GLI ANTENATI DEL DIALETTO DI ROMA

- III -


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TRACTATI

Giovanni Mariotti, 1450 c.ca
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pagina 2
selezione di brani dai Tractati
pagina 3
le didascalie dei cicli di affreschi



I cosiddetti Tractati sono un manoscritto della metà del Quattrocento, le cui 179 pagine furono compilate da Padre Mariotti, parroco di Santa Maria in Trastevere, che era anche padre spirituale di una delle più popolari sante di Roma: Francesca Romana. Dopo la morte di quest'ultima, avvenuta nel 1440, il religioso mise in ordine tutto il materiale che aveva meticolosamente accumulato negli anni precedenti, riguardante la vita della santa e le sue frequenti visioni mistiche. La sua opera narra di Francesca Romana e, indirettamente, anche della storia e della società romana del XV secolo.
Questa pagina contiene una breve biografia della santa, e un commento ai Tractati, di cui alcuni brani sono riportati a pagina 2. Quasi come un'appendice, pagina 3 presenta una serie di brevi didascalie, appartenenti ad un doppio ciclo di affreschi della seconda metà del XV secolo, che hanno per tema la vita della santa.


FRANCESCA ROMANA

Francesca Romana di Paolo de Buscis (ovvero Bussa de' Leoni, secondo altre fonti) nacque nel 1384 da una famiglia nobile del luogo. Alla precocissima età di 12 anni andò sposa a Lorenzo de' Ponziani, comandante delle truppe pontificie di Roma, col quale ebbe tre figli, ma due di essi morirono in età giovanissima. Nonostante la sua posizione sociale di rilievo, si dedicò per tutta la vita ai poveri e alle opere caritatevoli. Dopo essersi trasferita nella casa di famiglia del marito, nel rione Trastevere, trasformò quest'ultima quasi in un ospizio dove, con l'aiuto dell'amata cognata Vannozza, fornì pasti gratuiti, ricovero e assistenza medica a molti indigenti. Assai presto, divenne molto conosciuta tra coloro che aiutava col suo soprannome, Ceccolella. Ma il suocero non vedeva di buon occhio le sue attività, accusandola di sperperare il patrimonio di famiglia.

il monastero di Tor de' Specchi, dove la santa visse i suoi ultimi anni
Essendo molto pia, nel 1433 assieme ad altre donne fondò un ordine religioso, la cui sede era un monastero situato vicino al Campidoglio. Dopo la morte del marito (1436) lasciò la sua casa, per assumere l'incarico di superiora dello stesso istituto. Nel 1440 suo figlio si ammalò di peste: Francesca Romana tornò a casa per prendersi cura di lui, e riuscì anche a salvarlo, ma nel fare ciò contrasse essa stessa l'infezione, e in breve termine ne morì.

Nel corso della sua vita le sono stati attribuiti diversi miracoli, per lo più guarigioni.
Dichiarata beata poco dopo la sua morte, Francesca Romana fu innalzata all'onore degli altari nel 1608, quando divenne santa; l'antica chiesa di Santa Maria Nova, presso il Foro Romano, che aveva regolarmente frequentato, le fu dedicata, e prese il suo nome. È curioso che il luogo della sua sepoltura rimase ignoto per quasi due secoli; fu poi rinvenuta nella stessa chiesa, trenta anni dopo la sua santificazione.
Nel 1925 fu anche promossa santa patrona di tutti gli autisti: ogni anno il 9 marzo (giorno della sua morte), una folla di automobili e vetture di ogni genere si raduna presso la chiesa per ricevere una speciale benedizione.

la chiesa di Santa Francesca Romana,
già Santa Maria Nova


Francesca Romana resuscita un affogato
L'antico monastero dove Francesca Romana visse i suoi ultimi anni esiste ancora, e ospita monache appartenenti allo stesso Ordine da lei fondato: è uno dei pochi edifici risparmiati dall'estesa demolizione del quartiere, che ebbe luogo all'inizio del '900. Qui si conserva l'antico manoscritto di Padre Mariotti. Inoltre due sale sono adornate da notevoli affreschi del XV secolo, raffiguranti episodi della vita della santa, ed ognuno di essi è completato da un'interessante didascalia che descrive la scena (si veda pagina 3 per maggiori dettagli).
Il monastero rimane aperto al pubblico solo per pochissimi giorni all'anno: quello stesso della santa (9 marzo), e una o due domeniche successive.

