Le leggi delle XII tavole
(riferimento cronologico: 494 - 367 a.C.)

Con la secessione sul Monte Sacro, la plebe aveva conquistato un importante diritto, quello di essere rappresentata da propri magistrati, i tribuni della plebe.

Ma questo importante successo non aveva certo risolto i problemi dei plebei e non aveva neanche appianato il rapporto con i patrizi, che continuava ad essere fortemente conflittuale.

La situazione generale di Roma non era certo ideale, la città era sfiancata dalle continue guerre e questa situazione finiva per rivolgersi soprattutto contro le classi più deboli.

In questo quadro indubbiamente difficile una delle rivendicazioni più sentite dai plebei, era legata all'assenza di leggi scritte, cosa che impediva ai loro tribuni di esercitare pienamente il loro ruolo. Infatti le decisioni e i giudizi più importanti spettavano a magistrati che erano espressione del patriziato, i quali si basavano su un concetto del diritto assolutamente arbitrario, applicando norme e procedure che per la maggior parte della popolazione erano assolutamente sconosciute.

Il console Spurio Cassio, protagonista del trattato di pace con la Lega Latina, aveva elaborato, nel 486 a.C., una legge agraria per la redistribuzione delle terre conquistate ai nemici.

La legge, considerata troppo favorevole ai plebei, era costata cara a Spurio Cassio, il quale veniva gettato dalla rupe Tarpea, con una pretestuosa accusa di tradimento.

La stessa legge era un continuo oggetto di contesa tra patrizi e plebei: come tutte le leggi non scritte veniva infatti applicata in modo arbitrario.

Le pressioni della plebe, finalizzate all'ottenimento di leggi scritte che limitassero il potere dei magistrati ed in particolare dei consoli, erano sostenute dalla minaccia di una nuova secessione.

Fu così che nel 451 a.C., invece di eleggere i due consoli, vennero eletti i decemviri, dieci patrizi, incaricati di redigere un codice scritto di leggi: il loro nome esatto era "decemviri legibus scribendus".

Le nuove leggi vennero riportate su "dieci tavole" di rame, che vennero esposte nel Foro.

La plebe, salutò inizialmente questi evento come un successo, ma poi la situazione degenerò.

Infatti un nuovo gruppo di decemviri, stavolta composto da sette patrizi e tre plebei, venne eletto nuovamente per l'anno successivo e il loro esercizio del potere assomigliava sempre più ad una sorta di dittatura collegiale.

Guidati dall'arrogante patrizio Appio Claudio (l'unico che aveva fatto parte di entrambi i gruppi), i decemviri, nel 450 a.C. aggiunsero, alle iniziali dieci, due tavole che contenevano norme sfavorevoli ai plebei, tra cui la negazione dell'accesso al consolato e il divieto di matrimoni misti tra patrizi e plebei.

L'episodio che vide protagonista Appio Claudio con Virginia, una giovane plebea, scatenò una nuova secessione della plebe, seguita da una rivolta armata, che culminò nella fine della dittatura dei decemviri e con un ritorno al potere consolare.

I consoli, in ogni caso, per effetto delle XII tavole, continuarono ancora per molti anni, quasi un secolo, ad essere scelti esclusivamente tra i patrizi.

I primi consoli, Valerio Potito e Orazio Barbato, si dimostrarono molto illuminati, ripristinando le conquiste ottenute in precedenza dalla plebe quali l'inviolabilità dei tribuni e la possibilità di appellarsi al popolo in caso di pena capitale.

Appio Claudio, dopo essere stato imprigionato, si suicidò passando alla storia come il peggiore esempio dell'arroganza del potere aristocratico.

Alcuni anni dopo, precisamente nel 445 a.c., la legge Canuleia permise i matrimoni misti tra patrizi e plebei.