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Cosa vide Dante
Dante Alighieri (1265-1321) è sia il fondatore sia il più noto poeta della letteratura
italiana. La La Divina Commedia, un viaggio
attraverso Inferno, Purgatoro e Paradiso, fu scritto in volgare, la lingua prlata
ogni giorno a Firenze, che divenne, soprattutto per il successo del poema, la base dell'Italiano,
contribuendo alla formazione di una coscienza "Italiana".
I versi sono endecasillabi e raggruppati in terzine che rimano aba, bcb, cdc, etc..
Nel poema ci sono molti riferimenti al grande passato di Roma.
Dante visitò Roma nel 1301 come membro di una delegazione colà
inviata con lo scopo di capire gli intendimenti di Papa Bonifacio
VIII, che ripetutamente aveva tentato di influenzare le vicende politiche fiorentine:
alcuni riferimenti specifici nel poema ai luoghi di Roma senza dubbio si riferiscono a quel
viaggio.
Alcuni
riferimenti generali
Purgatorio, Canto XVI
Soleva Roma, che 'l buon mondo
feo, Due soli aver, che l'una e l'altra strada Facean vedere,
e del mondo e di Deo.

La foto mostra un particolare della dum U dvou sluncu
(casa Ai due soli), 47 Nerudova, Praga.
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Ai tempi di Dante, i Comuni italiani si dividevano
in Guelfi (che sostenevanoo il Papa) e Ghibellini (che sostenevano l'Imperatore): la divisione
spesso si rifletteva all'interno delle stesse città, spaccatura che aveva più ragioni
economiche che ideali. Dato che Pisa era Ghibellina a Firenze tornò comodo essere Guelfa,
e i Guelfi di Firenze erano divisi in Bianchi e Neri. Dante era dalla parte dei Guelfi Bianchi,
ma quando era a Roma, Carlo di Valois, fratello del Re di Francia e inviato del Papa entrò a Firenze
con un piccolo esercito per sedare le dispute tra Bianchi e Neri. Egli favorì la formazione
di un nuovo governo di Guelfi Neri, che caccirono dalla città la parte rivale. Dante non poté
rientrare a Firenze e per vent'anni vagò per le corti dei principi italiani, soprattutto
a Verona e Ravenna, dove morì nel 1321.
Egli espresse le sue teorie politiche in un ponderoso trattatato (De Monarchia)
e in maniera più efficace parlando dei due soli di Roma (il Papa e l'Imperatore) ciascuno
col compito di illuminare alcuni aspetti della vita. Il riferimento storico è un po' forzato
perché il riconoscimento della religione Cristiana da parte di Costantino coincise con lo
spostamento della sede imperiale a Constantinopoli.
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Paradiso, Canto XXXI
Se i barbari, venendo da tal
plaga Che ciascun giorno d'Elice si cuopra, Rotante col suo
figlio ond'ella è vaga,
Veggendo Roma e l'ardua sua opra, Stupefaciensi,....
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La Divina Commedia abbonda di
similitudini, che spesso sono i punti più alti del poema.
Dopo il lungo viaggio attraverso Inferno e Purgatorio e quasi alla fine
del suo giro in Paradiso, Dante è ammesso alla visione dei santi e paragona il suo stupore
a quella vista con quello dei parbari provenienti dal nord Europa
(la regione sotto la ninfa Helice, simbolo dell'Orsa Maggiore), che per la prima volta
vedono Roma.
L'impatto della prima vista su Roma fu descritto da molti scrittori Latini, compreso
Virgilio, guida di Dante attraverso Inferno e Purgatorio.
La foto a sinistra mostra un particolare di una statua di prigioniero barbaro
nell'Arco di
Costantino: la faccia fu restaurata da Pietro Bracci in 1733. |
Purgatorio, Canto VI
Vieni a
veder la tua Roma che piagne Vedova e sola, e dì e notte
chiama: "Cesare mio, perché non m'accompagne?".

La foto mostra un particolare di una stata antica chiamata
Tusnelda o Germania vinta nella Loggia della
Signoria in Florence.
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In questi versi Dante rivolge un appello all'Imperatore
(tedesco) che non fa il suo dovere e lascia in Roma in stato d'abbandono
(quando scrive Dante anche il Papa ha abbandonato Roma), ma la terzina esprime una nostalgia più
generale per un passato di fama e potenza.
La gloria del passato confrontata con la miseria attuale e in generale l'eredità
di Roma antica è qualcosa con cui gli Italiani hanno avuto a che fare per secoli. Dalla
rivendicazione di legami diretti con Roma antica da parte di molte città itliane
(come Venezia e Siena) ai tentativi di Mussolini di riportare in auge la romanità,
il passato continua ad influenzare la visione che gli Italiani hanno di se stessi (e che gli
stranieri hanno degli Italiani).
