’ha trovata «troppo grande» e «troppo isolata». Ha
scelto di restare al Santa Marta, dove riceve - nel cosiddetto
«Appartamento del patriarca» - collaboratori e visitatori. Insomma è
restato in albergo, come farebbe un professore chiamato fuori sede per un
corso, mentre aspetta che si liberi la stanza degli «ospiti» presso la
foresteria dell’Università. E’ probabile che Benedetto XVI faccia meno
discorsi del predecessore - magari scrivendoli, per quanto può,
personalmente - e in essi tratti meno argomenti. In particolare dovrebbe
esporsi di meno in materie che toccano la politica e le relazioni
internazionali. E’ presto per dirlo forte, ma sta di fatto che nel
«messaggio» programmatico letto mercoledì mattina davanti ai cardinali non
nomina la globalizzazione e non parla di Nord-Sud, della pace, dei diritti
umani. Quegli argomenti non mancavano mai nei grandi discorsi di papa
Wojtyla. Ne parlerà di sicuro anche Benedetto XVI, ma è verosimile che
egli - da teologo rigoroso qual è - voglia dare una netta priorità alle
tematiche ecclesiali rispetto a quelle di «servizio all’uomo», come si
dice nel linguaggio vaticano ufficiale.
I MISTERI DEL CREDO E’ probabile anche
che sotto il nuovo pontificato gli organismi vaticani producano meno
documenti su argomenti marginali, dal turismo alla pubblicità, agli Ogm.
Sappiamo che il cardinale Ratzinger non vedeva di buon occhio la
superproduzione di testi invalsa negli ultimi decenni. Da sempre
l’argomento che appassiona il teologo Ratzinger è quello della fede: come
sia possibile che l’uomo d’oggi accetti il «mistero» della morte e
resurrezione di Cristo che è al centro della predicazione cristiana. E
come la possa esprimere - quella fede - nella lingua d’oggi. Può essere
dunque che avremo un papa che concentri le sue energie sullo specifico
della propria missione di «vescovo di Roma» e in particolare su quanto
riguarda la crisi di fede del nostro tempo e i modi di portarvi rimedio.
Ha già detto ai cardinali che si lascerà guidare «dall’unica
preoccupazione di proclamare al mondo intero la presenza viva di Cristo».
Nella «via crucis» che il cardinale Ratzinger aveva scritto per l’ultimo
Venerdì santo c’era un’invocazione che probabilmente ascolteremo più volte
in bocca a papa Ratzinger: «Aiutaci a credere in te, mostrati di nuovo al
mondo in quest’ora, fa’ che la tua salvezza si manifesti». Luigi Accattoli |