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II guerra mitridatica
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inizio del conflitto.............................. 74 a.C.
Argomenti principali:
Nell'anno 85 a.C., Lucio Cornelio Silla, nonostante la
situazione di grande vantaggio, aveva preferito chiudere il conflitto con
Mitridate VI Re del Ponto, con un trattato di pace che pur
essendo particolarmente pesante da sopportare, nella situazione in cui
maturò, rappresentò un autentico regalo per il monarca asiatico.
Le motivazioni che spinsero Silla a cercare un accordo di pace,
sono da ricercare nella situazione politica in cui versava Roma, con la
profonda divisione tra popolari e ottimati; a Roma c'era un governo
"popolare" e Silla, leader degli ottimati, veniva perseguitato sia in
patria sia nei territori asiatici. Proprio in Asia, oltre a far la guerra
contro Mitridate, Silla si doveva guardare contro le legioni comandate da
Fimbria, uno dei rappresentanti del governo
dell'Urbe.
Silla doveva regolare la situazione interna, doveva eliminare
Fimbria e poi tornare velocemente a Roma; per fare tutto ciò il comandante
Romano aveva bisogno di ricomporre il conflitto contro
Mitridate.
Ma questo accordo non poteva reggere nel tempo, tutte le condizioni
che lo avevano provocato erano ancora presenti nello scenario
asiatico.
C'era un monarca che non era disponibile a riconoscere il potere di
Roma su quelle che considerava le proprie terre; c'era un'insofferenza
della gente asiatica, ma anche delle popolazioni greche, nei confronti di
Roma, specialmente perché tartassata dal comportamento di pretori senza
scrupoli e di pubblicani, gli esattori delle tasse, avidi ed
esosi.
Ma un altro pericolo stava maturando nello scacchiere asiatico:
un altro monarca, Tigrane il Re dell'Armenia, aveva intrapreso, in
quella regione del mondo, una politica fortemente espansionistica.
Tigrane era il genero di Mitridate, e proprio il suocero, sfruttando le
sue ambizioni, lo aveva convinto ad appoggiarlo nella sua politica
anti-Romana.
Tigrane, nel suo processo espansionistico aveva posto sotto il
suo controllo il Regno dei Parti, dei Seleucidi (Siria) e la Cilicia
Orientale, trasformando il suo regno originario in un grande regno in
grado di esercitare la sua influenza sul bacino del Mediterraneo.
Aveva anche fondato una nuova capitale, in una posizione più
strategica rispetto ai nuovi confini: l'aveva chiamata
Tigranocerta, in ragione del suo nome.
Due episodi avrebbero potuto far precipitare la situazione,
costituendo entrambe una violazione del trattato di Dardano. Il
primo fu l'ennesima invasione della Cappadocia da parte di Tigrane (78
a.C.), invasione avvenuta con la complicità del suocero; il secondo fu l'accordo tra Mitridate e
Sertorio (75 a.C.), il Romano che si era ribellato a Roma.
Ma Roma per adesso non era interessata a fare la guerra e quindi
faceva finta di non vedere. Qualche senatore, come Marcio
Filippo, parlava con convinzione in favore della guerra, ma l'Urbe
aveva prima altri problemi da risolvere. I suoi eserciti e i suoi migliori
generali erano già impegnati nell'affrontare altre situazioni di crisi:
prima contro Lepido e poi contro lo stesso
Sertorio. Inoltre Roma aveva provato a stabilizzare la
situazione in Oriente con fallimentari campagne contro i pirati e con
interventi a difesa delle proprie province da ribellioni di popolazioni
indigene. Altra cosa rispetto all'impegnarsi in un conflitto su larga
scala e i cui esiti non sembravano così scontati.
Fu un episodio imprevisto a far rompere gli indugi alle due
parti e a provocare un'altra guerra che sembrava destinata a regolare
ciò che non era stato invece regolato nel primo conflitto.
Questo episodio è legato alla morte del Re Nicomede di
Bitinia, una regione strategica in quello scenario. Questo Re, che era
entrato in ottime relazioni con Roma, soprattutto con i Romani (si era
parlato addirittura di una relazione omosessuale con Giulio Cesare),
nel suo testamento aveva lasciato il suo regno in eredità all'Urbe;
un'eredità scomoda, ma che Roma era intenzionata ad accettare. Quando
il Senato si fu pronunciato ufficialmente per l'accettazione delle volontà
del defunto Re di Bitinia, Mitridate decise di passare all'azione e di
invadere il piccolo, ma importante, regno asiatico.
