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Veio, i Fabi e Furio Camillo
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Veio era una città etrusca che si trovava 18 km a nord di Roma
e che da sempre contendeva alla stessa il dominio sulla bassa valle
del Tevere.
I rapporti conflittuali tra Roma e Veio, risalivano addirittura ai tempi di Romolo e anche Tullio Ostilio combatté duramente contro la città etrusca. Lo stesso Tullio Ostilio, rase al suolo la città di Alba Longa, perché il suo re non si era schierato con decisione al suo fianco nella guerra che aveva opposto Roma a Veio. Valerio Publicola, nel 509 a.c., aveva combattuto e vinto contro Veio, la quale era appoggiata dalla sorella etrusca Tarquinia, in una drammatica battaglia in cui aveva perso la vita il console Bruto, fondatore della repubblica romana. Nel 478 a.c. la famiglia dei Fabii, aveva chiesto e ottenuto l'autorizzazione al Senato, per combattere una sorta di guerra privata contro la rivale etrusca. 306 membri della prestigiosa famiglia romana, accompagnati da una guarnigione di 4000 uomini, probabilmente loro clienti, si accamparono a poca distanza da Veio, sulle rive del fiume Cremeria, un piccolo affluente del Tevere. Da lì conducevano una guerra fatta di piccoli scontri, incursioni e razzie di bestiame. Il 13 febbraio del 477 a.c., caddero in un'imboscata preparata dai veienti: 305 componenti della famiglia dei Fabii, caddero sotto i colpi dei nemici. Solo un giovane si salvò e garantì in questo modo la discendenza dalla famiglia che rimase comunque una delle gens più importanti dell'antica Roma. Chi aveva fatto le spese del conflitto tra Roma e Veio era stata la cittadina di Fidene, che pur essendo una città latina, si trovava sotto il controllo dei veienti. Il problema più grosso di Fidene era di trovarsi in mezzo alle due contendenti; già ai tempi di Romolo, la cittadina, che si trovava a pochi chilometri a nord di Roma, aveva pagato duramente la sua fedeltà a Veio. La conquista definitiva di Fidene da parte dei romani si verificò nel 427 a.c. e, a fronte di questo evento, Veio fu costretta ad accettare un armistizio ventennale. Nel 406 a.c., l'esercito quirito, pose sotto assedio la città etrusca, ma Veio si dimostrava davvero inespugnabile. Si venne così a creare una situazione di stallo per ben 10 anni, quando con una sortita inaspettata, i veienti, appoggiati dagli eserciti di Capena e di Faleria riuscirono a rompere l'accerchiamento e ad insidiare la stessa Roma. Fu così che Roma, dopo un momento di sbandamento, ricorse nuovamente ad un dittatore, Marco Furio Camillo, il quale decise le sorti della guerra in favore dei romani. Attraverso un cunicolo sotterraneo, riuscì a penetrare nella fortezza etrusca e a conquistarla definitivamente. Sembra che lo stesso Camillo, si impadronì della statua di Giunone Regina, protettrice della città nemica, e la portò con se a Roma, dedicandole un tempio sull'Aventino. Era il 396 a.c.: la sconfitta e la distruzione di Veio, la deportazione dei suoi abitanti e addirittura dei suoi dei, coincidevano con la fine della civiltà etrusca, una fine accentuata dalla discesa sul territorio italiano delle popolazioni celtiche che arriveranno ad insidiare la stessa Roma. Nonostante l'entusiasmo per la vittoria conseguita, Camillo non dimenticò di vendicarsi degli alleati dei veienti, conquistando e distruggendo sia Capena sia Faleria (394 a.c.). La stella di Camillo, tramontò molto presto: a causa delle sue posizioni fortemente anti-plebee, venne esiliato nella città di Ardea. L'invasione di Roma da parte dei galli guidati da Brenno, fornirà al generale romano, pochi anni dopo, l'occasione per un grande riscatto. |