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Riferimenti specifici:
Ponte S. Angelo
Inferno, Canto XVIII
Nel fondo erano ignudi i peccatori; Dal mezzo in qua ci
venien verso 'l volto, Di là con noi, ma con passi
maggiori,
Come i Roman per l'essercito molto, L'anno del giubileo,
su per lo ponte Hanno a passar la gente modo colto,
Che da l'un lato tutti hanno la fronte Verso 'l castello
e vanno a Santo Pietro, Da l'altra sponda vanno verso 'l
monte.
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Molti credono che questa similitudine tra frotte di peccatori all'Inferno
e quelle dei pellegrini dell'Anno Santo del 1300 sia una prova che Dante fosse a Roma
in quell'anno ma la questione è controversa.
Papa Bonifacio VIII proclamò il primo Giubileo o Anno santo nel 1300 e il numero di pellegrini
era così alto che sul ponte furono messe delle passerelle per facilitare l'afflusso e l'accesso a
S. Pietro.
Il ponte citato da Dante è Ponte S. Angelo, il Castello è Castel
Sant'Angelo e il Monte è il Palazzo di Monte
Giordano.
La foto mostra un affresco nel cortile di
S. Gregorio
Magno e ritrae la visione di un angelo che annuncia la fine della pestilenza.
l'affresco mostra come apparivano il ponte ed il castello agli inizi del XVII secolo. |
La Famiglia Orsini Inferno, Canto XIX
... «Dunque che a me richiedi?
Se di saper ch'i' sia ti cal cotanto, Che tu abbi però
la ripa corsa, Sappi ch'i' fui vestito del gran manto;
E veramente fui figliuol de l'orsa, Cupido sì per
avanzar li orsatti, Che sù l'avere e qui me misi in
borsa.

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Dante ce l'aveva a morte col comportamento simoniaco
di certi papi che vendevano i benefici ecclesiastici per trarne profitto.
Li mette all'Inferno, conficcati a testa in giù in stretti pozzetti e con in piedi in fiamme.
I versi descrivono l'incontro tra Dante e Niccolò III, Giovanni
Gaetano Orsini, papa negli anni 1277-80, che ammette i suoi peccati usando una
metafora che fa riferimento al simbolo di famiglia, l'orsa. L'orsa è nota per essere
molto ghiotta. I suoi atti intesi a favorire con ogni mezzo i suoi nipoti gli procurò
richhezze su (sulla Terra) e dolore all'Inferno.
La foto mostra un plinto oggi nelle Grotte Vaticane ed un tempo parte del perduto monumento
a Niccolò III in S. Pietro Vecchio. Il lato sinistro mostra lo stemma degli Orsini
mentre il lato destro ne mostra il simbolo, un orso. |
| Aventino Inferno, Canto XXV
Lo mio maestro disse: «Questi è Caco, Che, sotto 'l
sasso di monte Aventino, Di sangue fece spesse volte laco.
Non va co' suoi fratei per un cammino, Per lo furto che
frodolente fece Del grande armento ch'elli ebbe a
vicino;
Onde cessar le sue opere biece Sotto la mazza d'Ercule,
che forse Gliene diè cento, e non sentì le diece».
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Secondo il mito, Caco era un centauro
che viveva in una profonda caverna tra il Palatino e
l'Aventino:
rubò i due tori di Ercole trascinandoli per la coda nel suo rifugio.
Quando Ercole si accorse che gli armenti erano scomparsi li cercò in vano: andava dalla parte
opposta. Si rassegnò pertanto
a spostarsi con la mandria rimanente quando all'improvviso udì i tori rapiti muggire
per la fame: riuscì a trovare
la grotta dov'erano tenuti e era così adirato che pestò la faccia di Caco a sangue
e continuò a percuoterlo anche
dopo ch'era morto.
Quando Dante visitò Roma l'Aventino era in abbandono (con l'eccezione
dei monasteri di S. Sabina e S.
Alessio). Gli archi delle mura costruite dai romani on the
southern steep corner del colle erano ricoperti di vegetazione spontanea:
avevano l'aspetto di ingressi di grotte.
Gli episodi narrati nel poema divennero così famosi a Firenze che
all'ingresso di Palazzo vecchio fu messa (e vi sta tuttora) una statua gigantesca ispirata
alla descrizione dantesca di Ercole e Caco. Di fronte vi è il David (oggi una copia)
di Michelangelo.
La foto mostra un particolare di questa statua di Baccio Bandinelli. |
Laterano
Inferno, Canto XXVII
Lo principe d'i novi Farisei, Avendo guerra presso a
Laterano, E non con Saracin né con Giudei,
Ché ciascun suo nimico era Cristiano, E nessun era stato
a vincer Acri Né mercatante in terra di Soldano;
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Bonifacio VIII fu forse la persona che Dante disprezzò
di più. Spesso Dante non nomina esplicitamente i personaggi che incontra nel suo viaggio ma
usa dei riferimenti indiretti. Per Bonifacio VIII sceglie il titolo infamante di Principe dei
Farisei e mette in risalto che scatena guerre contro altri cristiani e non contro i seguaci di
altre religioni.
