IIIª guerra sannitica o Italica
(riferimento cronologico: 343 - 290 a.C.)

Così la racconta Montanelli

Questi successi preoccuparono gravemente gli altri popoli della penisola che, per paura, trovarono il coraggio di sfidare, coalizzati, Roma. (298-290 Terza guerra con i Sanniti) Ai sanniti si unirono stavolta, oltre agli etruschi, anche i lucani, gli umbri e i sabini, decisi a difendere, con la propria indipendenza, la propria anarchia. Misero insieme un esercito, che affrontò i Romani a Sentino sull'Appennino umbro (295 a.C.). Erano superiori come numero, ma i vari generali che comandavano i vari contingenti, invece di collaborare tra loro, tiravano ognuno a far ciccia per conto proprio. E naturalmente furono battuti. Decio Mure, figlio del console che si era volontariamente sacrificato per la patria nella campagna precedente, ripeté il gesto del padre e assicurò definitivamente il nome della famiglia alla storia. La coalizione si sfasciò. Etruschi, lucani e umbri chiesero una pace separata. Sanniti e sabini continuarono a combattere ancora cinque anni. Poi, nel 290 a.C. si arresero.

I Romani, senza conoscerlo praticavano il principio del Lebensraum, o "spazio vitale", secondo cui, per vivere e respirare, un territorio ha bisogno di annettersi quelli contigui. Così, per garantire la sicurezza di Capua conquistarono Napoli; per garantire quella di Napoli conquistarono Benevento, finché arrivarono a Taranto.

La nuova pace stabilita tra romani e sanniti nel 304 a.c. ebbe vita breve: nel 298 a.C., i due popoli riaprirono le ostilità e si affrontarono per la terza volta in una guerra destinata a segnare la definitiva supremazia di Roma sull'Italia centrale e su tutti i popoli che ne facevano parte.

Nei 6 anni di tregua, i romani si erano impegnati a regolare il loro storico conflitto con gli Etruschi, i quali vennero sconfitti a più riprese dal dittatore Marco Valerio Massimo. Gli stessi tentarono un accordo con una tribù di Galli che aveva invaso il territorio, per convincerli a prendere le armi insieme a loro contro i romani. Ma quando l'accordo sembrava concluso, i Galli posero condizioni inaccettabili e l'accordo sfumò definitivamente.

Mentre la situazione sul fronte etrusco, sembrava tornato tranquilla, a Roma si presentarono degli ambasciatori Lucani, i quali sostenevano di essere stati aggrediti dai Sanniti, perché non avevano accettato di allearsi con loro in funzione anti-romana.

Il Senato di Roma, tentò una nuova mediazione con la confederazione sannitica, ma come nei casi precedenti la mediazione fallì e il Senato dichiarò nuovamente la guerra al popolo del Sannio.

Le prime operazioni furono affidate ai consoli Lucio Cornelio Scipione e Cneo Fulvio. Il secondo ottenne un brillante successo contro i sanniti, culminato con una nuova conquista di Boviano, città che era già stata conquistata alla fine della seconda guerra sannitica; il successo gli garantì un solenne trionfo.

Il popolo romano, nominava, per l'ennesima volta, i consoli Quinto Fabio Massimo e Publio Decio Mure, figlio omonimo dell'eroe che si era immolato nella guerra latina per garantire a Roma il favore degli déi. Ai due consoli, ai quali si riconoscevano grandi doti militari e soprattutto una grande armonia, veniva affidato il compito di devastare e conquistare definitivamente il Sannio, compito che portarono avanti con risolutezza.

I sanniti compresa l'impossibilità di difendere il proprio territorio, spostarono parte dei loro eserciti in Etruria cercando di convincere tutti gli altri avversari dei romani a coalizzarsi contro il comune nemico. Il sannita Gneo Egnazio, istigava Etruschi, Galli senoni e Umbri a prendere le armi contro Roma, indicando proprio nella divisione, il vero errore del passato, quello che era costato tante sconfitte ai popoli dell'Italia Centrale e aveva permesso la grande espansione di Roma.

