S. Salvatore alle Coppelle
Rione S. Eustachio, piazza delle Coppelle
CHIESE MEDIEVALI torna alla pagina iniziale delle CHIESE DI ROMA

La chiesa prende il nome dai Cupellari, i costruttori delle botticelle della capacità di 5 litri (cupellae) usate per conservar l'acqua, che avevano le loro botteghe nella zona. Col nuovo acquedotto costruito da Sisto V e Paolo V questo commercio fu abbandonato ma il nome indica tuttora la chiesa e la strada.
Prima di assumere tale toponimo però, la contrada era denominata «della Pietà», forse per la vicinanza del cosiddetto Arco della Pietà, di età traianea, oggi scomparso: i bassorilievi che descrivevano le province e le nazioni che si raccomandavano alla clemenza dell'imperatore, furono interpretati nel Medioevo come rappresentazioni della pietà di Traiano e lo stesso Dante (Purg. X, 73), mostra di credere a questa leggenda. L'arco, che doveva sorgere di fronte al Pantheon, nel 1410-15 risulta già diruptus, anche se nel '500 era ancora visibile. Per altri, il toponimo «della Pietà» deriverebbe dal fatto che qui vi sarebbe stata la casa di s. Abbasia la quale avrebbe elargito denaro ai poveri, su pegno, anticipando così di tre secoli le funzioni del Monte di Pietà. Giunta alla vecchiaia ella avrebbe disposto che questa sua casa fosse convertita in chiesa (attuale S. Salvatore); il popolo riconoscente del beneficio ne avrebbe conservato la memoria nell'appellativo del Salvatore della Pietà.
Si tratta di una delle chiese più antiche consacrate al Salvatore e la sua più antica memoria è l'iscrizione che ricorda la consacrazione nel 1195 per mano di papa Celestino III (1191-1198). La nascita della chiesa pare tuttavia più antica della consacrazione del 1195, che probabilmente fu solo un restauro, in occasione del quale furono trasportate molte reliquie e fu elevato il bel campanile romanico. E' dunque possibile che Celestino III abbia restaurato un edificio già esistente che tuttavia non è citato da Cencio Camerario forse perché la chiesa era a quel tempo in rovina e non officiata.
La chiesa fu concessa nel 1404 da Innocenzo VII all'Università degli Orefici, dei Ferrari e dei Sellai: mentre le altre due corporazioni nel 1416 si spostarono, i Sellai vi rimasero per tre secoli, occupando un oratorio identificato con l'ambiente a sinistra del portale.
La chiesa medioevale subì trasformazioni nel corso dei secoli: ne 1858-60 furono deturpati due affreschi del 1195: sulla parete di fondo della cappella della Vergine (navata destra) resta solo un frammento affrescato, forse trecentesco di una Dormitio Virginis molto rimaneggiata (con Cristo trasformato in s. Gioacchino!).
Per il resto la chiesa, che mantiene tuttora la divisione basilicale a tre navate dell'edificio medioevale, conserva, a destra, l'iscrizione del 1195 e in fondo alla navata centrale un'iconostasi (molto ridipinta) con l'Ultima Cena e figure dei santi. Il resto invece risente degli interventi operati nel corso dei secoli.

S. Salvatore alle Coppelle I recentissimi restauri hanno dato modo di capire che la facciata della chiesa medioevale era più stretta, come è possibile desumere dai riquadri lasciati aperti nell'intonaco moderno.

Sulla piazza si conservano, sul muro della chiesa, due interessanti memorie; la prima è una lapide marmorea, erroneamente definita "tra le più antiche in lingua volgare", che invece dalla grafia è sicuramente da datare ad età moderna (sec. XVIII). In essa si legge «Chiesa del S. Salvatore della Pietà al[it]er delle cupelle 1195» con riferimento alla chiesa; se la lapide fosse veramente del 1195 la grafia dei numeri si presenterebbe sicuramente diversa. La seconda memoria (post-medioevale) è relativa all'esistenza, nell'interno della chiesa, della confraternita del SS. Sacramento della Divina Perseveranza. Fondata nel 1633 da mons. Mario Fani, aveva lo scopo di visitare gli infermi nelle camere delle locande, per dare ad essi tutti gli aiuti necessari rispetto al corpo che all'anima: se i malati erano poveri venivano esortati a trasferirsi in qualche ospedale. Se uno dei malati moriva, il segretario del sodalizio stendeva un inventario degli oggetti di sua proprietà, di cui veniva inviata una copia ai parenti e una al card. Vicario. A tale scopo esiste sul fianco della chiesa una specie di cassetta postale marmorea con lapide, posta nell'anno del giubileo del 1750, che reca l'intimazione (o l'invito?) ad osti e albergatori e locandieri di dare notizia degli infermi nei loro locali alla Confraternita. Tramite l'editto del 1794, gravi pene erano comminate agli osti che non avessero ottemperato a questo loro dovere. Ora la confraternita non esiste più da molto tempo, mentre la chiesa è stata donata nel 1914 da Pio X ai Rumeni, che ne entrarono in possesso nel 1919, al termine del I conflitto mondiale: tuttora è officiata con il rito greco-rumeno.

Dentro la chiesa si può ammirare il bel Monumento al Cardinal Giorgio Spinola, di Bernardino Ludovisi.

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