Le parole presso a Lateran
stanno per "con i membri della famiglia Colonna", con i
quali Bonifacio VIII si scontrò più volte. I Colonna minacciavano
il Laterano, e quindi la residenza del papa, dalle loro fortezze sul
Quirinale. Fu dalla loggia in
Lateran che Bonifacio VIII annunciò il Primo Giubileo.
La foto mostra un affresco in
S.
Giovanni in Laterano che ritrae il momento della proclamazione del Giubileo.
In passato l'affresco fu attribuito a Giotto. |
Pigna del Vaticano
Inferno, Canto XXXI
La faccia sua mi parea lunga e grossa Come la pina di
San Pietro a Roma, E a sua proporzione eran l'altre ossa;
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Dante, per descrivere le dimensioni della
faccia del gigante Nimrod la paragona alla pigna
bronzea che un tempo stava all'ingresso di S. Pietro. Nimrod era il
re di babilonia che volle costruire una torre per raggiungere il
cielo. La pigna, un tempo una fontana Romana, si trova oggi nel Cortile della Pigna in
Vaticano. Un rione di Roma (tra S. Maria sopra
Minerva e Via del Corso) prende il nome da essa.
Il
pittore francese Gustave Dorè (1832-83) è uno dei più noti
illustratori de La Divina Commedia: disegnò figuere gigantesche,
muscolose, chiaramente ispirate alle opere di Michelangelo (vedi immagine a
sinistra). Prima di lui, Edward
Blake (1757-1827) aveva illustrato alcuni episodi del poema
in maniera più spirituale. |
Rupe Tarpea
Purgatorio, Canto IX
E quando fuor ne' cardini distorti Li spigoli di quella regge
sacra, Che di metallo son sonanti e forti,
Non rugghiò sì nè si mostrò sì acra Tarpea, come tolto le fu
il buono Metello, per che poi rimase macra.
L'immagine mostra i panelli bronzei inferiori della
porta principale di S. Giovanni in Laterano. Poiché più piccoli
del necessario furono incorniciati da
una decorazione con i simboli araldici di Papa Alessandro VII. |
La tradizionale rappresentazione del Purgatorio
era una montagna. Ai suoi piedi un angelo sorvegliava il pesante portone che
ne permetteva l'accesso. Dante paragona il rumore che sente quando la porta viene aperta
per permettere a lui a Virgilio di continuare il loro viaggio col rumore delle porte
dell'Aerarium, il Ministero del Tesoro di Roma, quando Giulio Cesare le aveva forzate
per prendere possesso del suo contenuto.
L'Aerarium era situato proprio sotto la
Rupe Tarpea e il principale tempio di Roma dedicato a Giove.
Il tribuno Lucius Cecilius Metellus era il custode del Tesoro e vanamente si oppose a Cesare.
Poiché la collina sopra l'edificio franò durante il Medio Evo, nulla di esso
era visibile al tempo di dante. E' perciò possibile che Dante avesse in mente i pannelli
bronzei della vicina Curia
Julia che erano ancora al suo posto (sebbene l'edificio fosse stato trasformato
nel frattempo nella chiesa di S. Adriano). Nel XVII secolo i pannelli bronzei furono trasferiti
in S.
Giovanni in Laterano per chiudere la porta principale della basilica,
che era stata rinnovata da Francesco Borromini negli anni
1644-55. |
Colonna Traiana
Purgatorio, Canto X
I' mossi i piè' del loco dov'io stava, Per avvisar da presso
un'altra istoria, Che di dietro a Micol mi biancheggiava.
Quiv'era storiata l'alta gloria Del roman principato, il cui
valore Mosse Gregorio a la sua gran vittoria;
I' dico di Traiano imperadore; E una vedovella li era al
freno, Di lagrime atteggiata e di dolore.
Intorno a lui parea calcato e pieno Di cavalieri, e l'aguglie
ne l'oro Sovr'essi in vista al vento si movieno.
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Gli imperatori Romani più famosi erano pagani ma alcuni di loro
furono salvati dall'Inferno. Trajano fu perdonato e trasferito in Purgatorio per
intercessione di S. Gregorio che pregò per la sua anima .
Dante descrive (senza fare riferimenti specifici alla Colonna
Traiana) un altorilievo marmoreo che descriveva gli eventi del regno di Traiano.
Fa riferimento ad un episodio leggendario nel quale l'imperatore posticipa la partenza per
la guerra per rendere giustizia ad una vedova. Traiano è ritratto in mezzo ad una schiera di
cavalieri con le aquile d'oro (gli stendardi di Roma) che si muovono al vento.
Nei rilievi della
Colonna Traiana alcuni oggetti come lance e stendardi erano di bronzo dorato
e messe in mano alle figure di marmo.
Poiché nella Colonna Traiana l'imperatore è di solito ritratto mentre
parla alle truppe, Dante potrebbe avere in mente rilievi posteriori dove gli imperatori sono
raffigurati alla testa della loro cavalleria.
L'immagine mostra un altorilievo un tempo alla base della Colonna
Antonina e oggi ai Musei Vaticani. |
Gli sfondi delle tabelle mostrano i ritratti di Dante fatti da Raffaello (affreschi
in Vaticano). |