In quel momento erano entrati in carica i consoli Appio Claudio e Lucio Volumnio: al primo venne assegnata l'Etruria, al secondo il Sannio.

Mentre Appio Claudio, si preparava ad affrontare il nemico, una sua lettera convinse Volumnio ad abbandonare il Sannio e a raggiungere il suo collega in Etruria, ma una volta arrivato, Appio Claudio negò di avergliela mai spedita.

Mentre Lucio Volumnio, si apprestava a tornare indietro, i soldati pregarono i due consoli di non dividere le loro forze e di far fronte comune contro il nemico.

La scelta, pur sofferta, si dimostrò quella giusta e la vittoria dei romani fu netta al punto da provocare gravi perdite nell'esercito avversario e la morte dello stesso Gneo Egnazio.

Ma la situazione rimaneva complessa, manipoli di sanniti compivano operazioni di saccheggio nei territori campani controllati dai romani, mentre in Etruria si compiva la saldatura tra i quattro popoli nemici ai quali si aggiunsero i Lucani.

A Roma vista la gravità della situazione si decise di affidare ancora una volta il consolato a Quinto Fabio Massimo il quale accettò ponendo la condizione che il suo collega fosse ancora Publio Decio Mure.

I due consoli, che non sembravano più tanto in armonia, si recarono nel teatro delle operazioni e raggiunsero l'imponente coalizione nemica presso Sentino, una località vicino a Fabriano.

La battaglia fu molto cruenta e il suo esito si dimostrò subito incerto, quando un evento improvviso, mise in seria crisi, l'ala comandata da Decio Mure.

I Galli, schierarono infatti nella battaglia dei carri da guerra che, anche a causa del loro rumore, crearono sgomento sia negli uomini che nei cavalli.

Quando la battaglia sembrava ormai volgere definitivamente a favore della coalizione italica, Publio Decio Mure decise che l'unica soluzione fosse quella di seguire il destino della sua famiglia e di ripetere il gesto del padre.

E così si immolò lanciandosi da solo contro il nemico nella speranza che il suo gesto eroico garantisse a Roma, il favore degli déi.

E così fu: entrambe le ali dell'esercito si lanciarono contro il nemico seminando strage e terrore. Venticinquemila soldati della coalizione italica persero la vita e altri ottomila furono fatti prigionieri.

Era il 295 a.C., tre anni dopo la ripresa delle ostilità. I sanniti subivano forse la più dura sconfitta dall'inizio del conflitto contro Roma, e con loro venivano sconfitti tutti i popoli dell'Italia centrale che si erano ribellati a quello che ormai appariva come un inevitabile destino essere dominati dalla potenza di Roma.

La guerra durò ancora a lungo, altri cinque anni, e si concentrò soprattutto nel Sannio, anche se gli eserciti romani furono impegnati anche in Etruria. Altre ribellioni si ebbero in varie zone del territorio, ma erano comunque destinate a fallire.

Nel 294 a.C. ad alcune città della Confederazione Etrusca, tra le quali Arezzo e Perugia, venne concessa una tregua di quaranta anni in cambio di una multa annuale di 500.000 assi.

Nel 293 a.C. i consoli Lucio Papirio Cursore e Spurio Carvilio si guadagnarono il trionfo per i numerosi successi nel Sannio con la conquista di città quali Aquilonia, Sepino, Velia, Palombino, Ercolano.

Si distinse anche la figura eroica di un generale plebeo, Manio Curio Dentato, il quale rifiutò una grossa offerta da parte dei sanniti per assumere il comando del loro esercito.

Nel 290 a.c., più di 50 anni dopo l'inizio della prima guerra, si concludeva il lungo conflitto con i sanniti che spesso si era allargato ad altri popoli quali Latini, Etruschi, Umbri, Apuli, Lucani e Galli Senoni. 

Roma a questo punto estendeva la sua supremazia sul gran parte del territorio centro meridionale e per la prima volta "approdava" sul mare Adriatico.