Ai suoi tempi Francesca Romana incarnava il perfetto modello di virtù. Oggi la sua vita verrebbe probabilmente valutata con un metro diverso. La sua repulsione per la benché minima relazione con individui dell'opposto sesso (compreso suo padre), la continua autoinflizione di penitenze fisiche per mezzo di cilici e strumenti di ferro che le straziavano le carni, il rifiuto di ricevere alcuna cura per le sue frequenti condizioni di malattia, se non il semplice conforto spirituale, e le stesse visioni che aveva, quasi giornalmente, verrebbero letti come il segnale di importanti cicatrici psicologiche che il suo precocissimo matrimonio, la morte dei figli, l'ambiente rigorosamente religioso, il triste modello sociale della Roma del Quattrocento, ai cui membri più derelitti era così vicina, avevano senza dubbio inferto alla personalità della povera Francesca Romana sin dagli anni della sua infanzia.



I TRACTATI

Il manoscritto di Padre Mariotti si compone di cinque trattati individuali, intitolati rispettivamente TRACTATI DELLA VITA ET DELLI VISIONI, TRACTATO DELLE BACTAGLIE, TRACTATO DELLO INFERNO, TRACTATO DEL PURGATORIO, e TRACTATO DELLO FELICE OBITO. Sono di lunghezza progressivamente decrescente, essendo il primo lungo 123 pagine, e l'ultimo solo un paio.
Benché si tratti di un testo scritto, il linguaggio che l'autore ha usato nella compilazione dell'opera è molto spontaneo, quindi abbastanza vicino alla lingua parlata del suo tempo. Ciò è confermato dalle didascalie degli affreschi anzidetti, dipinti solo qualche decennio dopo, perché il loro lessico è molto simile a quello usato da Padre Mariotti nella sua opera.
Lo scopo di questi trattati, come dichiarato nelle righe di apertura, era di divulgare la biografia di Francesca Romana e le sue visioni. Il racconto di molti episodi della sua vita, in paragrafi individuali, ciascuno dei quali riporta la data, è fortemente imbevuto di misticismo, ma la descrizione dei particolari e lo stesso lessico usato sono quelli di tutti i giorni. L'intera opera, infatti, è ambientata in un contesto ancora pienamente medievale, nel quale la realtà e il soprannaturale non solo coesistono, ma si fondono l'uno con l'altro. Un chiaro esempio di tale ingenua miscela è il passaggio nel quale Francesca Romana, durante una delle sue visioni, regge in braccio Gesù bambino (pagine 62-63 del manoscritto), e tenta di mostrarlo a Padre Mariotti:

(...)   Et stennendo le braccia colle quale teveva lo Signore con segno de mustrallo al suo prete diceva Ecco lo amore vedilo, vedi tanto bene, ammiralo bene, con simili parole. Ma non avendo portati li occhiali lo suo poverecto patre spirituale, non vide altro che li segni delle braccia della beata.   (...)
 
(...)   E protendendo le braccia con le quali reggeva il Signore, facendo il gesto di mostrarlo al sacerdote diceva: "Ecco l'amore, guardalo, guarda quanto bene, ammiralo bene", e parole simili. Ma non avendo portato gli occhiali, il suo povero padre spirituale non vide altro che il gesto delle braccia della beata.   (...)


S.Paolo e l'angelo custode proteggono
Francesca Romana dal maligno, apparsole in forma di drago
Anche le "battaglie" combattute da Francesca Romana contro il maligno sono sempre popolate da esseri quali demoni cornuti, o terribili serpenti, o draghi che sputano fuoco, simili a quelli che fanno parte della tradizionale iconografia del Giudizio Universale. Nonostante la presenza di un angelo, che la teneva costantemente sotto la propria custodia, la santa era soggetta ad ogni sorta di maltrattamento. Più che come visioni, le sue esperienze vengono descritte come dei veri incontri ravvicinati con tali entità, e anche le sofferenze patite per mano dei suoi torturatori, secondo il racconto di Padre Mariotti, erano estremamente fisiche, al punto che i suoi parenti all'interno della casa potevano udire il rumore dei terribili colpi inferti alla santa dagli esseri soprannaturali.

Ma anche l'angelo che aveva il compito di sorvegliarla, quando la santa commetteva la seppur minima mancanza, usava metodi non meno duri dei suoi stessi aguzzini (pag. 9):

(...)   Et prima che essa beata avessi la dicta angelica visione, molte fiate perla cura della casa et conversatione, avessi per flagilita comesso allcuno fallimento, in segno era subito percossa o vero bactuta nella mascella, o vero in altri parti della soa persona in cio che luoco fossi stata, sola o vero in compangia, de die et de nocte, non vedendo da chi fossi bactuta, et comprendendo lo defecto in saminatione della soa conscientia, et avendonne la perfecta contritione, con sancto proposito se disponeva alla vera confessione. La quale punitione recipeva dallo glorioso angilo, advenga che essa anche nollo vedessi. Et tale punitione per divina volonta li fo data una fiata presente mi. Unde stanno io con essa beata ad udirela in confessione in casa dello suo marito, et essa stanno inginochiata, prestissimamente se affiecte quasi collo capo in terra molto affannata de pena corporale, della quale cosa stanno io molto sbagoctito, adomandando essa beata que fossi, essa mi disse, como era bactuta nelle spalle fortemente, non sapendo dicere da chi.
 