Nell'anno 74 a.C., di fronte all'azione di Mitridate, il
Senato non poteva più attendere e vista l'indisponibilità di Pompeo,
ancora impegnato in Spagna, doveva trovare un generale all'altezza del
difficile compito. In assenza dell'uomo forte, il Senato della Repubblica
dovette ricorrere ai suoi consoli: Lucio Licinio Lucullo e Marco
Aurelio Cotta.
Tra i due solo Lucullo aveva esperienze concrete di comando
militare e soprattutto conoscenza di quella regione, avendo militato a
fianco di Silla durante la prima guerra mitridatica.
Eppure il suo incarico fu quello più contrastato, visto che con i
suoi atteggiamenti il console si era creato molti nemici, soprattutto tra
i cavalieri; lui era a tutti gli effetti un rappresentante dell'oligarchia
più conservatrice e quindi era malvisto dalle classi
antagoniste.
Così, per assicurarsi il comando, Lucio Licinio Lucullo dovette
conquistarsi i favori di un tribuno della Plebe, un certo Cetego e lo
fece in modo alquanto singolare e cioè conquistandosi la stima e
l'amicizia di Precia, che di Cetego era la fidanzata. Questa sorta di
pudico corteggiamento, fatto di gentilezze e regali, permise a Lucullo di
conquistarsi la simpatia di Precia senza al contempo offendere
Cetego.
La strategia di Lucullo si dimostrò efficace: Cetego appoggiò
decisamente la sua candidatura e il console aristocratico ottenne il suo
agognato incarico seppur in condivisione con il suo collega, in un
quadro di confusione dove Lucullo veniva incaricato della guerra contro
Mitridate, mentre Aurelio Cotta veniva incaricato di difendere la Bitinia,
attaccata dallo stesso Mitridate.
E la confusione produsse subito problemi concreti alla conduzione
della guerra, infatti Marco Aurelio Cotta, incurante dei movimenti
del suo collega, una volta raggiunta la sua destinazione con un'ingente
flotta, attaccò subito frontalmente i suoi nemici, pagando
duramente la sua imperizia. Mitridate gli distrusse la flotta e poi lo
mise sotto assedio nella città di Calcedone, dove Cotta si era
rifugiato.
Fortunatamente per lui, Lucullo, una volta sbarcato ad
Efeso, non era stato con le mani in mano. Aveva assunto il comando
delle 2 legioni che erano appartenute a Fimbria e che per punizione erano
state lasciate in Asia, delle 2 di stanza nella Provincia d'Asia e le
aveva riunite alla legione che aveva portato con se dall'Italia. Con
questo esercito si era mosso con determinazione verso il suo nemico,
costituito dalle truppe del Ponto, ma anche da un esercito
improvvisato comandato da un fedelissimo di Sertorio, il quale si muoveva
nella regione come se fosse un rappresentante ufficiale del governo di
Roma.
Di fronte all'avanzata di Lucullo, Mitridate aveva abbandonato
Calcedone e si era mosso verso Cizico, una città posta in una
posizione strategica; Mitridate aveva intenzione di conquistarla e farne
un baluardo del proprio meccanismo difensivo.
Il Re del Ponto aveva fatto i suoi piani senza tenere conto
dell'efficienza militare di Lucullo che sorprese le truppe di Mitridate
mentre erano ancora impegnate nell'assedio della città. Gli assedianti si
trasformavano in assediati; Mitridate tentò di resistere, ma dopo
alcuni mesi, fu costretto a cedere e quindi decise di ritirarsi. Parte
delle truppe si ritirò via mare, un altro contingente di 30.000
uomini si ritirò via terra, ma venne intercettato e decimato dalle
truppe di Lucullo. Fu una disfatta per le truppe pontiche che in poco
tempo furono costrette ad abbandonare la Bitinia. Anche
Nicomedia, la capitale, venne conquistata da Lucullo, mentre la
fuga via mare di Mitridate fu funestata da una terribile tempesta che
decimò la sua flotta.
Nella primavera del 73 a.C., quindi, la Bitinia era tornata
completamente sotto il controllo di Roma, ma a quel punto Lucullo non
era disposto a mollare la presa e inseguì Mitridate nel suo regno, il
Ponto, imponendo ai suoi soldati un ritmo di marcia intenso, in
territori impervi.
Nell'anno 72 a.C., Lucullo cominciò ad espugnare le città del
Ponto, mentre Mitridate tentava di resistere utilizzando la tattica
della guerriglia ed evitando quindi lo scontro in campo aperto.
L'avanzata di Lucullo era comunque irresistibile e Mitridate fu
costretto ad abbandonare il suo regno per rifugiarsi a Tigranocerta, nella
corte di suo genero.
L'anno successivo (71 a.C.) il generale Romano inviò suo
cognato Appio Claudio da Tigrane, intimando al Re armeno di
concedere l'estradizione di Mitridate. In caso contrario, Lucullo
avrebbe considerato Tigrane alla stessa stregua del Re del
Ponto.
Fu proprio l'atteggiamento arrogante di Appio Claudio a irritare
Tigrane e quindi a provocare un netto rifiuto alla proposta di
Lucullo.
Di fronte a questo atteggiamento di chiusura totale, il comandante
Romano era deciso a dare seguito alle sue minacce, e quindi a invadere
l'Armenia.
Quale fosse il reale obiettivo di Lucullo è difficile da dire oggi,
forse si trattò solo di una abile mossa politica, con cui il comandante
voleva prorogare il suo incarico proconsolare, altrimenti portato a
compimento con la conquista del Ponto.
Il piano era comunque azzardato, Lucullo non disponeva di
sufficienti uomini e quelli che aveva a disposizione non erano certo poi
così convinti di una guerra così dura e che non aveva fruttato grandi
ricchezze, anche perché Lucullo non permetteva loro di saccheggiare in
modo indiscriminato le città che conquistavano.
Inoltre l'utilizzo dell'esercito in un'operazione di questa
portata, poneva il problema della difesa dei vasti territori appena
conquistati come la Bitinia, ma soprattutto il Ponto.
Lucullo impiegò più di un anno a organizzarsi, e in quell'anno
(70 a.C.) si dedicò all'amministrazione della Provincia d'Asia e lo
fece con una tale parsimonia e con un tale equilibrio da inimicarsi i
"pubblicani", coloro cioè che si occupavano della riscossione dei tributi,
e quindi inevitabilmente del ceto dei cavalieri.
Nell'anno 69 a.C., Lucullo diede il via all'invasione
dell'Armenia e lo fece con un contingente davvero ridotto all'osso:
18.000 legionari e 3000 cavalieri; mentre solo 6000
legionari erano stati lasciati a difesa del Ponto.
L'operazione sembrò essere più facile del previsto, la sua
avanzata verso Tigranocerta fu quasi irresistibile e in poco tempo le
legioni Romane riuscirono a raggiungere quello che era il cuore del regno
di Tigrane.
Il Re asiatico non voleva credere a chi lo allertava del pericolo
rappresentato dall'avanzata dell'esercito Romano; fece addirittura
giustiziare un suo messo, con l'accusa di disfattismo, perché gli aveva
comunicato che ormai Lucullo si trovava in prossimità delle mura cittadine.
Quando Tigrane se ne rese conto, abbandonò la capitale, per
preparare lo scontro decisivo, radunando un esercito imponente. Mitridate
lo aveva consigliato di evitare lo scontro in campo aperto, ma di fronte
all'esiguità delle forze Romane, Tigrane si convinse della facilità
dell'impresa.
Osservando l'accampamento nemico, il monarca armeno, pronunciò una
frase "storica" che dimostrava come lo stesso avesse sottovalutato la
minaccia rappresentata da Lucullo e dal suo esercito: "se vengono come
ambasciatori sono troppi, se invece vengono come nemici sono troppo
pochi".
Difficile dire quali fossero le reali forze in campo, le fonti sono
discordi in proposito. Se si può ipotizzare che i soldati agli ordini di
Lucullo fossero all'incirca 15.000, almeno 6000 erano stati
lasciati a mantenere l'assedio di Tigranocerta; per quanto riguarda gli
avversari le fonti passano da 80.000 a 260.000 unità:
l'unica cosa certa è che a livello numerico lo sbilanciamento era
evidente. Eppure, nonostante la sproporzione delle forze in gioco, i
Romani riuscirono a prevalere e ad annientare gli avversari.