(...)   E prima che la beata avesse (avuto) tale angelica visione, quando in diverse occasioni avesse per superficialità commesso alcuna mancanza nella cura della casa o durante una conversazione, in conseguenza veniva subito percossa, ovvero battuta sulle guance, oppure in altre parti del suo corpo, in qualsiasi luogo fosse stata, da sola oppure in compagnia, di giorno o di notte, non vedendo da chi fosse battuta, e comprendendo la propria mancanza attraverso un esame di coscienza; e provandone una perfetta contrizione, si disponeva con santo proposito alla vera confessione. Riceveva tale punizione dal glorioso angelo, benché essa neppure lo vedesse. E tale punizione per divina volontà una volta le fu data in mia presenza. Mentre mi trovavo con la beata ad ascoltarla in confessione, in casa di suo marito, ed ella era inginocchiata, di colpo si chinò quasi col capo in terra, soffrendo molto per un dolore fisico, ed essendo io molto stupito di tale cosa, domandando alla beata di cosa si trattasse, mi disse che era battuta nelle spalle con forza, ma non sapendo dire da chi.   (...)


La sua visione dell'inferno è descritta secondo la tipica iconografia medievale, né potrebbe essere altrimenti, visto che la stessa santa dichiara che de questa visione et de tucte altre cose che diceva, se conformava et quietava in quello che la sancta matre ecclesia catholica crede (...). Pertanto l'inferno è quello "classico": un abisso dove i colpevoli sono soggetti alle più disparate sofferenze fisiche, dove persino il fuoco è scuro, con diversi livelli e sezioni, dominato da una gigantesca figura di Satanasso. Qui le anime dannate vengono sottoposte dai diavoli a perenni torture, a seconda della gravità e del tipo di peccato commesso in vita. Oltre alla fonte letteraria fornita da Padre Mariotti, uno degli affreschi nel monastero di Francesca Romana propone un'eloquente interpretazione di tale visione (illustrazione a destra). La presenza dell'arcangelo Raffaele, che accompagna la santa a fare un giro completo del suddetto luogo, ricorda davvero la Divina Commedia, una fonte d'ispirazione della quale Padre Mariotti potrebbe essere stato a conoscenza.

Il lessico usato per redigere il manoscritto contiene ancora molti termini che rivelano un forte condizionamento latino, ma vi si riscontrano anche molti elementi tipici dei dialetti meridionali, assai più che nelle due opere prese in considerazione precedentemente. Per esempio, il cambio di alcuni gruppi consonantici in raddoppi di consonante, specialmente ...nd..., ...sc..., ...ld... rispettivamente in ...nn..., ...ss..., ...ll..., è molto comune.

Francesca Romana (in alto a sin.)
e la sua visione dell'inferno

volgare (XV sec.)
dialetto romanesco
italiano
granne granne grande
calli calli caldi
lassare lassà lasciare
responnenno arisponnenno rispondendo
annanno annànno andando

In qualche espressione particolare, come acciachare à schiacciare, freccicare à formicolare, le mano à le mani, ed altre è già ben riconoscibile il dialetto di Roma, come pure in alterazioni essenzialmente fonetiche, quali cascione à cagione, roscio à rosso, cammera à camera, ecc.
Va detto che alcuni caratteri originali di questa lingua cominciarono a scomparire col volgere del XVI secolo. Dal 1513 al 1669, molti dei papi eletti furono toscani (in particolare Leone X, Clemente VII, Giulio III, Leone XI, Urbano VIII, Innocenzo X e Clemente IX), e la comunità di immigrati dalla Toscana che si sviluppò a Roma durante questo periodo, comprendente figure di tutti i livelli sociali, quali artigiani, operai, artisti, mercanti, banchieri, esponenti del clero e della nobiltà, ecc., divenne così numerosa da lasciare progressivamente un'impronta sul modo di parlare del luogo. Così, nell'arco di un paio di secoli, il dialetto romano perse alcuni elementi linguistici originari che, per contro, sono ancora oggi presenti nei dialetti parlati più a sud, soprattutto a Napoli:

volgare (XV sec.)
dialetto napoletano
italiano
fierro fierre ferro
cuorpo cuorpe corpo
tuorti tuorte storti
vestuta vestuta vestita
pigliatenne pigliaténne prèndine

Se così non fosse stato, oggi il dialetto romano sarebbe assai più somigliante a quello napoletano.
Inoltre molti vocaboli venivano scritti in modi diversi; anche nel testo di Padre Mariotti, fra gli altri, troviamo:

de po / depo
sentuta / sentata
comenso / cominso
Singnore / Signore
dracone / draccone / dracgone

Ciò mostra chiaramente come il volgare fosse facilmente soggetto a trasformazioni, data la mancanza di regole grammaticali standardizzate.