Lucio Licinio Lucullo dimostrò tutta la sua abilità di
comandante militare, ottenendo un clamoroso successo: mirabile il modo
in cui riuscì a neutralizzare le cariche dei terribili catafratti
(cavalleria corazzata), aggredendoli con la fanteria per farli colpire nel
loro unico punto debole: le gambe scoperte.
Nella battaglia Tigrane perse addirittura la corona,
affidata ad un servo e successivamente conquistata dalle truppe Romane, e
da quel giorno l'ambizioso monarca non rappresentò più un reale pericolo
per Roma.
Alla vittoria fece seguito la conquista della capitale, che
venne sottoposta ad un pesante saccheggio.
La grande vittoria e la conquista di Tigranocerta
rappresentarono il momento culminante dell'impresa asaitica di
Lucullo. Il comandante Romano, invece di accontentarsi e soprattutto
di consolidare i successi ottenuti, si ostinò nell'idea di conquistare
l'intera Armenia e sopratuttto di catturare i suoi acerrimi nemici:
Tigrane e Mitridate.
Costrinse il suo esercito a una lunga marcia, nel tentativo di
raggiungere Artaxata, dove si vociferava fosse stato trasferito il
grande tesoro di Tigrane. Si fece sorprendere dall'inverno nei territori
montagnosi dell'Armenia, in luoghi impervi, dove la neve e le bufere erano
una costante contro cui le sue truppe si dovevano confrontare. Tra i
soldati sfiniti serpeggiava il malcontento e per Lucullo mantenere
l'ordine e la disciplina stava diventando veramente difficile. I
soldati lo accusavano anche di essere l'unico che avesse realmente tratto
vantaggio da quella campagna asiatica, avendo accumulato ingenti
ricchezze. Questa posizione veniva fomentata da un altro dei cognati di
Lucullo, Publio Clodio, che si mise alla testa dei ribelli imponendo
al generale Romano di abbandonare l'impresa.
Mentre Lucullo svernava nella città di Nisibi, ricevette la
comunicazione che il Senato lo aveva sostituito nel suo incarico
proconsolare con Quinto Marzio Re (67 a.C.), scrivendo in questo modo
la parola "fine" alle ambizioni dell'aristocratico Romano. I suoi soldati,
appresa la notizia della sostituzione, divennero ancora più insofferenti
ai suoi ordini e quindi quello che era stato un temibile esercito si stava
via via trasformando in un gruppo di sbandati.
Ma il momento peggiore di tutta la sua campagna asiatica, fu quando
Lucullo apprese che, approfittando della sua campagna armena, Mitridate
era tornato sui suoi passi e aveva ripreso il controllo del Ponto,
vanificando così gran parte dei successi ottenuti dal generale Romano.
Lucullo poteva solo prendere atto della situazione, anche perché senza più
un esercito compatto alle spalle, non poteva neanche pensare di sfidare il
Re del Ponto.
Così quando gli inviati del Senato Romano, si presentarono in
Asia per organizzare la nuova Provincia del Ponto, Lucio Licinio Lucullo
dovette ammettere la disfatta.
Il fallimento di Lucullo rappresentava un ulteriore momento di
declino dell'oligarchia senatoria di cui lo stesso Lucullo sembrava uno
dei rappresentanti di maggior spicco. Nel periodo in cui aveva macinato
successi, l'aristocrazia sembrava tornata in auge, controllando in modo
quasi esclusivo il potere consolare, ma quando questi successi si erano
dimostrati effimeri, la plebe e i cavalieri, rappresentati dalla fazione
dei "populares", si erano riproposti con veemenza e avevano proposto
quello che al momento era il loro campione: Cneo Pompeo
Magno.
Nel 66 a.C., il Senato fu costretto a sostituire definitivamente
Lucullo con Pompeo Magno, reduce dai grandi successi ottenuti contro
Lepido, Sertorio, Spartaco e soprattutto contro i pirati.
Lucullo venne rimandato a Roma con appena 1600 legionari al
seguito, anche se il Senato volle comunque concedergli l'onore del
Trionfo.
Ma nonostante l'onorificenza, Lucullo era ormai un uomo
politicamente finito e passò il resto della sua vita in una sorta di
isolamento volontario. |