I Tractati sono interessanti anche da un punto di vista storico. Gli anni in cui visse Francesca Romana furono particolarmente travagliati a causa della lotta senza fine per il potere politico, fra Ladislao re di Napoli, papa Innocenzo VII e il popolo di Roma; quest'ultimo non era disposto a sottomettersi al monarca, ma neppure a consentire che il papa mantenesse il suo potere temporale. Così, nel primo decennio del Quattrocento Roma fu spesso sconvolta dai conflitti, e in qualche passaggio della biografia della santa se ne fa cenno, seppur abbastanza vagamente.

Tanto Padre Mariotti che Francesca Romana assistettero personalmente agli scontri; il marito della santa fu anche gravemente ferito in battaglia, e non guarì mai del tutto, dovendo essere accudito da Francesca per il resto dei suoi giorni. Pertanto la descrizione di questi fatti storici, benché vista con gli occhi di un uomo di fede, e sempre subordinata al contesto della vita della santa, possono ancora rappresentare un prezioso riferimento per gli storici.

I Tractati rivelano anche come nel XV secolo la religione fosse ancora il perno attorno al quale ruotava l'intera società romana. Molti dei suoi aspetti oggi apparirebbero come una vera forma di fanatismo. Nel Tractato dello inferno, nel quale Francesca Romana assiste agli infiniti tormenti inflitti dai demoni alle anime dannate, a parte le categorie tradizionali di peccatori, quali i golosi, i superbi, i blasfemi, i lussuriosi, ecc., ne vengono incluse molte altre, alcune delle quali francamente bizzarre, come i danzatori (per il loro comportamento osceno), le vergini e le vedove (per aver agito con immodestia), i macellai (per aver venduto carne di bassa qualità a prezzi alti), persino i medici (tra le altre colpe, "perli libri che avevano usati", che evidentemente rientravano nella lista nera dei testi proscritti), e così via.
Coloro che non si conformavano rigorosamente ai dettami della Chiesa erano guardati con sospetto, e venivano spesso fatti oggetto di disprezzo; in una delle sue visioni, Francesca Romana assiste alla passione di Cristo, che descrive nel seguente modo:

(...)   Et stanno in extasi depo la comunione, disse como li vangelisti non faco mentione che lo Signore fossi bactuto alla colompna, perche tale bactitura fo data in secreto. Anche in secreto li iniqui iudei fecero allo Signore molte iniurie et illusioni, delli quali non se fa mensione. In fra laltro fo che essendo lo Signore spogliato et puoi flagellato alla colompna, volendose puoi vestire, non trovava li panni perche li iudei li avevano nascosti, et cercandoli lo Signore, li cani iudei sequitannolo lo bactevano con granne destratio. Disse anche la beata, che quelli li quali bactiero lo Singnore alla colompna, fuero vinti cinque, tucti capati per li piu iniqui et crudeli che potessino avere, acio che bene tormentassino.   (...)
 
(...)   E rimanendo in estasi dopo la Comunione, raccontò come gli Evangelisti non fanno menzione che il Signore fosse stato battuto alla colonna, perché tale battitura fu data segretamente. Sempre segretamente, gli iniqui Giudei rivolsero al Signore molte ingiurie e scherzi, dei quali non si fa menzione. Tra l'altro, essendo stato il Signore spogliato e quindi flagellato alla colonna, volendosi poi rivestire, non trovava i vestiti perché i giudei li avevano nascosti, e mentre il Signore li cercava, i cani giudei lo seguivano battendolo con grande destrezza. La beata disse anche che coloro i quali batterono il Signore alla colonna furono venticinque, tutti scelti fra i più iniqui e crudeli che si potessero trovare, affinché lo tormentassero bene.   (...)

Tale risentimento, o autentico odio, che una larga maggioranza della popolazione provava verso gli Ebrei, era principalmente istigata dalla Chiesa per motivi religiosi. Ma per la numerosa comunità ebraica tale ostilità ebbe serie ripercussioni anche nella vita di tutti i giorni, a Roma come altrove in Europa, scatenando un'autentica persecuzione, che durante i secoli XV e XVI conobbe le manifestazioni più aspre, quali l'istituzione del ghetto, la perdita di molti diritti civili, e così via.




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